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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 10/07/2024

    Lavoro - Natura subordinata del rapporto di lavoro - Qualificazione - Pagamento differenze retributive - TFR - Doppia conforme - Inammissibilità

     

    Rilevato che

     

    1. la Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello della società in epigrafe avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede con la quale era stata condannata al pagamento in favore di F.F. di differenze retributive, incluso TFR, quantificate in € 19.550,61, oltre accessori, in parziale accoglimento delle domande proposte dalla lavoratrice, accertata la natura subordinata del rapporto di lavoro tra le parti tra novembre 2004 e settembre 2009, con mansioni di acconciatrice rientranti nel primo livello CCNL dipendenti da aziende artigiane di parrucchieri, barbieri ed estetica,

    2. per la cassazione della sentenza d’appello ricorre la società con 5 motivi, cui resiste la lavoratrice con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;

     

    Considerato che

     

    1. parte ricorrente, con il primo motivo, deduce nullità della sentenza (art. 360, n. 4, c.p.c.) per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., per contraddittorietà della motivazione sulla ritualità della notifica del ricorso introduttivo del giudizio;

    2. con il secondo motivo, deduce nullità della sentenza (art. 360, n. 4, c.p.c.) sempre per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., per contraddittorietà della motivazione sull’inammissibilità del motivo d’appello sulla natura autonoma (a progetto) e non subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti;

    3. con il terzo motivo, subordinato al secondo, deduce omessa valutazione di fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa (art. 360, n. 5, c.p.c.), consistente nell’esistenza di un contratto a progetto sottoscritto in data 10.11.2004 e di una busta paga relativa al mese di aprile 2009; 

    4. con il quarto motivo, deduce violazione e falsa applicazione (art. 360, n. 3, c.p.c.) dell’art. 116 c.p.c., dell’art. 1 legge n. 92/2012, della legge n. 196/1997, del d. lgs. n. 66/2003, della legge n. 300/1970, degli artt. 2094 e 2103 c.c.; sostiene che, valutando le prove testimoniali e non quelle documentali, il fatto non avrebbe potuto essere ricostruito come nella sentenza gravata;

    5. con il quinto motivo, subordinato al quarto, deduce violazione e falsa applicazione (art. 360, n. 3, c.p.c.) degli artt. 116 c.p.c. e 2043 c.c. per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., per avere i giudici di merito omesso di valutare la risultanza della prova, che avrebbe invece dovuto condurre al riconoscimento di un rapporto di lavoro autonomo a tempo determinato;

    6. i primi due motivi, con i quali si prospetta nullità della sentenza per contraddittorietà della motivazione, riproponendo corrispondenti motivi di appello, sono inammissibili;

    7. secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un'approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105/2017; conf. Cass, n. 20921/2019), restando il sindacato di legittimità sulla motivazione circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall'art. 111, sesto comma, Cost. (Cass. S.U. n. 8053/2014, n. 23940/2017, n. 16595/2019); nel caso di specie, la Corte ha esplicitato adeguatamente il percorso logico-argomentativo (pp. 3-4) che l’ha portata a ritenere inammissibili le doglianze in esame, per mancanza di indicazione delle circostanze di fatto dalle quali deriverebbe la violazione dell’art. 145 c.p.c., da un lato, e per mancato confronto con le motivazioni della sentenza di primo grado sul punto, dall’altro;

    8. il terzo motivo è inammissibile perché, avendo la Corte d'Appello confermato le statuizioni di primo grado, ricorre ipotesi di cd. doppia conforme rilevante ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. (ora 360, comma 4, c.p.c.) e dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., nel senso che, quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti posti a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, primo comma, nn. 1), 2), 3), 4), c.p.c.;

    ricorre l'ipotesi di «doppia conforme», con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (v. Cass. n. 26774/2016, n. 29715/2018, n. 20994/2019, n. 8320/2021, n. 7724/2022, n. 5934/2023, n. 5947/2023, n. 26934/2023);

    9. il quarto e il quinto motivo sono inammissibili, perché spettano al giudice di merito la selezione e valutazione delle prove a base della decisione, l’individuazione delle fonti del proprio motivato convincimento, l’assegnazione di prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, la facoltà di escludere, anche attraverso un giudizio implicito, la rilevanza di una prova, senza necessità di esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga non rilevante o di enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni;

    infatti, il giudizio di Cassazione non è strutturato quale terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame (v. Cass. n. 15568/2020, e giurisprudenza ivi richiamata; Cass. n. 20814/2018, n. 20553/2021); parimenti, è inammissibile la doglianza che il giudice di merito, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall'art. 116 c.p.c.; la censura in esame si risolve in una contestazione della valutazione probatoria della Corte territoriale, riservata al giudice di merito e pertanto, qualora congruamente argomentata, insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 29404/2017, n. 1229/2019, S.U. n.34476/2019, S.U. 20867/2020, n. 5987/2021, n. 6774/2022, n. 36349/2023);

    10. in ragione della soccombenza parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore di parte controricorrente, liquidate come da dispositivo;

    11. alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;

     

    P.Q.M.

     

    Dichiara inammissibile il ricorso.

    Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 3.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.

    Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

 

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