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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 29/03/2024

    Lavoro - Esposizione all'amianto - Domande di rivalutazione contributiva per esposizione ultradecennale e qualificata all’amianto - Mancata contestazione delle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio - Termine finale di esposizione all'amianto - Accoglimento

     

    Fatti di causa

     

    1.– Con ricorso notificato il 5-14 giugno 2019 e articolato in otto motivi, illustrati da memoria, il signor S.P. impugna per cassazione la sentenza n. 1002 del 2018, pronunciata dalla Corte d’appello di Catania e depositata il 6 dicembre 2018.

    La Corte territoriale ha dichiarato l’inammissibilità del gravame proposto dal signor P. e ha confermato la pronuncia del Tribunale di Siracusa, che aveva rigettato le domande di rivalutazione contributiva per esposizione ultradecennale e qualificata all’amianto per carenza di prova degli elementi costitutivi della fattispecie di legge.

    2.– L’INPS resiste con controricorso, notificato il 22 luglio 2019.

    3.– La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, secondo comma, numero 4-quater), e 380-bis.1., primo comma, cod. proc. civ.

    4.– Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.

    5.– All’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei sessanta giorni successivi (art. 380-bis.1., secondo comma, cod. proc. civ.).

     

    Ragioni della decisione

     

    1.– Il signor S.P. sottopone all’esame di questa Corte le seguenti censure.

    1.1.– Con il primo motivo (art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.), il ricorrente denuncia violazione degli artt. 24 e 111 Cost., degli artt. 6 e 13 della CEDU e/o degli artt. 112, 348-bis e 348-ter cod. proc. civ., in combinato disposto con l’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257.

    In violazione del diritto di azione e di difesa e dei principi del giusto processo e del contraddittorio, la Corte territoriale avrebbe negato il diritto alla prova dell’appellante e avrebbe reso una motivazione apparente sulle deduzioni svolte nell’atto di gravame.

    1.2.– Con il secondo mezzo (art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.), il ricorrente deduce violazione degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 348-bis e 348-ter cod. proc. civ., in combinato disposto con l’art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992.

    La Corte d’appello di Catania avrebbe omesso di pronunciare sulle domande proposte ai sensi dell’art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992.

    1.3.– Con la terza critica (art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.), il ricorrente si duole della violazione dell’art. 414 cod. proc. civ. e/o degli artt. 434 e 437 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 348-bis e 348-ter cod. proc. civ. e/o agli artt. 24 e 31 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, in combinato disposto con l’art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992.

    Avrebbe errato la Corte di merito nel considerare decisiva una «presunta mancata contestazione delle motivazioni poste dal CTU a giustificare la data finale di esposizione al 31.12.1992 sulla base di dati tecnici dell’INAIL-Contarp» (pagina 42 del ricorso per cassazione), senza valutare la contestazione dei dati dell’INAIL, puntualmente articolata negli atti di causa, e il rilievo che l’entrata in vigore del d.lgs. n. 277 del 1991 e della legge n. 257 del 1992 «non equivale ad una bonifica dei luoghi e soprattutto ad una riduzione delle polveri e fibre di amianto aerodisperse nell’ambiente di lavoro» (pagina 44 del ricorso per cassazione).

    1.4.– Con la quarta doglianza, il ricorrente deduce, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.: violazione degli artt. 414, 442 e/o 434 e 437 cod. proc. civ., in combinato disposto con le norme di cui all’art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992 e falsa applicazione degli artt. 24 e 31 del d.lgs. n. 277 del 1991; violazione degli artt. 115, 116 e 421 cod. proc. civ., in combinato disposto con l’art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992; violazione dell’art. 445 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 24 e 31 del d.lgs. n. 277 del 1991 e all’art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992.

    La Corte di merito sarebbe incorsa nelle violazioni denunciate per avere omesso l’esercizio dei poteri istruttori officiosi e per aver trascurato la disamina del materiale probatorio acquisito, anche con l’ausilio di una consulenza tecnica d’ufficio.

    1.5.– Con il quinto motivo, il ricorrente prospetta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 116, sesto comma, Cost. e dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.

    Le statuizioni dei giudici d’appello sarebbero sorrette da una motivazione apparente, non scevra di contraddizioni. La Corte territoriale non avrebbe considerato che grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare l’adozione di tutte le cautele.

    1.6.– Con il sesto mezzo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente deduce, infine, violazione dell’art. 116, sesto comma, Cost. e dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.

    La sentenza impugnata si fonderebbe su una motivazione perplessa e contraddittoria.

    1.7.– Con la settima censura (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), il ricorrente allega omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti.

    La pronuncia non terrebbe conto dei documenti che dimostrano il superamento della soglia delle 100 fibre litro per l’intero periodo di lavoro, anche dopo il 31 dicembre 1992.

    1.8.– Con l’ottava doglianza (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente denuncia, infine, la violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e imputa alla Corte di merito di non aver compensato le spese di lite, pur nella sussistenza di tutti i presupposti di legge.

    2.– Occorre, in primo luogo, disattendere la richiesta di rimessione della causa alla pubblica udienza, formulata dalla parte ricorrente nella memoria illustrativa (pagina 3).

    Il ricorso non pone a questa Corte questioni nuove, che inducano a esercitare la facoltà, eminentemente discrezionale, di disporre la trattazione della causa in pubblica udienza (Cass., S.U., 5 giugno 2018, n. 14437).

    Sui profili controversi, consolidata è la giurisprudenza di questa Corte e non si riscontrano tematiche meritevoli di ulteriore vaglio nomofilattico.

    3.– È prioritario, in ordine logico, l’esame del terzo motivo, che censura, anche in riferimento all’art. 434 cod. proc. civ., la declaratoria d’inammissibilità dell’appello.

    Tale motivo si appunta su quello che, della sentenza impugnata, rappresenta l’asse portante.

    La critica coglie nel segno.

    4.– La decisione d’appello evidenzia che il lavoratore ha contestato la pronuncia di primo grado, nella parte in cui ha fondato il proprio convincimento sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, benché siano «illogiche ed incoerenti» (pagina 2 della sentenza impugnata).

    Tali conclusioni, in antitesi con la situazione di fatto riscontrata in altri procedimenti riguardanti il petrolchimico di Siracusa, muovono dal presupposto che l’esposizione all’amianto sia cessata il 31 dicembre 1992.

    La Corte di merito reputa inammissibili i motivi di gravame e osserva, a sostegno della decisione, che il termine finale di esposizione qualificata all’amianto è stato correttamente individuato dal consulente nel 31 dicembre 1992. Il d.lgs. n. 277 del 1991 ha favorito una più avvertita consapevolezza dei problemi connessi con l’amianto e ha indotto le imprese ad apprestare le necessarie misure di adeguamento.

    La sentenza d’appello riporta alcuni stralci della consulenza tecnica d’ufficio, posta a fondamento della decisione di primo grado: “Se è vero che l’amianto non può scomparire negli stabilimenti da un giorno all’altro, è altrettanto vero che l’attività di informazione e prevenzione può essere attuata in tempi brevi, ragionevolmente nell’ordine di mesi (non di un decennio), ottenendo, nonostante la perdurante presenza del materiale nocivo negli impianti e nei magazzini, un significativo abbattimento del rischio” (pagina 4 della sentenza).

    La Corte d’appello di Catania recepisce la scelta d’identificare nel 31 dicembre 1992 il termine per la valutazione dell’esposizione al rischio di amianto, in quanto si può ipotizzare che sia stata assicurata «una migliore gestione del problema amianto riducendo al minimo il rischio di esposizione».

    Ad avviso dei giudici d’appello, tali risultanze non sono contraddette dalle prove per testi, che, pur confermando la presenza dell’amianto anche dopo il 1992, non hanno offerto alcun ragguaglio in ordine alle eventuali misure preventive approntate dall’impresa.

    La sentenza impugnata incentra la statuizione d’inammissibilità dell’appello sui seguenti rilievi: «Dunque il c.t.u., le cui conclusioni sul punto sono state integralmente fatte proprie dal tribunale, lungi dall’affermare che l’amianto è sparito da un giorno all’altro dallo stabilimento ove il ricorrente lavorava, ha riconosciuto che le bonifiche sono terminate dopo il 2000, riconducendo ad altri dati di fatto e considerazioni la fissazione del termine finale dell’esposizione qualificata al 31.12.1992. A tali motivazioni, poste prima dal consulente e poi dal tribunale a fondamento della decisione, l’appellante non ha avanzato alcuna critica, appuntando le doglianze su un dato di fatto non negato, bensì riconosciuto dal ctu e dal giudice» (pagine 4 e 5 della sentenza impugnata).

    5.– La pronuncia d’inammissibilità dell’appello per mancata contestazione delle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, condivise dal giudice di primo grado, vìola l’art. 434 cod. proc. civ., evocato nel terzo mezzo proprio in relazione al punto saliente della mancata contestazione valorizzata dai giudici d’appello.

    6.– Giova rammentare che, per giurisprudenza oramai consolidata di questa Corte (Cass., S.U., 16 novembre 2017, n. 27199), gli artt. 342 e 434 cod. proc. civ., nel testo formulato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, prescrivono, a pena d’inammissibilità dell’impugnazione, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.

    Non occorre, dunque, l’impiego di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione, da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio d’appello, che serba inalterata la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.

    7.– Il Tribunale di Siracusa ha fatto leva sulle acquisizioni dell’elaborato peritale, che ha riscontrato una esposizione di nove anni, tre mesi e una settimana alle fibre di amianto, e ha individuato nel 31 dicembre 1992 la data finale di tale esposizione all’amianto, postulando l’integrale adeguamento da parte delle imprese alla normativa sopravvenuta.

    8.– Il ricorso per cassazione, nell’illustrazione degli antecedenti processuali rilevanti (pagine 9, 10, 11 e 12) e nell’esposizione analitica di tutte le censure, dà conto, con la necessaria specificità, della proposizione di contestazioni mirate agli argomenti enunciati dal giudice di prime cure.

    Contestazioni che rivestono portata dirimente, alla luce del fatto che l’esposizione accertata dal consulente tecnico d’ufficio designato dal Tribunale supera i nove anni e non si discosta in misura apprezzabile dai dieci anni previsti dalla legge.

    Sulle contestazioni dell’odierno ricorrente si attarda la stessa sentenza d’appello, nel compendiare, alla pagina 2, i motivi di gravame, incardinati sulla illogicità delle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio.

    Tali rilievi critici s’incentrano sulla considerazione che non è ragionevole supporre un tempestivo e integrale adempimento delle prescrizioni di legge alla data del 31 dicembre 1992, identificata senza il supporto di riferimenti circostanziati al caso di specie, sulla scorta di dati meramente congetturali, disancorati dal necessario riscontro in concreto.

    Per quanto lo stesso consulente tecnico d’ufficio rilevi che, alla data del 31 dicembre 1992, non si possa reputare definitivamente cessata l’esposizione all’amianto, egli assume convenzionalmente tale data come momento in cui non viene più in rilievo l’esposizione del lavoratore.

    È su questo profilo che s’incentrano le critiche del ricorrente, che indirizza le sue censure contro la metodologia prescelta dal consulente tecnico d’ufficio e condivisa dal Tribunale. Tali critiche non attribuiscono al perito la tesi della definitiva cessazione dell’esposizione all’amianto.

    Peraltro, è la stessa sentenza impugnata, nel riprodurre le valutazioni del consulente tecnico d’ufficio, a menzionare il contenuto delle prove testimoniali, che dimostrano la perdurante esposizione all’amianto, e a richiamare un’attività di bonifica del sito, che si è protratta anche oltre l’anno 2000.

    A fronte di tali emergenze, diffusamente esposte nel ricorso per cassazione con il costante richiamo all’atto di gravame, sono adeguate e pertinenti alla ratio decidendi le critiche veicolate nell’impugnazione dinanzi alla Corte d’appello, in quanto volte a sovvertire il caposaldo della motivazione della pronuncia di primo grado.

    Non solo, dunque, la stessa sentenza impugnata ragguaglia sulle critiche all’illogicità delle motivazioni della pronuncia di primo grado, ma sono gli stessi passi dell’elaborato peritale a disvelare quei profili problematici che i motivi di gravame hanno scalfito in modo rituale.

    Né il controricorso offre elementi risolutivi per confutare le

    deduzioni dell’odierno ricorrente e per avvalorare l’inammissibilità del gravame, per inosservanza dell’art. 434 cod. proc. civ., nell’interpretazione oramai costante nella giurisprudenza di questa Corte.

    9.– In virtù di tali rilievi, risulta smentita per tabulas la mancanza di specifiche contestazioni alla consulenza tecnica d’ufficio e, di riflesso, alla decisione del Tribunale, in quanto, della relazione peritale e della sentenza che l’ha condivisa, si additano le mende logiche e la mancanza di riscontri ancorati alle peculiarità della vicenda per cui è causa.

    L’odierno ricorrente critica quello che è il fulcro della relazione, recepita nella sua interezza dal giudice di primo grado: l’assunto che l’esposizione all’amianto non debba essere più valutata dopo il 31 dicembre 1992.

    Assunto che, nell’atto di gravame, il ricorrente ha sottoposto a critica serrata da un punto di vista eminentemente logico e con il richiamo a elementi di fatto probanti di una permanente esposizione all’amianto in quello che è il ragguardevole sito Petrolchimico di Siracusa.

    10.– Come si desume dall’illustrazione del terzo motivo e dal complesso del ricorso, le critiche alla decisione di primo grado ottemperano, dunque, ai requisiti di specificità sanciti dall’art. 434 cod. proc. civ., che non si possono intendere in senso formalistico come obbligo di redigere un progetto alternativo di sentenza.

    Ha errato, in definitiva, la Corte di merito nel considerare inammissibili le doglianze dell’odierno ricorrente sul presupposto della mancanza di specifiche contestazioni.

    11.– Restano assorbiti gli altri motivi di ricorso, che, pur variamente denominati e riferiti anche a vizi di nullità della sentenza, sottendono, a ben vedere, la disamina del merito della pretesa dedotta.

    Tale disamina è rimessa al giudice di rinvio, una volta che è stata acclarata l’infondatezza della declaratoria d’inammissibilità dell’appello, che ha precluso in limine il vaglio di merito.

    12.– La sentenza, dunque, è cassata per quanto di ragione.

    La causa è rinviata alla Corte d’appello di Catania, che rinnoverà l’esame della fattispecie controversa senza il vincolo della diversa composizione, in ragione della natura restitutoria del rinvio, e pronuncerà anche sulle spese del presente giudizio.

     

    P.Q.M.

     

    Accoglie il terzo motivo di ricorso; assorbe le restanti censure; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Catania.

 

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