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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 10/07/2024

    Licenziamento - Contratto di lavoro subordinato a tempo pieno - Commesse revocate - Impossibilità di impiegare il dipendente in servizio per scarsità di commesse - Riduzione del monte ore - Comunicazione di avvio della procedura di licenziamento - Inammissibilità

     

    Fatti di causa

     

    1. La Corte d’appello di Palermo ha respinto il reclamo proposto dalla K. S. s.r.l., confermando, sia pure con diversa motivazione, la sentenza di primo grado che, al pari della ordinanza pronunciata all’esito della fase sommaria, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato a G.P. il 14 gennaio 2019.

    2. La Corte territoriale, per quanto ora rileva, ha premesso che il giustificato motivo oggettivo di licenziamento era stato indicato dalla società, sia nella comunicazione di avvio della procedura di licenziamento e sia nella lettera inviata al lavoratore, con la “laconica motivazione” della “impossibilità di impiegare (il dipendente) in servizio per scarsità di commesse”; che, solo nelle difese in giudizio, la datrice di lavoro aveva allegato di avere perduto, nella provincia di Agrigento e nel corso dell'ultimo biennio, tutti i clienti più importanti, e da ultimo nel 2017 l'E.; che, sempre nella provincia di Agrigento, fino al 2018, la stessa occupava cinque dipendenti con contratto di lavoro subordinato a tempo pieno di 40 ore settimanali, idonei a coprire 200 ore settimanali di servizio di vigilanza, di gran lunga superiori a quelle richieste (solo 112 ore settimanali) per il servizio di vigilanza da fornire all'unico cliente rimasto, la società L.A.

    3. I giudici di appello hanno rilevato come l’asserita perdita di commesse nell’ultimo biennio, da cui derivava la riduzione del monte ore necessario allo svolgimento dei servizi di vigilanza, fattori causali dell’esubero della posizione di lavoro del P., non solo erano stati genericamente allegati, ma erano rimasti sforniti di prova.

    La società non aveva “neppure indicato quali fossero i clienti che avevano revocato le commesse, l'epoca di tali revoche né il monte ore richiesto nei vari servizi venuti meno; l'unica commessa revocata, specificamente indicata dalla K. S. s.r.l. (era) quella dell'E.; tuttavia, la comunicazione di recesso dell'E. del 23 giugno 2017 risulta(va) indirizzata non già alla K. S. s.r.l. bensì alla K. spa, che va dunque individuata come la società destinataria dell'appalto, non emergendo aliunde né il subappalto né altra forma di affidamento di tali servizi da parte di questa società all'odierna resistente” (sentenza d’appello, p. 5, ultimo cpv. e p. 6).

    La sentenza impugnata ha escluso che fosse dimostrato il nesso eziologico tra la perdita della commessa E. (peraltro risalente a due anni prima del licenziamento) e la decisione di recesso nei confronti del P. e che quindi fosse provato il motivo oggettivo di licenziamento.

    4. Avverso la sentenza la K. S. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. G.P. ha resistito con controricorso.

    5. Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.

     

    Ragioni della decisione

     

    6. Con il motivo di ricorso la società ha dedotto violazione dell’art. 3, legge n. 604 del 1966, dell’art. 30, legge n. 183 del 2010, degli artt. 420, comma 5, e 437, comma 2, c.p.c. anche in relazione all’art. 2697 c.c., per non avere la Corte d’appello ammesso le prove testimoniali, tempestivamente richieste nella memoria di costituzione in primo grado e reiterate nel giudizio di reclamo (atti processuali trascritti, nelle parti rilevanti, nel corpo del ricorso per cassazione), idonee a dimostrare la sussistenza delle ragioni poste a base del licenziamento.

    7. Il motivo è inammissibile.

    8. La Corte d’appello ha sottolineato la genericità (“laconicità”) della motivazione posta a base del licenziamento, la genericità delle allegazioni in giudizio da parte della società onerata di dimostrare l’esistenza di un giustificato motivo oggettivo e il difetto di prova dei pochi fatti allegati.

    Più esattamente, a fronte della motivazione del licenziamento intimato a causa della “perdita di commesse nel corso dell’ultimo biennio”, la Corte d’appello ha rilevato, anzitutto, un difetto di allegazioni per non avere la società specificato quali fossero i clienti che avevano revocato le commesse, quante ore avevano ad oggetto le commesse revocate e in che data erano avvenute le revoche.

    Ha poi esaminato l’unica allegazione della società sulla revoca della commessa E. ed ha accertato che essa risaliva al 2017 ma, soprattutto, che non era una commessa della datrice di lavoro ma di altra società del gruppo e non vi erano forme di subappalto o altri elementi che potessero ricondurre la commessa E. alla datrice di lavoro del sig. P. Difettava, di conseguenza, la prova del nesso eziologico tra la perdita della commessa E. e il licenziamento per cui è causa.

    9. In tale contesto, la mancanza di specifiche allegazioni in fatto sui presupposti del legittimo esercizio del potere di recesso (statuizione non censurata col ricorso in esame) ha reso superflua l’ammissione delle prove testimoniali articolate nell’interesse della società.

    10. In proposito, deve comunque ribadirsi che è al giudice del merito che spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (ex plurimis, Cass. n. 29404 del 2017).

    11. Si è ulteriormente precisato (Cass. n. 5654 del 2017; n. 27415 del 2018) che l'omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui abbia determinato l'assenza di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito (v. Cass. n. 5654 del 2017; n. 27415 del 2018).

    12. Nessuno di tali requisiti richiesti è possibile rinvenire nel ricorso in esame, posto che la dichiarata genericità delle allegazioni in fatto è logicamente incompatibile col requisito di decisività delle prove non ammesse.

    13. Per le ragioni esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.

    14. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.

    15. L’inammissibilità del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).

     

    P.Q.M.

     

    Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

    Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.

 

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