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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 12/02/2024

    Lavoro - Indebita percezione della pensione di anzianità - Divieto di cumulo - Redditi da lavoro autonomo - Termine di prescrizione - Presentazione della dichiarazione IRPEF - Comunicazione - Atto interruttivo - Trattenute nei casi di superamento delle 50 giornate di lavoro - Tempo in cui l’indebito si è concretizzato - Accoglimento

     

    Fatti di causa

     

    1.– Con sentenza n. 1184 del 2016, depositata il 6 ottobre 2016, la Corte d’appello di Milano ha accolto il gravame dell’INPS e, in riforma della pronuncia del Tribunale della medesima sede, ha respinto il ricorso del signor G.D., volto ad accertare l’infondatezza della pretesa restitutoria vantata dall’INPS con comunicazione del 29 dicembre 2010, sulla base della violazione del divieto di cumulo tra pensione di anzianità e redditi da lavoro autonomo nel periodo dal primo gennaio 2000 al 30 giugno 2000, per il complessivo importo di Euro 7.368,40.

    A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha argomentato che la prescrizione non può decorrere prima della presentazione della dichiarazione IRPEF ai competenti uffici, che completa la fattispecie delineata dall’art. 10 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, e rappresenta «atto costitutivo della liquidazione definitiva della pensione di anzianità cumulata con reddito da lavoro» (pagina 8 della pronuncia). La comunicazione, nel caso di specie, è avvenuta il 5 ottobre 2001. Alla stregua di tali rilievi, è dunque tempestivo l’atto interruttivo del 29 dicembre 2010, ricevuto dal destinatario il 27 gennaio 2011.

    Quanto alla somma oggetto della richiesta di restituzione, l’Istituto ha depositato conteggi, finalizzati a chiarire la corretta imputazione degl’importi, e, su tali conteggi, il pensionato non ha svolto contestazioni di sorta.

    2.– Il signor G.D. impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Milano, con ricorso notificato il 21-28 febbraio 2017 e affidato a cinque motivi, illustrati da memoria in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio.

    3.– L’INPS resiste con controricorso, notificato il 10 aprile 2017.

    4.– Il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1., primo comma, cod. proc. civ.

    5.– Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.

    6.– Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei sessanta giorni successivi al termine della camera di consiglio (art. 380-bis.1., secondo comma, cod. proc. civ.).

     

    Ragioni della decisione

     

    1.– Con il primo motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente denuncia violazione delle «norme di diritto» degli artt. 98, 101 e 345 cod. proc. civ. e lamenta che la sentenza d’appello abbia irritualmente esteso l’esame anche a un periodo successivo a quello dedotto in causa.

    2.– Con il secondo mezzo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente deduce violazione dell’art. 10, comma 4-bis, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, e censura la sentenza impugnata nella parte in cui non ha configurato la fattispecie come un «normale indebito», in relazione all’importo che l’INPS avrebbe dovuto trattenere (almeno per il periodo di marzo e aprile 2000).

    3.– Con la terza critica (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2935 cod. civ. e osserva, a tale riguardo, che nessun impedimento di diritto si può ravvisare, idoneo a incidere sul decorso del termine di prescrizione.

    4.– Con la quarta censura (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente allega, in subordine, la violazione dell’art. 38, comma 7, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, che riguarderebbe qualsiasi percezione indebita di prestazioni pensionistiche per i periodi anteriori al primo gennaio 2001.

    5.– Con il quinto motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente, in via ulteriormente gradata, prospetta la violazione dell’art. 13 della legge 30 dicembre 1991, n. 412.

    Avrebbe errato la sentenza impugnata nel dare ingresso all’azione restitutoria, benché l’Istituto abbia omesso di verificare le situazioni reddituali e di recuperare l’indebito entro l’anno successivo alla comunicazione che il percipiente è tenuto a rendere.

    6.– Prioritario è l’esame del terzo motivo, attinente alla prescrizione della pretesa dedotta in causa.

    Il motivo è fondato, nei termini di seguito esposti.

    7.– Nel presente giudizio, si controverte sull’indebita percezione della pensione di anzianità per il periodo dal primo gennaio 2000 al 30 giugno 2000. L’indebito, pari a un ammontare di Euro 7.368,40, trae origine dal cumulo fra pensione di anzianità e redditi da lavoro autonomo, in misura superiore a quella sancita dalla legge.

    A tale riguardo, l’art. 10 del d.lgs. n. 503 del 1992 così dispone, al comma 4: «Nei casi di cumulo con redditi da lavoro autonomo, ai fini dell’applicazione del presente articolo, i lavoratori sono tenuti a produrre all’ente o ufficio erogatore della pensione dichiarazione dei redditi da lavoro riferiti all’anno precedente, entro lo stesso termine previsto per la dichiarazione ai fini dell’IRPEF per il medesimo anno.

    Alle eventuali trattenute provvedono gli enti previdenziali competenti, le direzioni provinciali del tesoro e gli altri uffici pagatori dei trattamenti delle pensioni di cui all’articolo 1 della legge 29 aprile 1976, n. 177, che sono, altresì, tenuti alla effettuazione delle trattenute nei casi di superamento delle cinquanta giornate di lavoro cui al comma 2 relativamente ai periodi lavorativi per i quali non ha operato la trattenuta del datore di lavoro ai sensi del comma 3».

    L’art. 10, comma 4-bis, del d.lgs. n. 503 del 1992, aggiunto dall’art. 1, comma 210, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, stabilisce, inoltre, che: «Le trattenute delle quote di pensione non cumulabili con i redditi da lavoro autonomo vengono effettuate provvisoriamente dagli enti previdenziali sulla base della dichiarazione dei redditi che i pensionati prevedono di conseguire nel corso dell’anno. A tal fine gli interessati sono tenuti a rilasciare all’ente previdenziale competente apposita dichiarazione. Le trattenute sono conguagliate sulla base della dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti, rilasciata dagli interessati entro lo stesso termine previsto per la dichiarazione dei redditi ai fini dell’IRPEF».

    8.– Come emerge dal ricorso per cassazione (pagina 2) e dalla stessa sentenza impugnata (pagine 2 e 3), il Tribunale di Milano ha accolto l’eccezione di prescrizione della pretesa restitutoria azionata dall’INPS con comunicazione inviata il 29 dicembre 2010.

    Il giudice di primo grado ha fatto decorrere il termine di prescrizione dall’effettuazione del pagamento indebito e, a fronte della presentazione della dichiarazione preventiva e della dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta 2000, con la compilazione del quadro RE, ha escluso un comportamento doloso del debitore, suscettibile di sospendere il corso della prescrizione, ai sensi dell’art. 2941, n. 8, cod. civ.

    9.– L’Istituto, nell’interporre gravame, ha evidenziato che «eventualmente» solo dal 5 ottobre 2001 «può decorrere il termine di prescrizione, in quanto solo da tale data l’INPS è stato posto in condizione di conoscere i redditi dell’anno 2000» (pagina 3 della sentenza d’appello, che così compendia le doglianze dell’INPS).

    10.– È dunque la prescrizione, trattata nel terzo motivo, il tema saliente del contendere.

    La Corte territoriale ha accolto l’appello, sul presupposto che la prescrizione, accertata dal giudice di prime cure, «non potrebbe decorrere prima della presentazione della dichiarazione ai fini IRPEF ai competenti uffici, atto costitutivo della liquidazione definitiva della pensione di anzianità cumulata con reddito da lavoro (nella stessa prospettazione dell’appellato) e, quindi, nel caso in esame, dal 5.10.2001» (pagina 8 della sentenza d’appello).

    11.– Tale affermazione presta il fianco alle censure del ricorrente.

    11.1.– A fronte di una dichiarazione dei redditi presentata il 5 ottobre 2001, utile, per ammissione dell’Istituto (la richiamata pagina 3 della sentenza impugnata) e per espresso accertamento della Corte di merito (pagina 8), a offrire indicazioni rilevanti sulle condizioni economiche del beneficiario, l’azione di recupero intrapresa a ragguardevole distanza di tempo, con comunicazione del 29 dicembre 2010, ricevuta il 27 gennaio 2011, esula dalla fisiologica dissociazione tra il momento dell’erogazione provvisoria della prestazione e quello successivo della liquidazione definitiva e dalle correlate operazioni di mero conguaglio, che avvengono in stretta consecuzione temporale con l’acquisizione dei dati necessari all’esatta quantificazione dell’importo dovuto.

    11.2.– Il fatto genetico della pretesa dell’INPS, inquadrata nelle descritte coordinate temporali, s’identifica pur sempre nell’esecuzione di un pagamento indebito e dev’essere individuato, anche ai fini del decorso del termine di prescrizione, alla stregua del tempo in cui l’indebito si è concretizzato, in conseguenza del superamento, di volta in volta, dei limiti posti dalla legge al cumulo tra la pensione e i redditi da lavoro autonomo.

    A tale dato occorre, dunque, avere riguardo, per individuare l’exordium praescriptionis.

    Non è la presentazione della dichiarazione dei redditi, valorizzata dalla Corte d’appello alla pagina 8 della sentenza impugnata, a qualificare il pagamento come indebito, perfezionando il fatto costitutivo della pretesa dedotta, e a riverberarsi così sul dies a quo della prescrizione.

    Alla luce di tali considerazioni, occorre dunque riesaminare la questione decisa in senso difforme dai giudici di merito e ponderare l’esistenza di eventuali impedimenti di diritto, rigorosamente intesi, o di cause sospensive o interruttive, suscettibili d’incidere sul corso della prescrizione.

    Vengono in rilievo, in tale disamina, tutti gli elementi di fatto acquisiti in causa, concernenti, anzitutto, le informazioni disponibili all’INPS, anche in virtù della dichiarazione provvisoria resa dall’interessato e dei poteri conoscitivi che spettano all’Istituto.

    Specularmente, si dovrà apprezzare, nella sua interezza, il comportamento tenuto dal beneficiario.

    12.– La sentenza d’appello è dunque cassata, in relazione alla censura accolta.

    Restano assorbiti i motivi restanti.

    La causa è rinviata alla Corte d’appello di Milano che, in diversa composizione, rivaluterà la fattispecie controversa e scrutinerà l’eccezione di prescrizione, alla luce dei principi di diritto richiamati e dei rilievi svolti.

    Al giudice di rinvio è rimessa, infine, la pronuncia sulle spese del presente giudizio.

     

    P.Q.M.

     

    Accoglie il terzo motivo di ricorso; assorbe i restanti motivi; cassa l’impugnata sentenza in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione.

 

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