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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 11/06/2024

    Tributi - Silenzio rifiuto - Rimborso - Maggior IRPEF trattenuta su pensione - Status di soggetto equiparato alle vittime del dovere - Circolare n. 98/2008 dell'INPS - Vittime del terrorismo - Rigetto

     

    Fatti di causa

     

    1. Fr.Di., godendo dello status di soggetto equiparato alle vittime del dovere, ai sensi dell'art. 1, comma 564, della L. n. 266/2005 in quanto aveva contratto patologia asbestosica nel servizio quale sottufficiale della Marina Militare, invocando la disposta equiparazione legislativa tra le vittime del dovere e le vittime della criminalità organizzata e del terrorismo, di cui all'art. 1, comma 211, della L. n. 232/2016, chiedeva il rimborso della maggior Irpef trattenuta sulla propria pensione a decorrere dall'1/01/2017.

    2. Formatosi il silenzio rifiuto, la Commissione Tributaria Provinciale della Spezia accolse la domanda.

    La Commissione Tributaria Regionale della Liguria rigettò l'appello dell'Agenzia delle Entrate; in particolare affermò la legittimazione esclusiva dell'Agenzia delle Entrate nella controversia attinente al rapporto d'imposta e non al rapporto pensionistico; nel merito, ritenne che la circolare INPS dell'11/11/2008 n. 98

    aveva precisato che i benefici di natura previdenziale di cui all'art. 3, comma 1, della l. n. 206/2004 competevano a tutti i trattamenti pensionistici diretti fruiti dai soggetti beneficiari, e che era superato il regime previsto dall'art. 1, comma 211, della L. n. 232/2016 che aveva riconosciuto il beneficio unicamente in favore delle pensioni privilegiate.

    3. Contro tale sentenza l'Agenzia delle Entrate propone ricorso, affidato a due motivi.

    Il contribuente resiste con controricorso, notificato anche all'Inps, illustrato da successiva memoria.

    Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 10/10/2023 e poi per la pubblica udienza del 19/04/2014, per le quali il ricorrente ha depositato memorie.

     

    Ragioni della decisione

     

    1. Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia deduce la violazione del combinato disposto dell'art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. dell'art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e dell'art. 36, comma 2, D.Lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., con riferimento alla motivazione apparente data dalla CTR sull'appello dell'ufficio, in particolare dolendosi che la CTR abbia errato nel ritenere che una circolare dell'INPS del 2008 avesse abrogato una disposizione di legge del 2016 di cui peraltro gli stessi giudici di appello avevano confermato l'interpretazione restrittiva proposta dall'ufficio.

    Con il secondo motivo l'Agenzia deduce violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1, comma 211, della L. n. 232/2016 e dell'art. 2697 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. con riferimento alla ritenuta spettanza dell'esenzione Irpef in relazione a qualsiasi trattamento pensionistico corrisposto a soggetto rientrante nella categoria delle vittime del dovere; evidenzia in particolare che l'esenzione Irpef estesa alle vittime del dovere dall'art. 1, comma 211, della L. n. 232/2016, vada riferita ai soli trattamenti pensionistici che trovino il loro presupposto nel particolare status di soggetto equiparato a vittima del dovere, come chiarito anche nel Messaggio INPS n. 3274 del 10/08/2017, e quindi in definitiva alle sole pensioni privilegiate correlate all'evento che aveva dato luogo al riconoscimento dello stato di soggetto equiparato; in tal senso deporrebbero sia l'interpretazione letterale, imposta dalla natura agevolativa dei benefici in parola, che l'interpretazione sistematica, dovendosi fare riferimento agli stessi trattamenti agevolativi previsti per le vittime del terrorismo; evidenziava infine che nel caso di specie la parte non aveva provato, come suo onere, di godere di trattamenti pensionistici privilegiati.

    1.1. Occorre appena premettere che correttamente la CTR ha ritenuto, con statuizione non censurata, l'INPS privo di legittimazione processuale (Cass. 22/02/2023, n. 5531; Cass. 30/11/2022, n. 35254; Cass. 15/12/2020, n. 28570; Cass. 24/10/2019, n. 27377; Cass. 12/12/2018, n. 32082), in quanto si tratta di controversia che ha ad oggetto esclusivamente il rapporto fiscale tra i contribuenti e l'Amministrazione finanziaria, in relazione al quale l'INPS si è limitato alle trattenute fiscali quale sostituto d'imposta, senza con questo costituire parte di un contenzioso relativo all'entità del debito fiscale.

    2. Il primo motivo non è fondato.

    La mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell'art. 132 n. 4 cod. proc. civ. (e nel caso di specie dell'art. 36, secondo comma, n. 4, D.Lgs. 546/1992) e riconducibile all'ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, si configura quando la motivazione "manchi del tutto - nel senso che alla premessa dell'oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l'enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione -ovvero... essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata" (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; successivamente tra le tante Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 01/03/2022, n. 6626).

    In particolare si è in presenza di una "motivazione apparente" allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l'iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture; purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, l'anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (Cass., Sez. U., 03/11/2016, n. 22232).

    Nel caso di specie la motivazione della CTR non solo è graficamente presente ma anche comprensibile, e si fonda sulla ritenuta applicabilità della circolare n. 98 dell'INPS che avrebbe dato un'interpretazione ampia dell'estensione dei benefici fiscali oggetto di lite.

    3. Il secondo motivo è infondato, anche se la motivazione della CTR va parzialmente corretta nei termini che seguono.

    3.1. La L. n. 266/2005, nel ridefinire ed ampliare la nozione di vittime del dovere, originariamente prevista dall'art. 3 della L. n. 466/1980, ha previsto le vittime del dovere (art. 1, comma 563) e i soggetti equiparati alle vittime del dovere (art. 1, comma 564). Più precisamente, come già ritenuto da questa Corte (Cass., Sez. U., 24/02/2022, n. 6214), essa ha individuato, nel comma 563, talune attività che, ritenute dalla legge pericolose, nel caso in cui abbiano comportato l'insorgenza di infermità, possono automaticamente portare ad attribuire alle vittime i benefici quali vittime del dovere; ha elencato, nel comma 564, i "soggetti equiparati", ossia coloro che abbiano riportato le lesioni o la morte non in una delle attività che il legislatore ha ritenuto per loro natura pericolose, ma in altre attività che pericolose lo fossero o lo fossero diventate per circostanze eccezionali.

    La Legge ha altresì programmato una progressiva estensione in favore di (entrambe) tali categorie dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo (art. 1, comma 562), rinviando in primo luogo ad un regolamento per disciplinare le modalità di corresponsione delle "provvidenze".

    Il regolamento è stato emanato con d.P.R. n. 243/2006 che ha provveduto all'estensione di taluni benefici e provvidenze.

    In materia fiscale, (alcuni de) i benefici sui trattamenti pensionistici previsti dalle norme in tema di vittime del terrorismo sono stati estesi dall'art. 1, comma 211, della L. n. 232/2016, a decorrere dall'1/01/2017 (su tale specifico punto v. Cass. 11/07/2023, n. 1978; Cass. 25/10/2023, n. 29549; Cass. 05/10/2023, n. 28051); in particolare la disposizione ha esteso (entrambi) i benefìci fiscali di cui all'art. 2, commi 5 e 6, della L. n. 407/1998, e quelli di cui all'art. 3, comma 2, della l. n. 206/2004, in materia di esenzione dall'imposta sui redditi.

    3.2. I giudici di merito hanno ritenuto che il beneficio dell'esenzione dall'Irpef valga per la pensione di cui gode la persona riconosciuta vittima del dovere o soggetto ad essa equiparato, come nel caso di specie, a prescindere dalla correlazione con l'evento che ha dato luogo a tale riconoscimento; in definitiva hanno ritenuto che si tratti di un beneficio di natura esclusivamente soggettiva.

    3.3. La difesa erariale, nel censurare tale interpretazione, ritiene invece che l'agevolazione dell'esenzione dall'Irpef valga solo per le pensioni attribuite in conseguenza dell'evento che ha dato luogo al riconoscimento dello status di vittima del dovere e quindi alle sole pensioni di privilegio; a tal fine fa riferimento alla necessità di un'interpretazione letterale delle norme rilevanti e fa leva altresì su una interpretazione di carattere sistematico, fondata sulla considerazione che il riconoscimento di tale ampia portata del beneficio determinerebbe un beneficio più ampio in favore delle vittime del dovere rispetto a quello spettante alle vittime del terrorismo, andando quindi la norma, se interpretata in tal senso, ben oltre la programmata estensione; evidenzia altresì la necessità che le norme che prevedono agevolazioni fiscali non possano essere oggetto di interpretazione estensiva o di applicazione analogica.

    Il motivo non è fondato.

    3.4. In ordine alla lettera delle disposizioni rilevanti occorre osservare quanto segue.

    L'art. 1, comma 211, cit. prevede, in primo luogo, l'estensione dei benefici "ai trattamenti pensionistici spettanti alle vittime del dovere e ai loro familiari superstiti, di cui alla Legge 13 agosto 1980, n. 466, alla Legge 20 ottobre 1990, n, 302, all'art. 1, commi 563 e 564, della legge 23 dicembre 2005, n. 266".

    Poiché nè la L. n. 466/1980  né la L. n. 302/1990 né, infine, l'art. 1, commi 563 e 564, della L. n. 266/2005, questi ultimi già sopra riportati, prevedono alcun trattamento pensionistico ma regolano la nozione di vittime del dovere, gli istituti della cd. speciale elargizione e dell'assegno vitalizio nonché altri benefici, come l'esenzione dai ticket sanitari o il diritto di assunzione presso le pp.aa., deve evidentemente ritenersi che i richiami normativi operati siano funzionali esclusivamente a delimitare l'ambito dei destinatari dell'estensione e non dei trattamenti pensionistici beneficiati.

    Ciò premesso, deve quindi evidenziarsi che la lettera dell'art. 1, comma 211, cit., estende i benefici, di cui si dirà, a tutti i "trattamenti pensionistici", senza indicare alcuna necessaria correlazione della pensione con l'evento che ha determinato il riconoscimento dello status di vittima del dovere.

    Né alcun argomento in tal senso si ricava dalle norme regolative dei benefici estesi, in particolare dall'art. 3, comma 2, della l. n. 206/2004.

    La prima estensione (operata dal richiamo all'art. 2, commi 5 e 6, della L. n. 407/1998) riguarda l'esenzione dall'Irpef:

    a) del trattamento speciale di reversibilità corrisposto ai superstiti dei caduti;

    b) delle pensioni privilegiate dirette di prima categoria erogate ai soggetti di cui all'art. 1, comma 2, della stessa Legge, che siano anche titolari dell'assegno di superinvalidità di cui all'art. 100 del d.P.R. n. 1092/1973.

    La seconda estensione (quella della misura dell'art. 3, comma 2, della L. n. 206/2004 e che è quella rilevante nel caso di specie) riguarda "la pensione maturata ai sensi del comma 1" che "è esente dall'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF)". È pacifico che anche in tal caso non vi sia un riferimento, ai fini dell'esenzione, al fatto che si tratti di pensione correlata al fatto che ha dato luogo al riconoscimento dello status.

    Del resto il comma 1 dell'art. 3 della L. n. 206/2004, richiamato dal comma 2, nella formulazione dovuta alla novella operata dall'art. 1, commi 794 e 795, della L. n. 296/2006, a decorrere dal 1° gennaio 2007, prevede che "A tutti coloro che hanno subito un'invalidità permanente di qualsiasi entità e grado della capacità lavorativa, causata da atti di terrorismo e dalle stragi di tale matrice e ai loro familiari, anche superstiti, limitatamente al coniuge ed ai figli anche maggiorenni, ed in mancanza, ai genitori, siano essi dipendenti pubblici o privati o autonomi, anche sui loro trattamenti diretti, è riconosciuto un aumento figurativo di dieci anni di versamenti contributivi utili ad aumentare, per una pari durata, l'anzianità pensionistica maturata, la misura della pensione, nonché il trattamento di fine rapporto o altro trattamento equipollente". L'aumento figurativo dell'anzianità, ulteriore e diverso beneficio rispetto all'esenzione Irpef, anche in tal caso non è relativo alla pensione maturata a seguito dell'evento lesivo.

    La tesi dell'ufficio non appare pertanto supportata dalla lettera delle citate disposizioni; tale considerazione, del resto, esclude la validità del riferimento alla costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale le norme che prevedono agevolazioni tributarie non possano essere oggetto di interpretazione estensiva né analogica, poiché alla luce di quanto evidenziato non vengono in rilievo né l'una né l'altra.

    3.5. Né appare deporre in senso diverso l'interpretazione sistematica proposta dalla difesa erariale laddove fa riferimento al rischio che l'interpretazione accolta dalla CTR attribuisca alle vittime del dovere e ai soggetti equiparati un beneficio maggiore di quello spettante alle vittime del terrorismo, andando quindi ben oltre la programmata estensione ai primi dei benefici previsti per le seconde.

    In primo luogo, la piana lettura dell'art. 3, commi 1 e 2, della L. n. 204/2006 (ndr art 3, commi 1 e 2, della L. n. 206/2004) depone nel senso che l'esenzione, anche per le vittime del terrorismo, concerna il trattamento pensionistico in quanto tale e neanche quello conseguito a seguito dell'aumento figurativo di cui al comma 1.

    E tale conclusione è avallata anche dai documenti di prassi.

    Infatti l'Agenzia delle Entrate, con la risoluzione 29/07/2005, n. 108/E (richiamata anche dalla Circ. 19/10/2005, n. 113, dell'INPS), in sede di prima interpretazione della portata del beneficio, ebbe a ritenere che l'esenzione dell'art. 3, comma 2, valesse solo per la parte di pensione maturata in base all'aumento figurativo, diversamente dal beneficio previsto dall'art. 4 per le pensioni dirette in favore di chi avesse conseguito una invalidità pari o superiore all'80%, richiamando il parere reso il 10 settembre 2003 dalla Commissione Finanze della Camera dei Deputati.

    Però, successivamente, con la risoluzione 01/12/2008, n. 453/E fai stessa Agenzia, richiamando la Direttiva P.C.M. 27/07/2007, ebbe a ritenere non solo che il beneficio spettasse sull'intero trattamento pensionistico e non sulla quota oggetto dell'aumento figurativo, ma anche che esso spettasse su tutti i trattamenti pensionistici goduti, deponendo in tal senso, in primo luogo, il dato letterale che, nel prevedere l'esenzione in esame, ne individua l'oggetto nella "pensione di cui al comma 1" e cioè nella pensione che abbia goduto dell'aumento figurativo, e non nella quota di detta pensione dovuta all'aumento figurativo.

    In secondo luogo, la modifica operata dal comma 794 della legge finanziaria per il 2007, dell'art, 3, comma 1, della legge n. 206 del 2004 medesima, ha sostituito, con riguardo al grado di invalidità, le parole "inferiori all'80 per cento" con quelle di "qualsiasi entità", con conseguente venir meno del trattamento fiscale di minor favore riservato alle pensioni corrisposte a fronte di una invalidità inferiore all'80 per cento.

    In terzo luogo, la ratio legis sottesa alla normativa di cui alla L. n. 206/2004, è individuabile nell'intento di garantire alle vittime ed ai loro familiari, anche superstiti, strumenti più adeguati di tutela e sostegno, in termini morali ed economici, che non siano meramente simbolici.

    3.6. Le conclusioni raggiunte appaiono in linea non solo con la citata giurisprudenza che ha ritenuto la decorrenza dei benefici fiscali a far data dall'1/01/2017 (Cass. 11/07/2023, n. 19789; Cass. 25/10/2023, n. 29549; Cass. 05/10/2023, n. 28051 che ha in motivazione espressamente evidenziato che in tema pensionistico l'equiparazione tra le vittime del dovere e quelle della criminalità organizzata ed il terrorismo è stata effettivamente realizzata dal legislatore italiano da tale data), ma anche con la giurisprudenza di questa Corte che ha evidenziato che, ove alle vittime del dovere sia esteso uno dei benefici previsti per le vittime del terrorismo, la misura del beneficio debba essere analoga, per evitare ingiustificate disparità di trattamento (Cass., Sez. U., 27/03/2017, n. 7761, con richiami di giurisprudenza amministrativa) nonché con la considerazione espressa da Cass. 16/11/2016, n. 23300, secondo cui il diritto spettante alla vittima del dovere non rientra nell'ambito di quelli inerenti il rapporto di lavoro subordinato dei dipendenti pubblici, potendo esso riguardare anche coloro che non abbiano con l'amministrazione un siffatto rapporto, ma abbiano in qualsiasi modo svolto un servizio, in quanto il comma 564 dell'art. 1 della Legge 266/2005, che estende la disciplina dettata per i dipendenti pubblici (dal comma 563 e dalla legge 466/1980) (ndr dal comma 563 della legge 266/2005) anche a "coloro" che abbiano subito infermità dipendenti da causa di servizio, delinea un'area che si estende al di là del rapporto di impiego pubblico e che ingloba, ad esempio, i militari di leva, o che potrebbe estendersi a forme regolate di volontariato, prevedendo diritti anche in favore loro o dei familiari superstiti.

    4. Concludendo, il ricorso va respinto. Alla soccombenza segue condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite.

    Poiché risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30/05/2002, n. 115.

     

    P.Q.M.

     

    Rigetta il ricorso; condanna l'Agenzia delle entrate al pagamento delle spese di lite in favore del controricorrente, spese che liquida in euro 3.100,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie al 15 per cento, e accessori se dovuti, con distrazione in favore dell'avv. A.B.

 

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