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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 19/04/2024

    Lavoro - Pagamento differenze retributive - Lavoro subordinato a tempo indeterminato - Natura giornalistica - Rigetto

     

    Fatti di causa

     

    1. La Corte d'Appello di Roma ha accolto l’appello di M.L. e, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato la R. - (...) spa - al pagamento, in favore della citata lavoratrice, della somma di euro 111.612,50, a titolo di differenze retributive maturate nel periodo dall’1.1.2003 al 31.12.20013.

    2. La Corte territoriale ha premesso che la M.L. aveva agito dinanzi al Pretore di Roma il 2.8.1997 per far dichiarare la nullità del termine apposto a plurimi contratti di lavoro conclusi con la R. a far data dal 17.12.1986; che il Pretore aveva respinto il ricorso e la Corte d’appello di Roma (con sentenza non definitiva n. 126/2001) aveva invece dichiarato sussistente un rapporto di lavoro a tempo indeterminato di natura giornalistica a decorrere dal 14.4.1991; che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 48 del 2005, aveva cassato la decisione di appello e la Corte d’appello di L’Aquila (sentenza n. 300/2007), giudicando in sede di rinvio, aveva dichiarato costituito tra le parti un rapporto di lavoro giornalistico dal 12.10.1994 e condannato la R. al pagamento delle differenze retributive a far data dalla messa in mora (2.12.1997), da quantificarsi in separato processo; che con ricorso per decreto ingiuntivo la lavoratrice aveva richiesto il pagamento delle differenze retributive per il periodo successivo alla messa in mora e fino al ripristino del rapporto (avvenuto in data 19.7.2001) e che il Tribunale di Roma, in sede di opposizione, (sentenza 18120/2011) aveva condannato la R. a pagare la somma di euro 34.646,08, riconoscendo anche la maturazione del primo scatto di anzianità a partire dal mese di agosto 1998; che nel procedimento per cui è causa, la lavoratrice ha rivendicato il diritto alle differenze retributive (euro 111.612,50) calcolate tenendo conto degli scatti di anzianità maturati (la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 9161/2015 emessa nel procedimento monitorio e non impugnata, aveva definitivamente accertato la maturazione del primo scatto di anzianità a far data dal’1.8.1998) e della incidenza di tale voce sulle ulteriori indennità contrattualmente spettanti; che il tribunale ha accolto parzialmente la domanda condannando la R. al pagamento delle differenze retributive (euro 52.701,20) maturate dall’1.4.2009 al 31.12.2013 (quinquennio anteriore al deposito del ricorso di primo grado), accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata dalla R. e considerando il rapporto di lavoro assistito da stabilità reale sin dalla sua costituzione (12.10.1994). I giudici di appello, con la sentenza ora impugnata, hanno invece ritenuto che la prescrizione (del diritto alle differenze retributive per gli scatti di anzianità dal 2003 al 2013) decorresse solo dal passaggio in giudicato della sentenza che ha dichiarato esistente un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e che, nel caso di specie, tale momento coincidesse con la sentenza della Corte di Cassazione n. 12102 del 2014 che ha definitivamente accertato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, di natura giornalistica, a far data dal 12.10.1994; hanno pertanto escluso che fosse maturata la prescrizione e riconosciuto il diritto alle differenze retributive rivendicate per il periodo dall’1.1.2003 al 31.12.2013.

    3. Avverso tale sentenza la R. – (...) spa - ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. M.L. non ha svolto difese. Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso. La R. ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c. All’udienza camerale originariamente fissata la causa è stata rinviata a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza, in vista della quale la R. ha depositato una nuova memoria.

     

    Ragioni della decisione

     

    4. Con l’unico motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 2935 e dell’art. 2945, comma 2, c.c., anche in relazione all’art. 2943, primo comma c.c. Si censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che, pure in presenza di una decisione d'appello, per sua natura esecutiva, di accertamento della natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro subordinato tra le parti (sentenza della Corte d’appello di Roma n. 126/2001), il termine prescrizionale dei diritti di credito derivanti da quella decisione decorresse solo dal relativo passaggio in giudicato, operando fino a quel momento l'effetto interruttivo discendente dalla pendenza della domanda giudiziale introduttiva del giudizio. La società rileva che la sentenza impugnata ha richiamato e applicato un orientamento giurisprudenziale formatosi in epoca antecedente alla modifica dell'art. 282 c.p.c. ad opera dell'art. 33, della legge n. 353 del 1990, cioè prima che fosse generalizzata la regola della esecutorietà delle sentenze di primo e di secondo grado.

    Critica, infine, il ragionamento fondato sul metus del lavoratore, svolto dalla sentenza d'appello nel solco della giurisprudenza della Corte costituzionale sull'art. 2948 n. 4 c.c., in quanto non pertinente poiché, ove il lavoratore abbia già ottenuto una sentenza di accertamento della nullità del termine apposto ai contratti di lavoro, egli può vantare la tutela discendente dallo status di lavoratore subordinato e quindi, in presenza del requisito dimensionale, anche la tutela reale avverso il recesso datoriale.

    5. Il motivo di ricorso non è fondato.

    6. Deve anzitutto rilevarsi, in conformità alle deduzioni dell’attuale ricorrente, come, ai fini del decorso del termine di prescrizione, non sia pertinente nella fattispecie oggetto di causa il riferimento al metus del lavoratore, invece contenuto nella sentenza d’appello.

    7. Questa Corte, circoscritto l'ambito di applicazione della sentenza delle SS.UU. n. 575 del 2003 ai soli rapporti a termine legittimi ed efficaci, ed esaminando le ipotesi di reiterazione dei contratti a tempo determinato illegittimi, ha statuito che «in considerazione del metus del lavoratore nei confronti del datore di lavoro tipico dei rapporti senza stabilità, che non può essere valutato in base alla successiva declaratoria, pur retroattiva, di nullità del termine e di conversione del rapporto a tempo indeterminato, durante la successione dei contratti a termine non è configurabile un decorso della prescrizione dei diritti derivanti dalla detta conversione (v. Cass. n. 14996 del 2012; n. 7565 del 1997; n. 13122 del 2000; n. 3869 del 2001; da ultimo v. Cass. n. 27331 del 2022).

    8. Le pronunce appena richiamate escludono la decorrenza della prescrizione fino a che continua la reiterazione dei rapporti di lavoro a termine e ciò fanno invocando il metus del lavoratore, legato alla incertezza sulla continuazione della serie contrattuale, poiché tale incertezza colloca il dipendente in posizione analoga a quella dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato non assistito da stabilità reale.

    9. Nel caso in esame, è invece pacifico che la sequenza dei contratti a termine sia cessata il 30.6.1997 e che la lavoratrice abbia proposto ricorso in giudizio il 2.8.1997, mettendo in mora (attraverso la notifica di detto ricorso) la società in data 2.12.1997. Col ricorso in giudizio, la lavoratrice ha fatto valere la nullità del termine ed anche il suo diritto alle differenze retributive.

    10. In tale contesto, ciò che rileva ai fini del dies a quo del termine di prescrizione, non è più il metus della dipendente ma la disciplina dettata dagli articoli 2935 e seguenti del codice civile.

    11. Con orientamento costante, questa Corte ha statuito che “la proposizione della domanda giudiziale ha efficacia interruttiva della prescrizione che si protrae fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ai sensi dell'art. 2945 cod. civ., con riguardo a tutti i diritti che si ricolleghino con stretto nesso di causalità a quel rapporto, senza che occorra che il loro titolare proponga, nello stesso o in altro giudizio, una specifica domanda diretta a farli valere, ed anche quando tale domanda non sia proponibile nel giudizio pendente, ove l'apprezzamento della consequenzialità logico-giuridica del diritto stipite, ai fini dell'individuazione del rapporto logico-giuridico tra diritti, è rimesso al giudice di merito” (Cass. n. 18570 del 2007, secondo cui la domanda giudiziale di qualifica superiore interrompe la prescrizione del diritto alle differenze retributive consequenziali). Difatti, “l'effetto interruttivo risiede non nel provvedimento del giudice che segua l'atto introduttivo del giudizio, bensì in quest'ultimo, considerato dalla legge come manifestazione di esercizio del diritto, che incide quindi sulla prescrizione del diritto e sulle sue conseguenze necessarie. Il giudicato si forma soltanto sul diritto stipite azionato, mentre l'effetto interruttivo si estende a tutti i diritti che derivano in via di consequenzialità logico giuridica necessaria dal diritto stipite” (v. Cass. n.18570 del 2007, in motivazione).

    12. Il principio di diritto è stato ribadito in numerose successive pronunce e si è, ad esempio, affermato che “la domanda volta alla declaratoria dell'illegittimità del recesso del preponente dal contratto di agenzia per insussistenza di giusta causa ha efficacia interruttiva della prescrizione, ai sensi degli articoli 2943 e 2945 cod. civ., con riguardo al credito dell'agente per l'indennità di cessazione del rapporto, senza necessità che sia proposta una specifica domanda diretta a farlo valere, trattandosi di diritto che si ricollega con un nesso di causalità esclusivo alla definizione del contenzioso sulla legittimità del recesso stesso” (Cass. n. 8983 del 2015); che “la proposizione di un'azione revocatoria produce il suddetto effetto (interruttivo e sospensivo, ndr.) sulla prescrizione del diritto di credito la cui soddisfazione è diretta a garantire, pur se quest'ultimo sia azionato successivamente in autonomo giudizio” (Cass. n. 16293 del 2016); che “in tema di compensi in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari dopo il 31 dicembre 1982, la proposizione del ricorso dinanzi al giudice amministrativo per l'annullamento del d.m. 14 febbraio 2000, è atto idoneo ad interrompere la prescrizione, con effetto interruttivo permanente legato al perdurare del giudizio amministrativo, del termine per far valere innanzi al giudice ordinario il diritto soggettivo al risarcimento del danno per il tardivo recepimento delle direttive CEE n. 362 del 1975 e n. 76 del 1982, poiché, pur essendo ben distinte le due situazioni giuridiche fatte valere - interesse legittimo e diritto soggettivo - la prima azione risulta strumentale al pieno esercizio del diritto tutelabile attraverso la seconda, tenuto altresì conto che la pluralità di giudici deve assicurare una più adeguata risposta alla domanda di giustizia e non una vanificazione della tutela giurisdizionale” (Cass. n. 17619 del 2022). Anche recentemente, si è ribadito che “la proposizione di una domanda giudiziale determina l'interruzione della prescrizione con riguardo a tutti i diritti pretesi che si trovano in relazione di causalità, anche in via subordinata, con il rapporto unitario dedotto con l'istanza principale, assumendo rilievo l'unitarietà del fatto a cui sono ricollegate le varie domande, volte ad un'unitaria tutela, rispetto alla quale le singole azioni sono serventi” (Cass. n. 16120 del 2023).

    13. Tale indirizzo, assolutamente costante, smentisce la tesi avanzata dalla società ricorrente secondo cui “il giudizio, l’introduzione del quale determina l’interruzione del decorso della prescrizione (con effetto permanente fino al momento del passaggio in giudicato della sentenza che definisca il medesimo giudizio) è quello che abbia ad oggetto (specificamente) il diritto della cui prescrizione si discorre” (ricorso, pag. 29 § 1.4.1 e anche § 1.2.1).

    14. Da quanto esposto deriva, come logico corollario, che l’effetto interruttivo e sospensivo del decorso della prescrizione di cui all’art. 2945, secondo comma c.c., con effetti permanenti fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, non solo si estende ai diritti discendenti da quelli specificamente azionati, ma opera a prescindere dalla provvisoria esecutorietà dei titoli giudiziali pronunciati nel corso del processo.

    15. Sia pure a proposito di procedimento monitorio, ma con principi aventi portata generale, questa Corte ha affermato che “l'interruzione del termine di prescrizione, con la notificazione del ricorso per decreto ingiuntivo, ha effetti permanenti fino all'acquisto dell'efficacia di giudicato da parte del decreto, per mancata tempestiva opposizione, anche nel caso in cui il decreto ingiuntivo sia stato dichiarato provvisoriamente esecutivo fin dalla sua emissione” (Cass. n. 20176 del 2013; v. anche Cass. n. 4676 del 2023).

    16. Nella fattispecie oggetto di causa, è vero che, dopo la sentenza della Corte d’appello di Roma del 2001 che dichiarato la nullità del termine, ha dichiarato costituito tra le parti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e condannato la R. spa al ripristino del rapporto medesimo, la lavoratrice era nella condizione di poter far valere (art. 2935 c.c.) il diritto agli scatti di anzianità (il primo scatto risulta maturato nel 1998), essendo la sentenza dotata di efficacia esecutiva. Tuttavia, l’effetto interruttivo e sospensivo della prescrizione (art. 2945, secondo comma c.c.), conseguente alla proposizione della domanda giudiziale (di accertamento della nullità del termine e di condanna al pagamento delle differenze retributive maturate fino al ripristino) deve ritenersi esteso anche ai cd. diritti discendenti (nella specie, alle ulteriori voci retributive legate al decorso del tempo, come gli scatti di anzianità), in ragione della identità dei fatti sottesi e dal collegamento causale tra le azioni.

    17. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto, previa rettifica, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma c.c., della motivazione della sentenza d’appello, in relazione agli artt. 2943, comma 1, e 2945 comma 2 c.c. e in conformità al principio di diritto per cui la prescrizione, interrotta col deposito del ricorso in giudizio, non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio, con l’ulteriore precisazione che l’interruzione della prescrizione si estende ai diritti che si trovano in relazione di causalità, anche in via subordinata, con il rapporto unitario dedotto con la domanda principale.

    18. Non si provvede sulle spese del giudizio di legittimità poiché la controparte non ha svolto difese.

    19. Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).

     

    P.Q.M.

     

    Rigetta il ricorso.

    Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.

 

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