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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 12/02/2024

    Lavoro - Contratto d'opera - Revisione della gestione amministrativa e fiscale della società - Nuovo albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili - Principio generale di libertà di lavoro autonomo - Esercizio abusivo delle professioni di dottore commercialista o di ragioniere e perito commerciale - Accoglimento 

     

    Fatti di causa

     

    1. M. Snc di L.M. e T. conveniva avanti il Tribunale di Busto Arsizio la società F. Srl, chiedendo l'accertamento della nullità del contratto intercorso con questa società per avere la medesima svolto un'attività cd. protetta perché riservata ai dottori commercialisti e consulenti del lavoro, la condanna della stessa alla restituzione delle somme versate a titolo di corrispettivo, il risarcimento dei danni costituiti dai compensi corrisposti ad altri professionisti per la revisione della gestione amministrativa e fiscale della società e la riparazione del danno non patrimoniale sofferto.

    2. Con sentenza n. 1398/2018, il Tribunale di Busto Arsizio, nella resistenza di F. Srl, accertava la nullità del contratto d'opera intercorso tra le parti e condannava la convenuta al pagamento in favore dell'attrice della somma di euro 51. 917, 15, oltre interessi dalla data della domanda al saldo e rimborso delle spese di lite.

    3. Avverso tale decisione proponeva appello F. srl. Si costituiva la società appellata.

    4. Con sentenza n. 1890/2019 la Corte di Appello di Milano accoglieva il gravame e per l'effetto, con integrale riforma della pronuncia impugnata, respingeva le domande formulate da M Snc di LM e T condannandola al pagamento delle spese di lite.

    5. Nei confronti di tale decisione M. Snc di L.M. e T. ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.

    6. F. Srl ha resistito con controricorso.

    7. In prossimità dell'adunanza la ricorrente ha depositato memoria.

     

    Ragioni della decisione

     

    1.- Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell'art. 1 del d. lgs. n. 139/2005 e degli artt. 1 e 2 della legge n. 12/1979, in relazione all'art. 2231 c.c., nel punto in cui la decisione impugnata ha affermato che le attività rese da F. S.r.l. non rientrano tra quelle riservate in via esclusiva ai dottori commercialisti, ai ragionieri, ai consulenti del lavoro.

    La sentenza gravata non avrebbe infatti tenuto conto dell'art. 1 del d.lgs. n. 139/2005, istitutivo del nuovo albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, che puntualmente definisce l'ambito delle attività riservate agli iscritti, nonché della legge n. 12/1979, istitutiva dell'albo dei consulenti del lavoro, che a sua volta delimita l'ambito delle attività riservate a tale categoria e della decisione delle Sezioni Unite penali di questa Corte n. 11545/2012, che dive significa la validità delle attività svolte prima e dopo la data di entrata in vigore del decreto legislativo su citato.

    2.- Con il secondo motivo la ricorrente censura (con riferimento all'art. 360 comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c.) la violazione o falsa applicazione dell'art. 2231 c.c. in relazione all'art. 348 c.p. e l'omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ovvero il carattere continuativo oneroso ed organizzato dell'attività svolta dalla F. S.r.l.

    3.- Con il terzo motivo, ex art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c., M. Snc di L.M. e T. lamenta l'omesso esame circa le effettive prestazioni rese da F. S.r.l. perché la sentenza impugnata non ha considerato prove decisive sul punto che avrebbero consentito di definire in modo più conclamato il carattere abusivo dell'attività esercitata da tale società.

    4.- Il ricorso si chiude con una richiesta di rimessione alle Sezioni Unite per sussistenza di un contrasto giurisprudenziale sul punto dello svolgimento di attività riservate agli iscritti ad albi tra la Cassazione penale, che ritiene illecita l'attività oggetto del presente giudizio, da un lato e, dall'altro lato, l'ordinanza n. 13342/2018 e la sentenza n. 8683/2019 della Cassazione civile richiamate dalla decisione impugnata.

    5.- Il primo e il secondo motivo di ricorso, per ragioni di connessione, possono essere scrutinati congiuntamente e sono fondati.

    5.1.- La sentenza gravata ha ritenuto che le prestazioni svolte dalla F. Srl (consistenti "nella compilazione e presentazione delle dichiarazioni fiscali dovute dalla società attrice; nella tenuta della contabilità della società; nell'elaborazione delle buste paga;

    nella presentazione di istanze di annullamento in autotutela in campo fiscale; nel pagamento di imposte; nell'elaborazione di studi di settore, nel disbrigo di pratiche presso la CCIA; nella cura dei rapporti previdenziali") per le quali viene richiesto il compenso non rientrino tra quelle riservate in via esclusiva ai dottori commercialisti, ai ragionieri, ai consulenti del lavoro.

    Ha di conseguenza escluso l'invocata nullità del contratto intercorso tra le parti in causa sulla scorta di una serie di decisioni di legittimità che hanno richiamato, al di fuori delle attività comportanti prestazioni che possono essere fornite solo da soggetti iscritti ad albi o provvisti di specifica abilitazione, per tutte le altre attività di professione intellettuale o per tutte le altre prestazioni di assistenza o consulenza, il principio generale di libertà di lavoro autonomo, di libertà di impresa e di servizi e di concorrenza.

    Nella sua scansione argomentativa la Corte distrettuale: a) non risulta effettivamente avere considerato in maniera separata le attività svolte da F. potenzialmente riservate agli iscritti all'albo dei consulenti del lavoro e quelle di competenza degli iscritti nell'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili (in precedenza i ragionieri), che rientrano, rispettivamente, nel raggio di applicazione della legge n. 12/1979 e nell'ambito di operatività dell'art. 1 del d. lgs. n. 139/2005, omettendo di compiere un'attenta analisi di ogni singola attività svolta, al fine di riscontrare la sua riconduzione o meno alle attività consentite o viceversa vietate per gli iscritti ai due ordini professionali; b) non risulta avere tenuto in debito conto che le attività svolte dalla F Sri in favore della ricorrente (dall'anno 2004 all'anno 2013) rende la fattispecie, per quanto riguarda le attività riservate in via esclusiva "ai dottori commercialisti e ai ragionieri", in parte ricadente sotto la vigenza del D.P.R. n. 1067/1953, in parte (prevalente) riconducibile al D. Lgs. n. 139/2005, che ha istituito l'Albo unificato dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, e, oltre a una elencazione di attività comune alle due categorie (riproducente quella già relativa ai commercialisti secondo il D.P.R. n. 1067 del 1953), ha previsto un lungo elenco di altre attività di riconosciuta competenza tecnica dei soli iscritti alla Sezione A (Commercialisti) e un elenco di attività di riconosciuta competenza tecnica degli iscritti alla Sezione B (Esperti contabili) dell'Albo; c) ha trascurato la giurisprudenza penale inaugurata dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. SS.U. n. 11545/2012, seguita dalle Sezioni semplici, senza formali dissensi: Cass. pen. n. 16366/2019; n. 33464/2018; n. 26617/2016; n. 14815/2016), la quale ha ritenuto che, prima della promulgazione del d. lgs. n. 139/2005, le condotte di tenuta della contabilità aziendale, di redazione delle dichiarazioni fiscali e di effettuazione dei pagamenti non integravano reato di esercizio abusivo delle professioni di dottore commercialista o di ragioniere come disciplinate dal DPR n. 1067 /1953 (Ordinamento della professione di dottore commercialista) e dal D.P.R. n. 1068/1953 (Ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale), anche se svolte da chi non fosse stato iscritto nei relativi albi in modo continuativo organizzato e retribuito, mentre dopo la promulgazione del citato d. lgs. n. 139/2005 si configura l'illiceità sul piano penale, ai sensi dell'art. 348 c.p., dello svolgimento dell'attività da parte del non iscritto all'albo, con conseguente nullità del contratto di prestazione d'opera.

    5.2.- Per salvaguardare gli interessi di chi fruisce dell'attività dei professionisti, la legge pretende che determinate attività, "per la loro delicatezza, e per l'opportunità che chi le svolge sia sottoposto a controlli, s,a nell'accesso sia nello svolgimento della professione ed anche sotto il profilo del rispetto della deontologia nei contatti con i clienti, possano essere svolte solo dai professionisti iscritti in determinati albi. La finalità di prevedere che alcune attività siano riservate ai professionisti iscritti è quindi quella di rafforzare la tutela del privato che si avvale di un professionista, e di garantire indirettamente una maggiore professionalità nella gestione degli aspetti più delicati di ogni attività" (Cass. n. 14247/2020).

    Questo Giudice di legittimità è stato chiamato in più occasioni a tracciare la linea di discrimine tra attività riservate alle c.d. professioni protette e attività c.d. libere, per le quali riprende vigore il principio generale di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi, a seconda del contenuto delle prestazioni e della relativa organizzazione.

    In questo contesto, come accennato, la decisione resa a Sezioni Unite dalla Cassazione penale (n. 11545/2012) ha affermato il principio di diritto per cui le condotte di tenuta della contabilità aziendale, redazione delle dichiarazioni fiscali ed effettuazione dei relativi pagamenti, non integrano il reato di esercizio abusivo delle professioni di dottore commercialista o di ragioniere e perito commerciale, quali disciplinate, rispettivamente, dai d.P.R. n. 1067 e 1068 del 1953, anche se svolte - da chi non sia iscritto ai relativi albi professionali - in modo continuativo, organizzato e retribuito, tale da creare, in assenza di indicazioni diverse, le apparenze di una tale iscrizione, dovendo invece pervenirsi ad opposta conclusione, in riferimento alla professione di esperto contabile, se le condotte in questione siano poste in essere, con le caratteristiche suddette, nel vigore del d.lgs. n. 139 del 2005.

    La sentenza in esame ha ritenuto di dovere aderire al più recente orientamento che, superando quello tradizionale, secondo il quale gli atti inclusi nella "protezione" penale accordata dall'ordinamento erano ritenuti solo quelli attribuiti in via esclusiva a una determinata professione, a fare data da Cass. pen. Sez. 6, n. 49 del 08/10/2002, 2003, aveva invece opinato nel senso che, ai fini della norma incriminatrice in esame, assumessero rilevanza tutti gli atti comunque "caratteristici" di una data professione, ricomprendendosi fra gli stessi, oltre agli atti ad essa attribuiti in via esclusiva, anche quelli che la sentenza definisce "relativamente liberi", nel senso che chiunque può compierli a titolo occasionale e gratuito, ma il cui compimento (strumentalmente connesso alla professione) resta invece "riservato" se avvenga in modo continuativo, stabile, organizzato e remunerato, in un modo cioè che ne costituisca di fatto esercizio, creando tutte le apparenze (organizzazione, remunerazione, ecc.) del loro compimento da parte di soggetto munito del titolo abilitante.

    La sentenza ha avuto cura di precisare che la condotta "abituale" ritenuta punibile in tale ricostruzione deve essere posta in essere con le oggettive apparenze di un legittimo esercizio professionale, perché solo a questa condizione, in presenza di atti non riservati per se stessi, si viola appunto il principio della generale riserva riferita alla professione in quanto tale, con correlativo tradimento dell'affidamento dei terzi. Ne consegue che quando tali apparenze mancano, sia per difetto di abitualità, organizzazione o remunerazione, sia perché il soggetto agente espliciti in modo inequivoco che egli non è munito di quella specifica abilitazione e opera in forza di altri titoli o per esperienza personale comunque acquisita, si è fuori dell'ambito di applicazione dell'art. 348 c.p.

    5.3. - Con riguardo allo svolgimento da parte di non iscritti di attività che connotano tipicamente la professione dei commercialisti e degli esperti contabili, questa Corte ha ritenuto di rimeditare la conclusione favorevole alla validità da parte di non iscritti all'albo di attività che connotano tipicamente quella professione, nella consapevolezza che anche dopo la svolta della giurisprudenza penale alcune pronunce delle sezioni civili hanno affermato la validità di contratti aventi ad oggetto analoghe prestazioni.

    Il dichiarato intento è stato quello di recuperare la coerenza sistematica dell'ordinamento nei casi in cui la validità del contratto sia strettamente collegata alla valutazione che dei medesimi fatti sia chiamato a svolgere il giudice penale, non apparendo tollerabile che una condotta ritenuta abusiva, e tale da concretare il reato di cui all'art. 348 c.p., proprio in ragione della conclusione che la condotta sanzionata sia stata posta in essere da chi non era in possesso dei requisiti legali per il suo svolgimento, possa poi ricevere una diversa ed antitetica valutazione in sede civilistica, legittimando l'autore del reato a pretendere il compenso per l'attività ritenuta criminosa.

    Con l'ordinanza n. 15004/2021, alle cui approfondite motivazioni il Collegio ritiene di dovere fare rinvio, questa Corte ha condiviso l'approdo cui è pervenuta la giurisprudenza penale, ritenendo che ai fini della previsione di cui all'art. 2231 c.c. debba affermarsi il principio per cui le condotte di tenuta della contabilità aziendale, di redazione delle dichiarazioni fiscali e di effettuazione dei relativi pagamenti, nel vigore del d. lgs. n. 139/2005 integrano il reato di esercizio abusivo della professione di esperto contabile se svolte da chi non si è iscritto ai relativi albi professionali io modo continuativo e organizzato, tale da creare - in assenza di indicazioni diverse - le apparenze di una tale iscrizione.

    5.3.1.- L'orientamento delle Sezioni Unite penali neppure si pone in contrasto con i principi posti dalla Consulta con la sentenza n. 418/1996, richiamati dalla sentenza impugnata a sostegno delle conclusioni raggiunte.

    È la stessa decisione n. 11545/2012 ad evidenziare come, alla luce delle questioni devolute in quell'occasione al giudice delle leggi, le affermazioni dello stesso si erano interamente e costantemente mantenute sul piano dei problemi inerenti alle attribuzioni esclusive di specifiche attività, da escludere in assenza di univoche indicazioni in contrario (ed escluse in concreto in riferimento ai DD.PP.RR. n. 1067 e 1068/1953 presi in considerazione), rimanendo quindi fuori dal suo ambito la questione della possibile rilevanza, ai fini dell'applicabilità dell'art. 348 c.p., dello svolgimento di specifiche attività attribuite a una professione soggetta ad abilitazione non in via esclusiva, ma sotto il profilo della particolare competenza tecnica, attuato da un non abilitato in forma sistematica e con le oggettive apparenze del possesso del relativo titolo, e da ritenere, (solo) per e in tali modalità, "riservato" alla professione stessa.

    5.4.- Quanto al potenziale contrasto tratteggiato in ricorso tra la giurisprudenza penale di legittimità, da un lato, e l'ordinanza n. 13342/2018 e la sentenza n. 8683/2019, dall'altro lato, sulle quali ha fatto leva la sentenza impugnata, va osservato che tali ultime decisioni non solo non si addentrano specificamente nella questione oggetto della presente disamina, anche in forza della configurazione dei motivi di ricorso, ma richiamano precedenti di questo Giudice (come Cass. n. 14085/2010 e Cass. n. 15530/2008) che già l'ordinanza n. 15004/2021 ha riscontrato pronunciati su attività che non erano incluse all'epoca nelle elencazioni specifiche delle attività qualificate come di particolare competenza delle professioni commerciali, attenendo peraltro a fatti antecedenti l'entrata in vigore del d. lgs. n. 139/2005 e che erano comunque svolte nell'esercizio della professione di consulente del lavoro e, quindi, senza l'indotta apparenza di un esercizio facente capo a soggetto abilitato a professione commerciale.

    Non solo non sussistono ragioni di rimessione alle Sezioni Unite, secondo quanto prospettato dal ricorrente, a causa del mancato contrasto tra precedenti, ma il conforto alle conclusioni raggiunte dalla sentenza impugnata poggia su decisioni che si rivelano inconferenti all'uopo.

    5.5.- Con specifico riguardo all'attività riservata ai consulenti del lavoro, precedenti di questa Corte (Cass. pen. n. 26294/2021) hanno specificamente ricordato "che in linea di principio le mansioni di amministrazione della busta paga, dei rapporti con enti previdenziali, ed in genere della contrattualistica di lavoro, sono rimesse al datore di lavoro che deve occuparsene personalmente o per mezzo di propri dipendenti e sotto la propria responsabilità. Attesa la sempre maggiore complessità di detti adempimenti, è stato opportunamente previsto in alternativa, ex art. 1 comma 1, legge n. 12/1979, che il datore di lavoro possa delegare tali incombenze ad un consulente del lavoro abilitato, iscritto nel relativo albo professionale nonché ad altre figure professionali (professionisti iscritti negli albi degli avvocati e procuratori legali, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali)".

    In argomento è intervenuta anche la giurisprudenza amministrativa, per precisare che le attività di carattere complesso e articolato nelle quali si estrinseca uno sforzo di carattere intellettuale implicante l'acclarato possesso di specifiche cognizioni lavoristico-previdenziali, che non si esaurisce nel mero compimento di operazioni materiali di calcolo (come quelle svolte dai centri di elaborazione dati, sulle quali fa leva il controricorso), ricadono nella generale - e residuale - categoria degli "adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale", per i quali opera la riserva dell'iscrizione agli albi professionali di cui all'articolo 1 della I. n. 12 del 1979.

    Tra queste, l’ “adeguamento delle buste paga a seguito di eventuali variazioni retributive e normative", l' "assolvimento degli adempimenti presso gli enti pubblici territorialmente competenti coinvolti nella gestione dei rapporti di lavoro", l' “attività di consulenza per l'amministrazione del personale", con particolare riguardo a quelle da fornire "in occasione di eventuali accertamenti ispettivi" (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 103/2015).

    5.6.- Come già precisato, il giudice di appello ha affermato la validità del contratto intervenuto tra le parti senza peritarsi di riscontrare tutti gli elementi in base ai quali l'ordinamento esclude, alla luce della suesposta evoluzione giurisprudenziale, la nullità del contratto relativo allo svolgimento delle attività tipiche della professione del consulente del lavoro e del dottore commercialista ed esperto contabile.

    5.6.1.- Con più specifico riferimento all'indotta apparenza di un esercizio facente capo a soggetto abilitato a professione commerciale, oggetto del secondo motivo di ricorso (in realtà, "corollario della censura che precede", come affermato dalla stessa ricorrente), questo Collegio osserva che le modalità del compimento in forma organizzata e remunerata delle attività assume una specifica rilevanza ai fini della riconduzione della condotta del soggetto agente al reato di cui all'art. 348 c.p. (da ultimo Cass. n. 15423/2023), posto che la creazione delle apparenze di un legittimo esercizio professionale viola il principio della generale riserva riferita alla professione in quanto tale.

    Anche l'ordinanza n. 15004/2021, alla quale in questa sede si è fatto specifico riferimento, ha fatto leva sullo svolgimento in forma sistematica delle attività prestate dai soggetti non abilitati, ravvisando la ratio ultima del delicato bilanciamento tra attività "riservate" e attività "consentite" proprio nella protezione dell'affidamento della clientela.

    Secondo la ricorrente, siffatta conformazione dell'attività svolta è risultata presente dagli atti di causa in capo alla F Srl (fosse solo in ragione della sua lunga durata).

    Manca nella sentenza impugnata anche ogni valutazione al riguardo, che sarà compito del giudice del rinvio compiere.

    6.- In accoglimento dei primi due motivi proposti la sentenza impugnata deve infatti essere cassata con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Milano, che, in diversa composizione, si atterrà ai su riportati principi di diritto e deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

    7.- Il terzo motivo deve essere dichiarato assorbito, posto che l'accoglimento dei primi due motivi priva di significato decisorio ogni considerazione al riguardo.

    8.- In conclusione, vanno accolti i primi due motivi di ricorso, va dichiarato assorbito il terzo. La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice a quo, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

     

    P.Q.M.

     

    Accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbito il terzo e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

 

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