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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 02/05/2024

    Lavoro - Spettanze - Natura subordinata del rapporto - Tempo pieno - Rigetto

     

    Fatti di causa

     

    La Corte di appello di Salerno, in parziale riforma della decisione del locale tribunale, accogliendo la domanda di K.M., diretta ad ottenere le spettanze derivanti dal rapporto di lavoro subordinato svolto alle dipendenze di A.G.C. di M.G. nel periodo 19.7.2007-6.2.2013 con le mansioni di investigatore privato e addetto alla sicurezza, aveva condannato la premessa ditta individuale a pagare a K.M. la somma di E. 52.479,92, al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali, oltre accessori di legge.

    La corte di merito, dopo aver statuito sulla natura subordinata del rapporto intercorso tra le parti, aveva valutato, sulla base dei riscontri probatori acquisiti nel processo, che la prestazione si era svolta con modalità orarie differenti da quelle in origine pattuite contrattualmente (4 ore), assimilabili, seppur con distribuzione non uniforme, all’orario complessivamente non inferiore al tempo pieno contrattuale. Disposta ctu contabile, il giudice di appello condannava la ditta A.G. a pagare le differenze retributive come sopra indicate.

    Avverso detta decisione M.G., quale titolare di A.G.C., proponeva ricorso affidato a 5 motivi anche coltivati con successiva memoria, cui resisteva con controricorso M. K..

     

    Ragioni della decisione

     

    1)- Con primo motivo è dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c.; nullità della sentenza impugnata. Error in procedendo.

    Parte ricorrente si duole della valutazione di ammissibilità del ricorso in appello proposto dal K.. In particolare, lamenta la carenza dell’atto di appello sotto il profilo del motivato dissenso rispetto ai passaggi argomentativi utilizzati dal giudice del primo grado e la mancata rilevazione di tali carenze da parte del giudice d’appello.

    Il motivo è infondato.

    Giova precisare che la corte territoriale ha affrontato compiutamente la valutazione circa l’atto di appello ed il suo contenuto (punto 12 sentenza) rilevando la esistenza di una evidente critica alla decisione di primo grado sotto il profilo della qualificazione della natura del rapporto di lavoro ed alla prova testimoniale, denunciata come mal valutata.

    Si tratta di una valutazione di merito circa la validità dell’atto di appello coerente con i principi enunciati da questa Corte secondo cui “Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di "revisio prioris instantiae" del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata” (Cass.n. 13535/2018; Cass.n.7675/2019).

    Il motivo deve ritenersi infondato poiché, anche valutando il contenuto dell’atto di appello, come richiesto a questa Corte di legittimità attraverso la denuncia dell’error in procedendo e la possibilità del diretto sindacato sull’atto in questione (Cass.n. 20716/2018), devono ravvisarsi in esso tutti gli elementi necessari ad identificare la fattispecie nei suoi tratti essenziali quali petitum e causa petendi come correttamente valutato dalla corte territoriale.

    2)- Con secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 329 c.p.c. poiché è sostenuto che, in assenza di motivi di appello specificamente diretti a confutare “le argomentazioni” della sentenza di primo grado, si sarebbe formato un giudicato interno su talune parti della decisione, in particolare sulla valutazione di inattendibilità di due testi.

    Questa Corte ha chiarito che il giudicato interno può formarsi solo su di un capo autonomo della sentenza che risolva una questione avente una propria individualità ed autonomia, così da integrare una decisione del tutto indipendente, e non sussiste nei riguardi di una mera argomentazione, ossia della semplice esposizione di un'astratta tesi giuridica, anche quando sia utile a risolvere questioni strumentali all'attribuzione del bene controverso (Cass.n. 20951/22). Per gli esposti principi la prospettata censura deve ritenersi infondata poiché il giudizio espresso attraverso articolate argomentazioni sulla inattendibilità dei testi non può essere considerata una “statuizione” nei termini sopra indicati, in quanto non è identificabile con una decisione su un capo della domanda e non si risulta formata su una questione avente propria individualità rispetto alla stessa domanda.

    3) Con il terzo motivo è dedotta la violazione dell’art 115 c.p.c. (art. 360 n.4 c.p.c.), nonché l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 co.1 n. 5 c.p.c.). Il ricorrente denuncia la errata percezione da parte del giudice di appello delle prove testimoniali. La censura si sostanzia in una critica alla valutazione del materiale probatorio ritenuto dalla parte ricorrente “prova immaginaria” in quanto mai esistita e lamenta un errore percettivo, da parte del giudice, nell’assunzione di quanto dichiarato dai testi escussi.

    Il tema del travisamento della prova è stato affrontato da questa Corte in ripetute occasioni, da ultimo con le ordinanze interlocurorie nn. 8895 del 29/03/2023 e 11111 del 27/04/2023, che hanno determinato il pronunciamento delle Sezioni Unite di recentissima pubblicazione (Cass. SU n. 5792/2024), affermative del seguente principio:

    «Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale».

    Il principio riconduce nei binari del vizio attualmente denunciato in questa sede (art. 360 co.1 nn. 4 e 5 c.p.c.) soltanto quello attinente alla errata lettura di un fatto probatorio, oggetto di contrapposte posizioni. Nel caso in esame non è dunque ammissibile il denunciato errore di percezione basato su prove asseritamente “immaginarie” in quanto estraneo al vizio denunciato e proprio di una differente eventuale sede processuale, come indicato dalle Sezioni Unite nella richiamata sentenza.

    Peraltro le doglianze espresse dal ricorrente si concretizzano in una critica alla valutazione svolta dal giudice del merito attraverso una differente contrapposta lettura, sicchè, cadendo la lagnanza sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, della circostanza controversa e del giudizio di attendibilità, sufficienza e congruenza delle testimonianze, essa si colloca interamente nell'ambito della valutazione delle prove, estranea al giudizio di legittimità e dunque inammissibile (Cass 25166/2019).

    4)- Con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. in riferimento all’errore percettivo ricadente sia sul periodo di lavoro a progetto che sul periodo di lavoro part time.

    5)- L’ultima censura denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2094 c.c. in riferimento alla prova , asseritamente non fornita, circa l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato.

    Entrambi i motivi possono essere trattati congiuntamente poiché riguardano la valutazione del materiale probatorio e devono essere dichiarati inammissibili.

    Deve rammentarsi che “l’'esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex multis Cass. n. 19011/2017; Cass.n. 16056/2016). Occorre quindi concludere che con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass.n. 29404/2017).

    Confermando i principi già espressi si osserva che la corte di merito, nella sentenza attualmente impugnata, ha considerato il materiale probatorio acquisito ponendo in rilievo la coincidenza delle modalità del lavoro svolto dal K. con le caratteristiche proprie del lavoro subordinato a tempo pieno, e ciò anche se formalmente il rapporto fosse diversamente qualificato. La sentenza ha poi ampiamente argomentato sui risultati delle prove testimoniali, richiamandole e dando conto della loro valenza attestativa della subordinazione. Siffatte valutazioni, alla luce dei principi sopra richiamati, non possono dunque essere oggetto di rinnovato vaglio in questa sede di legittimità.

    Per quanto detto, il ricorso deve pertanto essere rigettato.

    Le spese seguono il principio di soccombenza.

    Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato.

     

    P.Q.M.

     

    Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E.5.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

    Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.

 

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