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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 02/05/2024

    Lavoro - Avviso di addebito - Omissione contributiva - Somme corrisposte a titolo transattivo - Obbligazione contributiva - Inammissibilità

     

    Fatti di causa

     

    1. La Corte d’appello di Milano, con la sentenza in epigrafe indicata, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato l’opposizione ad avviso di addebito per omissione contributiva.

    2. In particolare, la Corte di merito, interpretato l’accordo intercorso tra E.E. S.p.A. e i lavoratori, recante somme corrisposte a titolo transattivo, riteneva sprovvista di prova la tesi, patrocinata dalla società, dell’imputabilità delle somme erogate ad un titolo esente da contribuzione, e fondata l’assoggettabilità a contribuzione delle somme pretese dall’INPS.

    3. Soggiungeva, inoltre, la Corte del gravame che costituivano retribuzione imponibile anche le somme erogate, ai lavoratori, a titolo di mensilità aggiuntive, alla stregua delle dichiarazioni dei lavoratori medesimi trasfuse negli accordi - nel senso di non trovarsi nelle condizioni per fruire delle mensilità aggiuntive benché in possesso dei requisiti previsti dalla relativa disposizione contrattuale – assimilabili a rinuncia al trattamento retributivo ma inopponibili all’ente previdenziale, escludendo che gli incentivi corrisposti in forza dell’Accordo Quadro si sovrapponessero e assorbissero qualunque trattamento aggiuntivo discendente da fonte contrattuale, quali le mensilità aggiuntive.

    4. Avverso tale decisione E.E. S.p.A. propone ricorso, affidato a tre motivi, ulteriormente illustrato con memoria, cui resiste, con controricorso, l’INPS.

    5. L’ufficio del Procuratore generale ha rassegnato, per iscritto, le conclusioni in epigrafe trascritte.

     

    Ragioni della decisione

     

    6. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 e ss. cod.civ., degli artt.12, legge n.159 del 1963, e 6, comma 4, d.lgs. n.312 del 1997, per avere la Corte di merito ritenuto le somme di denaro erogate dal datore di lavoro in sede transattiva, assoggettabili a contribuzione.

    7. Con il secondo e terzo motivo la parte ricorrete rinnova la medesima doglianza, deducendo anche violazione dell'art. 2697 cod.civ. in riferimento al capo di sentenza relativo all’assoggettabilità a contribuzione delle somme erogate o meno a titolo di mensilità aggiuntive ai lavoratori aderenti al piano ex art. 4 legge n.92 del 2012.

    8. Il primo motivo è inammissibile.

    9. La Corte di merito, con doppia ratio decidendi, ha dipanato la motivazione sia interpretando gli accordi, contenenti due autonomi negozi giuridici, uno transattivo e uno risolutivo del rapporto, sia rimarcando l’inottemperanza del datore di lavoro all’onere di provare l’imputabilità delle somme controverse ad un titolo esente da contribuzione.

    10. Tale seconda ratio è rimasta del tutto sguarnita di censure e, al riguardo, non può che ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo il quale il giudice di merito che, dopo avere aderito ad una prima ratio decidendi, esamini ed accolga anche una seconda ratio, al fine di sostenere la propria decisione, non si spoglia della potestas iudicandi, atteso che l'art. 276 c.p.c. distingue le questioni pregiudiziali di rito dal merito, ma non stabilisce, all'interno di quest'ultimo, un preciso ordine di esame delle questioni; in tale ipotesi, pertanto, la sentenza risulta sorretta da due diverse rationes decidendi, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, sicché l'inammissibilità del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende irrilevante l'esame dei motivi riferiti all'altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l'annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l'autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile e carenti d’interesse le ulteriori censure (v. Cass.,Sez.Un., n. 7931 del 2013 e numerosissime successive conformi).

    11. Il secondo e terzo mezzo d’impugnazione sono del pari inammissibili, risolvendosi nella richiesta di un riesame del merito, giacché si pretende d’incrinare l’apprezzamento della Corte di merito sulle mensilità aggiuntive, di cui all’accordo transattivo e la qualificazione giuridica in termini di mensilità sostitutive dell’indennità sostitutiva del mancato preavviso, assoggettabile contribuzione, e non incentivo all’esodo, esente, sulla base delle circostanze di fatto introdotte in giudizio, e specificamente individuate, dalla Corte di merito, nel rimarcare, ed argomentare, la diversità tra le somme erogate in forza dell’Accordo Quadro - in guisa di misure incentivanti l’esodo dei lavoratori più anziani (come espressamente previsto dall’art. 4 legge n.92 del 2012 e dall’ACCORDO Quadro cit.) - e le mensilità aggiuntive.

    12. Invero la Corte di merito, con apprezzamento in fatto, insindacabile in questa sede, ha escluso potersi ravvisare in dette mensilità un incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, argomentando dalla insussistenza di requisiti comuni a quelli richiesti per accedere alla pensione di anzianità o di rinvii ad essi, per essere detti presupposti del tutto eterogenei giacché concernenti, alcuni, la sola età anagrafica, altri la sola anzianità contributiva, altri distinti fattori, quali il matrimonio o la maternità.

    13. Neanche coglie nel segno la denunciata violazione dell'art. 2697 cod.civ. con la quale si formula, nel chiudere l’illustrazione del terzo mezzo, una critica meramente apodittica come tale inidonea ad incrinare il decisum della Corte di merito e ad aprire l’adito allo scrutinio di legittimità.

    14. Vale in ogni caso rimarcare che in molteplici occasioni questa Corte ha ribadito che l'estraneità della transazione, intervenuta tra datore di lavoro e lavoratore, al rapporto contributivo discende dal principio per cui alla base del calcolo dei contributi previdenziali deve essere posta la retribuzione, dovuta per legge o per contratto individuale o collettivo, e non quella di fatto corrisposta, in quanto l'espressione usata dalla L. n. 153 del 1969, art. 12, per indicare la retribuzione imponibile ("tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro") va intesa nel senso di tutto ciò che ha diritto di ricevere, ove si consideri che il rapporto assicurativo e l'obbligazione contributiva ad esso connesso sorgono con l'instaurarsi del rapporto di lavoro, ma sono del tutto autonomi e distinti, nel senso che l'obbligazione contributiva del datore di lavoro verso l'istituto previdenziale sussiste indipendentemente dal fatto che gli obblighi retributivi, nei confronti del prestatore d'opera, siano stati in tutto o in parte soddisfatti, ovvero che il lavoratore abbia rinunciato ai suoi diritti (cfr., per tutte, Cass. n. 10787 del 2023 ed ivi ulteriori e numerosi precedenti).

    15. In conclusione, il ricorso è dichiarato inammissibile.

    16. Segue coerente la condanna alle spese, liquidate come in dispositivo.

     

    P.Q.M.

     

    Dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 16.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento. Ai sensi dell’art.13,co.1-quater, d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13,co. 1, se dovuto.

 

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