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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 15/05/2024

    Lavoro - Pagamento differenze retributive periodo feriale - Indennità di trasferta - Diaria ridotta - Percorrenza - Duplici mansioni - Fuori nastro - Guida 1 e 2 e autosnodato - Rigetto

     

    Fatti di causa

     

    1. La Corte d'appello di Lecce pronunziando sul gravame proposto da F.S.E. e S.A. Srl nei confronti di A.L.R., A.F.D., A.G., M.P., ha rigettato l'appello condannando l'appellante al pagamento delle spese processuali con distrazione.

    2. A fondamento della sentenza la Corte d'appello ha affermato anzitutto che il tribunale di Lecce aveva condannato la società a pagare ai ricorrenti le differenze retributive maturate dal 2010 al 2014 sul trattamento retributivo per il periodo feriale in virtù della inclusione di quanto spettante per le indennità di trasferta, diaria ridotta, percorrenza, duplici mansioni, fuori nastro, guida 1 e 2 e autosnodato, ordinariamente percepite.

    3.- Ha ricordato la Corte d'appello che quanto all'onere della prova a carico dei lavoratori, fin dalla costituzione in primo grado era stato contestato il diritto dei ricorrenti alla riquantificazione della retribuzione nel periodo feriale. Ha affermato che i lavoratori avevano assolto all'onere della prova a loro carico producendo fin dal primo grado i prospetti paga elaborati dalla parte datoriale dove vengono elencate le indennità percepite mensilmente che rispecchiano fino a prova contraria la qualità e quantità del lavoro svolto. Ha richiamato la nozione di retribuzione feriale europea, che coincide con la retribuzione ordinaria per garantire al lavoratore un introito paragonabile a quello assicurato nel periodo lavorativo, così com'è individuata dalla Corte di cassazione n. 22401/2020 conformemente alla sentenza n. 13425/ 2019. Assodati la ratio ed il contenuto della direttiva nel senso indicato dalla giurisprudenza nazionale e sovranazionale, occorreva quindi verificare in concreto se nella retribuzione feriale fossero incluse le indennità riconosciute dal primo giudice.

    4.- Fatta quindi una specifica disamina delle singole indennità alla luce degli accordi aziendali e della disciplina contrattuale collettiva nazionale di riferimento, la Corte di merito ha affermato che tutte le indennità riconosciute dalla sentenza impugnata rientravano nella nozione di “retribuzione ordinaria” da corrispondersi durante il periodo di fruizione delle ferie e che, a differenza della “retribuzione normale” prevista dalla contrattazione collettiva, ricomprendeva proprio quelle voci retributive che, seppure erogate in misura variabile, andavano a compensare specifiche penosità del lavoro e risultavano tutte collegate all'esecuzione delle mansioni e allo status professionale del lavoratore.

    Ha aggiunto la Corte che la circostanza che gli appellati avessero effettivamente fruito delle ferie, e che pertanto non fossero stati dissuasi dal riposo, fosse unicamente indicativa del fatto che l'esercizio del diritto non sia stato loro impedito sotto un primo aspetto, quello della fruizione, ma non permetteva di ritenerli soddisfatti sotto il secondo aspetto, quello della retribuzione.

    5.- Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione F.S.E. e S.A. srl con sette motivi di ricorso ai quali hanno resistito con controricorso i lavoratori indicati in epigrafe. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

    6. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.

     

    Ragioni della decisione

     

    1.- Con il primo motivo di ricorso per cassazione si deduce la violazione o falsa applicazione dell'articolo 36, comma 3 Cost.; dell'articolo 2109, comma 2 c.c., degli articoli 10 e 18-bis decreto legislativo 66/2003 in relazione all'articolo 7 della direttiva 2003/88/CE come interpretato dalla CGUE, ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.c. per avere la sentenza illegittimamente incluso nella retribuzione spettante per il periodo feriale le indennità oggetto di giudizio per evitare un effetto dissuasivo all'esercizio del diritto alle ferie in violazione delle norme indicate. In particolare, l'errore che avrebbe inficiato la sentenza gravata consisterebbe nel fatto che la Corte d'appello avrebbe completamente omesso di effettuare la verifica circa la possibile ricorrenza nell'ordinamento interno dell'effetto dissuasivo.

    2.- Con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c. e dell'articolo 115 c.c. ed in relazione all’art 7 della direttiva 2003/88/CE come interpretato dalla CGUE, ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c.; in quanto, in via gradata al motivo che precede, la sentenza impugnata meritava di essere cassata per avere la Corte incluso nella retribuzione spettante per il periodo feriale le indennità oggetto di giudizio in violazione dell'articolo 2697 c.c. e dell'articolo 115 c.p.c.; infatti la Corte di giustizia nelle citate pronunce sull'articolo 7 della Direttiva cit. ha sottolineato come in presenza di una retribuzione composta da una parte fissa e da una variabile, nella base di calcolo della retribuzione spettante durante le giornate di ferie, le voci variabili devono essere prese in considerazione laddove sussista un rapporto di funzionalità (il c.d. nesso intrinseco) con le mansioni e ne compensino un incomodo, ovvero siano correlate allo status personale o professionale del lavoratore.

    3.- Con il terzo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli articoli 1362 e 1363 c.c. in relazione agli accordi aziendali 3 febbraio 1990; 26 aprile 1972; 3 febbraio 1998; 8 settembre 2005; 7 luglio 1997; 9 giugno 1998 ed in forza dell’art 7 della direttiva 2003/88/CE come interpretato dalla CGUE, ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c, per avere la sentenza impugnata errato ad includere nella retribuzione spettante per il periodo feriale le indennità oggetto di giudizio in violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale applicati agli accordi aziendali indicati, tenuto conto delle previsioni dell'articolo 7 e della direttiva cit.  come interpretato dalla CGUE.

    4.- Con il quarto motivo violazione o falsa applicazione degli articoli 20 e 21 CCNL 23 luglio 1976 in relazione all’art 7 della direttiva 2003/88/CE come interpretato dalla CGUE, ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c. , per avere incluso nella retribuzione spettante per il periodo feriale l'indennità di trasferta e di diaria ridotta in violazione delle previsioni citate tenuto conto dell'interpretazione della CGUE.

    5. Con il quinto motivo si prospetta violazione o falsa applicazione degli articoli 56 CCNL 23 luglio 1976; 1, 9 e 10 del CCNL 12 marzo 1980 in relazione all’art 7 della direttiva 2003/88/CE come interpretato dalla CGUE, ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c per aver incluso nella retribuzione spettante per il periodo feriale le indennità oggetto del giudizio in violazione delle disposizioni indicate.

    6.- Con il sesto motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli articoli 36 e 39 Costituzione e dell'articolo 12 CCNL 27 novembre 2000 in relazione all’art 7 della direttiva 2003/88/CE come interpretato dalla CGUE, ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c per avere la sentenza impugnata incluso nella retribuzione spettante per il periodo feriale le indennità oggetto di giudizio in primo luogo in violazione degli artt. 36 e 39 della Costituzione posto che anche nel nostro ordinamento non esiste un principio di omnicomprensività della retribuzione utile al computo dei vari istituti economici tantomeno tale principio opera con riferimento alla retribuzione feriale; la determinazione della cosiddetta retribuzione parametro da porre a base del calcolo di ciascuno degli istituti di retribuzione indiretta o differita è devoluta di regola alla contrattazione collettiva che è pertanto libera di individuare le diverse voci retributive e di assoggettare ognuna di essa a specifiche regole sotto il profilo retributivo, nonché rispetto all'incidenza di queste su istituti riflessi quale esempio l'istituto delle ferie .

    7.- Con il settimo di sostiene violazione o falsa applicazione dell'articolo 10 comma 1 CCNL 12 marzo 1980 e dell'articolo 5 CCNL 27 novembre 2000 in relazione dell’art 7 della direttiva 2003/88/CE come interpretato dalla CGUE, ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c La sentenza ha violato e falsamente applicato le norme indicate in quanto pur avendo rilevato che la nozione europea di retribuzione feriale è commisurata alla misura minima di 4 settimane annue ha poi riconosciuto il diritto dei ricorrenti al ricalcolo della retribuzione feriale commisurandolo alle maggiori ferie godute dai ricorrenti in violazione delle previsioni di cui all'art. 10 comma 1 CCNL 12 marzo 1980 e art. 5 CCNL 27 novembre 2000.

    8. Preliminarmente va rilevato, che nella memoria depositata prima dell’udienza la ricorrente insiste in particolare solo su quest’ultimo motivo, relativo all’entità del periodo feriale; cioè alla quantità delle giornate o settimane di ferie a cui si può applicare il criterio di determinazione della retribuzione feriale europea.

    La parte controricorrente sulla questione ha invece sollevato nel proprio atto di costituzione un’eccezione di inammissibilità per la novità del motivo in oggetto ( “perché del tutto nuovo”).

    9.- Sul punto deve essere rilevato che, come risulta testualmente dalla sentenza impugnata, i 4 motivi di appello che erano stati proposti da F.S.E. e S.A. srl avverso la sentenza del tribunale di Lecce, possono essere così riassunti: 1) omessa prova del diritto alla maggiore retribuzione feriale in quanto il tribunale nell'esprimere il proprio convincimento non aveva indicato le fonti contrattuali nazionali ed aziendali; 2) il tribunale aveva erroneamente applicato i principi espressi dalla Corte di Giustizia in relazione alla mancata affermazione del principio di onnicomprensività della retribuzione feriale; 3) l'inclusione delle indennità rivendicate avrebbe determinato l'effetto paradossale di attribuire una retribuzione feriale di importo superiore a quella giornaliera spettante per il periodo ordinario di lavoro; 4) il tribunale non si era adeguato a quanto affermato dalla Suprema Corte di cassazione circa l'inesistenza nell'ordinamento del principio di onnicomprensività della retribuzione ai fini dei c.d. istituti indiretti quali mensilità aggiuntive, ferie, malattia ed infortunio. Infine, l'appellante ha contestato il quantum attesa l’eccepita incomprensibilità dei conteggi e richiesto in subordine l'accertamento del dovuto tramite ctu.

    10.- Alla luce delle superiori considerazioni risulta evidente che le questioni sollevate nel giudizio di merito vertessero tutte sulla determinazione della retribuzione feriale, non sulla riferibilità ad un numero più o meno ampio di giornate di ferie, e che le due questioni configurino profili autonomi e diversi del diritto azionato in giudizio.

    11.- Deve pertanto dichiararsi inammissibile il settimo motivo di ricorso (dalla ricorrente individuato come ottavo) vertente sulla misura minima di settimane annue, ricoperte dalla garanzia del ricalcolo secondo la disciplina della direttiva europea, ma anche alla luce della disciplina contrattuale collettiva.

    12. Si tratta pure di questione di diritto involgente la prospettazione di fatti o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio; e che deve ritenersi pertanto preclusa in sede di ricorso per cassazione ove mai sollevata nelle precedenti fasi di merito.

     Ciò vale anche alla luce di quanto affermato dalla stessa sentenza 23 giugno 2022, n. 20216 di questa Corte -richiamata nella memoria conclusiva depositata dalla difesa ricorrente - secondo cui i giorni eccedenti le quattro settimane ricadono “in una materia non regolata dal diritto dell’Unione e rimessa, invece, alle parti collettive” (così, Cass. civ., sez. lav., 23 giugno 2022, n. 20216, punto 31). Risulta così chiara la novità del tema di indagine relativo alla quantità delle ferie coperte dalla nozione di retribuzione feriale valevole a livello europeo, tanto più se si tiene conto appunto che quello garantito dalla normativa europea configura un livello minimo, che può essere incrementato dalla disciplina individuale e collettiva del rapporto.

    13.- Quanto al primo motivo di ricorso, il vizio sollevato - di omesso accertamento dell’effetto dissuasivo della disciplina - non è fondato, avendolo la Corte considerato e ritenuto esistente, laddove – pur in mancanza di un qualsiasi rilievo della parte appellante nel giudizio di secondo grado - ha affermato che non basta la concreta fruizione delle ferie ad eliminare il c.d. effetto dissuasivo dovendo esso essere comunque commisurato in generale sotto il profilo retributivo, che la Corte ha quindi provveduto ad esaminare e sulla cui scorta ha proceduto a confermare la condanna della ricorrente (implicitamente affermando quindi che la mancata erogazione della retribuzione potrebbe avere un effetto dissuasivo, anche potenziale).

    14. Per quanto concerne invece gli ulteriori motivi (2,3,4,5,6,) gli stessi devono essere affrontati unitariamente per connessione e possono essere rigettati alla luce della giurisprudenza che si è venuta consolidando nell’ambito della Corte (Cass. nn. 18160, 19663, 19711, 19716 del 2023; vedi, altresì, in precedenza, con riguardo al personale navigante dipendente di compagnia aerea, Cass. n. 20216 del 2022) in materia di nozione di retribuzione feriale, che viene qui richiamata anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.

    15. Si rinvia, di conseguenza, alla motivazione dei precedenti richiamati, di cui si espongono in sintesi i punti essenziali.

    16. E’ stato invero ribadito dal predetto indirizzo che la nozione di retribuzione durante il periodo di godimento delle ferie è influenzata dalla interpretazione data dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenze R.S. del 2006; S.H. e altri, 20.1.2009, cause C-350/06 e C-520/06; W. e altri, 13.12.2018, C-155/10; T.H., 13.12.2018, C-385/17) che ha inteso assicurare al lavoratore una situazione che, a livello retributivo, sia sostanzialmente equiparabile a quella ordinaria erogata nei periodi di lavoro, sul rilievo che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall'esercitare il diritto alle ferie, il che sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell'Unione. Qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è infatti incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza (cfr. in questo senso anche la recente C.G.U.E. 13.1.2022, C-514/20).

    17. Le sentenze della Corte di Giustizia dell'UE hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sull'ordinamento nazionale, così come confermato dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 168/1981 e n. 170/1984, ed hanno perciò “valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell'ambito della Comunità” (cfr. Cass. n. 13425 del 2019  ed ivi la richiamata Cass. n. 22577 del 2012).

    18. Di tali principi si è fatta interprete questa Corte che in più occasioni ha ribadito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell'art. 7 della Direttiva 2003/88/CE (con la quale sono state codificate, per motivi di chiarezza, le prescrizioni minime concernenti anche le ferie contenute nella direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, cfr. considerando 1 della direttiva 2003/88/CE, e recepita anch’essa con il d.lgs. n. 66 del 2003), per come interpretata dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo "status" personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. n. 13425 del 2019). Del pari, con riguardo all’indennità spettante in caso di mancato godimento delle ferie, questa Corte ha affermato che detta indennità deve comprendere qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo "status" personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. n. 37589 del 2021).

    19. A questi principi si è attenuta la Corte di merito che ha proceduto, correttamente, ad una verifica ex ante della potenzialità dissuasiva dell’eliminazione di voci economiche dalla retribuzione erogata durante le ferie al godimento delle stesse senza trascurare di considerare la pertinenza di tali compensi rispetto alle mansioni proprie della qualifica rivestita; ha, poi, verificato che durante il periodo di godimento delle ferie al lavoratore non erano erogati dalla società compensi le indennità in discorso connessi ad attività ordinariamente previste dal contratto collettivo; ha accertato la continuatività della loro erogazione e l’incidenza tutt’altro che residuale sul trattamento economico mensile.

    20. Ritiene allora il Collegio che l’interpretazione delle norme collettive aziendali che regolano gli istituti di cui era stata chiesta l’inclusione nella retribuzione feriale, oltre ad essere del tutto plausibile, è in linea con la finalità della direttiva, recepita dal legislatore italiano, di assicurare un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all’esercizio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale.

    21. In ordine alla idoneità della mancata erogazione di tali compensi ad integrare una diminuzione della retribuzione idonea a dissuadere il lavoratore dal godere delle ferie, trattasi di valutazione in concreto appartenente al giudice di merito, che ha ragionevolmente dato conto delle ragioni per le quali l’ha ravvisata.

    22. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c. e sono da distrarsi a favore dell’Avv. I.M.S. che ha dichiarato di averle anticipate.

    23. Sussistono le condizioni di cui all'art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;

     

    P.Q.M.

     

    Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 3.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge, da distrarsi a favore dell’Avv. I.M.S..

    Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

 

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