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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 07/12/2023

    Lavoro - Riconoscimento diritto all’assegno sociale - Difetto dello stato di bisogno - Rigetto

     

    Rilevato che

     

    Con sentenza del giorno 10.6.2021 n. 497, la Corte d’appello di Salerno accoglieva il gravame proposto dall’Inps, avverso la sentenza del tribunale di Salerno che aveva accolto la domanda di A.D.S., volta a chiedere giudizialmente il riconoscimento del diritto all’assegno sociale, dopo che l’Inps aveva rigettato la relativa domanda, per difetto dello stato di bisogno, in quanto non erano state specificate le condizioni economiche della separazione dal coniuge della ricorrente, dovendosi tenere conto dei redditi di mantenimento conseguibili.

    Il tribunale per l’accoglimento della domanda di erogazione dell’assegno sociale, riteneva che, ai fini della determinazione delle condizioni economiche, fosse sufficiente la sussistenza oggettiva di un reddito al di sotto della soglia per l’anno in cui era stata chiesta la prestazione assistenziale e non anche le disponibilità economiche acquisibili per via di mantenimento.

    La Corte d’appello da parte sua, a sostegno del gravame dell’Inps, pur rilevando come la richiesta di assegno di mantenimento al coniuge separato non costituisca un requisito necessario ai fini dell’accesso al diritto ovvero ai fini della misura dell’assegno, tuttavia ha ritenuto che lo stato di bisogno deve essere effettivo e accertato caso per caso per beneficiare della provvidenza economica ed a questo fine devono essere valutati tutti gli elementi che possano convincere della insussistenza dello stato di bisogno effettivo come un comportamento fraudolentemente preordinato a far apparite un insussistente stato di bisogno: nella specie, la Corte del merito ha accertato come la ricorrente avesse tenuto un comportamento intenzionalmente preordinato a far apparire uno stato di bisogno al fine di accedere alla prestazione (secondo i molteplici elementi rilevato alla p. 5 della sentenza impugnata).

    Avverso la sentenza della Corte di appello, A.D.S. ricorre per cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, mentre, mentre l’Inps ha resistito con controricorso.

    Il collegio riserva ordinanza, nel termine di sessanta giorni dall’adozione della decisione in camera di consiglio.

     

    Considerato che

     

    Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché, a fronte di un motivo di appello dell’Istituto previdenziale che lamentava solo che la prestazione non può essere concessa quando vi siano patti che escludano ogni forma di mantenimento, la Corte territoriale avrebbe illegittimamente esteso la sua indagine, accertando altresì la condotta fraudolenta della Di Simone.

    Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., perché erroneamente, la Corte territoriale avrebbe tratto elementi di convincimento per la propria decisione d’insussistenza dello stato di bisogno, da un documento prodotto dall’Istituto previdenziale solo in grado di appello, senza pronunciarsi sulla sua ammissione e relativo alle condizioni economiche e patrimoniali dell’ex coniuge della ricorrente.

    Con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 3 commi 6 e 7 della legge n. 335 del 1995, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché, la Corte d’appello aveva erroneamente introdotto, per l’attribuzione del diritto all’assegno sociale, ulteriori requisiti che la legge non prescriveva.

    Il primo motivo è infondato, in quanto l’accertamento espresso dalla Corte del merito, relativamente alla condotta fraudolenta della ricorrente, volta a far apparire un inesistente stato di bisogno, faceva senz’altro parte del thema probandum ac decidendum relativo all’accertamento dei presupposti della sussistenza di un effettivo e non fittizio stato di bisogno, per il riconoscimento del beneficio richiesto, accertamento che la Corte d’appello poteva effettuare, in relazione ai suoi poteri officiosi, ex artt. 421 e 437 c.p.c. (inoltre, la stessa ricorrente, alla p. 12 del ricorso, riferisce che l’Inps aveva introdotto fin dal primo grado, la questione “dell’intento fraudolente”).

    Il secondo motivo è, in via preliminare, inammissibile, perché contesta un accertamento di fatto espresso dalla Corte distrettuale (sull’insussistenza dello stato di bisogno) che è di competenza esclusiva del giudice del merito, incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato nei limiti di cui all’art. 360 primo comma n. 5 nella specie rispettati. Il motivo è, altresì, inammissibile, perché privo di rilevanza, attesi tutti gli altri indici rivelatori, enucleati dalla Corte d’appello (cfr. p. 5 della sentenza impugnata), dell’intento fraudolento ordito dalla ricorrente che non sono stati fondatamente contestati dalla ricorrente.

    Il terzo motivo è infondato.

    Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il diritto alla corresponsione dell'assegno sociale ex art. 3, comma 6, della l. n. 335 del 1995, prevede come unico requisito lo stato di bisogno effettivo del titolare, desunto dall'assenza di redditi o dall'insufficienza di quelli percepiti in misura inferiore al limite massimo stabilito dalla legge, restando irrilevanti eventuali altri indici di autosufficienza economica o redditi potenziali, ma tuttavia, non vi deve essere stato un intento fraudolento nel preordinare tale stato di bisogno (Cass. n. 24954/21, in motivazione), perché lo stato di bisogno deve essere effettivo e non apparente.

    Nella specie, la Corte d’appello ha verificato l’esistenza di un comportamento fraudolento, volto a creare l’apparenza di uno stato di bisogno (cfr. p. 5 della sentenza impugnata), e tale accertamento di fatto non risulta “scalfito” dalle censure della ricorrente.

    Al rigetto del ricorso, consegue la condanna alle spese di lite, secondo quanto meglio indicato in ricorso.

    Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo rispetto a quello già versato a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002.

     

    P.Q.M.

     

    Rigetta il ricorso.

    Condanna la ricorrente a pagare all’Inps le spese di lite, che liquida nell’importo di € 3.500,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.

    Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.

 

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