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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 25/05/2023

    Lavoro - Pubblico impiego - Permanenza in servizio fino alla legittima data di pensionamento - Collocamento in quiescenza per raggiunti limiti di età - Regime delle finestre previsto dall’art. 12 della Legge n. 122/2010 - Massima anzianità contributiva - Rigetto  

     

    Fatti di causa

     

    1. - La Corte d’appello di Salerno, in parziale accoglimento del gravame proposto da D.C., già dipendente dell’I.N.P.S., ha accertato il suo diritto al trattenimento in servizio nel periodo dal 1° marzo 2011 al 1° marzo 2012 e condannato l’istituto previdenziale al risarcimento del danno conseguente alla mancata permanenza in servizio, siccome quantificato dallo stesso Istituto, oltre alla refusione delle spese di lite.

    1.1. - Per quanto qui rileva la Corte territoriale ha sintetizzato la vicenda processuale nel modo seguente:

    - il C. aveva presentato sin dal 21 dicembre 2009 istanza di permanenza in servizio per un biennio oltre il sessantacinquesimo anno di età, prevedendo di non raggiungere i quarant’anni di servizio effettivo e contributivo alla data del compimento del sessantacinquesimo anno di età, il 7 febbraio 2011;

    - con nota del 2 febbraio 2011 l’I.N.P.S. aveva invece confermato il suo collocamento in quiescenza a decorrere dal 1° marzo 2011 per raggiunti limiti di età;

    - il C. aveva insistito dapprima in via amministrativa e poi innanzi al giudice del lavoro per l’affermazione del proprio diritto alla permanenza in servizio fino alla legittima data di pensionamento, individuata nel 1° marzo 2012, beneficiando della finestra di accesso di dodici mesi alla pensione di vecchiaia ai sensi dell’art. 12 del d.l. n. 78 del 2010, chiedendo la condanna dell’istituto al pagamento della differenza tra gli stipendi dovuti e la pensione erogata nel periodo 1° marzo 2011-1° marzo 2012;

    - il giudice di prima istanza aveva disatteso la domanda sul rilievo che il C. non rientrava nel regime delle finestre previsto dall’art. 12 della l. n. 122 del 2010.

    1.2. – Tanto premesso, la Corte di merito ha osservato che il C. aveva maturato i requisiti per la pensione nel febbraio 2011, allorché risultava per lui aperta la finestra sancita dall’art. 12 del d.l. n. 78 del 2010, sicché egli sarebbe dovuto andare in pensione di vecchiaia ope legis con decorrenza dal 1° marzo 2012 e non dal 1° marzo 2011, non rientrando fra i casi di non applicazione delle finestre, di cui ai commi 4 e 5 del medesimo art. 12, in quanto il differimento di dodici mesi sancito dalla richiamata disposizione decorreva dalla data di maturazione dei requisiti, non avendo senso, peraltro, affermare l’inutilizzabilità della finestra laddove il lavoratore avente accesso al trattamento pensionistico ai sensi dell’art. 1 comma 6 della l. n. 234 del 2004 (ndr art. 1 comma 6 della D.L. n. 234 del 2004), in assenza di domanda in tal senso, possa con essa beneficiare del più favorevole trattamento pensionistico di vecchiaia.

    2. - Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione l’I.N.P.S. articolando due motivi, cui resiste il C. con controricorso.

    3. – Il controricorrente ha depositato memoria.

    4. - Il processo, a seguito di ordinanza interlocutoria di questa Sezione del 23 novembre 2018, giunge in decisione all’esito della trattazione in pubblica udienza nella quale sono intervenuti i difensori delle parti e il rappresentante del Pubblico Ministero, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

     

    Motivi della decisione

     

    1. - Con il primo motivo l’I.N.P.S. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del d.l. n. 78 del 2010, conv. con modif. nella l. n. 122 del 2010 e dell’art. 1 della l. n. 243 del 2004 (ndr art. 1 della D.L. n. 234 del 2004), con riferimento all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto sussistente il diritto del dipendente a rimanere in servizio oltre i sessantacinque anni di età sebbene avesse già raggiunto i requisiti per l’accesso alla pensione di anzianità, atteso che la normativa invocata dal lavoratore sarebbe riferibile ai dipendenti che hanno titolo unicamente al trattamento di pensione di vecchiaia e non abbiano maturato altro titolo di pensione.

    1.1. - Il motivo, nei termini formulati e riferito al regime delle cd. “finestre”, è infondato.

    1.2. - La Corte di merito ha rilevato che «avendo il C. maturato i requisiti per la pensione nel febbraio 2011 e risultando per lui aperta la finestra sancita dall’art. 12 del d.l. n. 78 del 2010, egli, ope legis, sarebbe dovuto andare in pensione di vecchiaia con la decorrenza dell’1.3.2012 e non dell’1.3.2011», escludendo altresì che ricorresse nella specie un’ipotesi di deroga al regime delle “finestre”.

    1.3. - L’affermazione sul piano fattuale contenuta nella sentenza impugnata in ordine alla maturazione dei requisiti per la pensione nel febbraio 2011 conduce all’interpretazione di questa Corte in ordine alla valenza generale del regime delle “finestre” regolato dall’art. 12 del d.l. n. 78 del 2010, che trova applicazione anche per le lavoratrici del pubblico impiego e per tutti gli altri soggetti che negli altri casi maturano il diritto all’accesso al pensionamento di vecchiaia «alle età previste dagli specifici ordinamenti» (da ultimo Cass. Sez. L, 19/10/2022, n. 30791, che richiama Cass. Sez. L, 13/11/2018, n. 29191 e Cass. Sez. L, 28/01/2021, n. 1931).

    1.4. - Il differimento ope legis dell’accesso alla pensione secondo il regime delle finestre comporta l’infondatezza dell’assunto dell’istituto previdenziale (cfr. in tal senso, sia pure con riferimento al settore privato, Cass. Sez. L, 08/09/2020, n. 18662; Cass. Sez. L, 20/05/2018, n. 13181), non assumendo rilievo ai fini dell’applicazione della predetta normativa l’asserita maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di anzianità, rispetto alla quale non era stata avanzata domanda dall’interessato (Cass. Sez. L, 27/05/2021, n. 14814, in motivazione: «Il diritto alla pensione di anzianità, invece, si consegue con il necessario concorso della volontà dell'interessato, per cui non si può dubitare che la domanda di pensione assurga ad elemento costitutivo della fattispecie attributiva del diritto.

    Ne discende che, mancando la domanda, non può dirsi in senso tecnico che sussistano i requisiti per il pensionamento»).

    D’altronde, l’interpretazione dell’art. 12 cit. d.l. n. 78/2010 deve essere sistematicamente coerente con la giurisprudenza di questa S.C. che ha statuito che il collocamento a riposo d’ufficio del pubblico dipendente per raggiungimento della massima anzianità contributiva (40 anni) prevista dall'art. 72, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008, conv. con modif. dalla l. n. 133 del 2008, richiede, nel regime anteriore alle modifiche apportate dall'art. 16, comma 11, del d.l. n. 98 del 2011, conv. con modif. dalla l. n. 111 del 2011 (come nel caso in oggetto), una motivazione che consenta il controllo di legalità sull'appropriatezza della risoluzione del rapporto rispetto alla finalità di riorganizzazione perseguita (Cass. Sez. L, 08/01/2021, n. 150; Cass. Sez. L, 06/03/2019, n. 6556).

    Orbene, sarebbe contraddittorio nel sistema affermare l’obbligo d’un recesso motivato da parte dell’amministrazione (e, quindi, una cessazione non automatica del rapporto) quando il dipendente abbia raggiunto la massima anzianità contributiva ma non anche i requisiti per la pensione di vecchiaia e, invece, prevedere la risoluzione automatica del rapporto di chi (come l’odierno contro ricorrente) non abbia ancora raggiunto né la massima anzianità contributiva né il diritto alla pensione di vecchiaia (posticipato d’un anno ai sensi del cit. art. 12 d.l. n. 78/2010).

    2. - Con il secondo motivo l’I.N.P.S. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992, dell’art. 2, comma 5, del d.l. n. 101 del 2013 e dell’art. 2, comma 11, del d.l. n. 95 del 2012, conv. in l. n. 135 del 2012, con riferimento all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto sussistente il diritto del dipendente a rimanere in servizio oltre il raggiungimento dei sessantacinque anni di età al fine di poter beneficiare di una maggiore contribuzione ai fini pensionistici.

    2.1. - Il secondo motivo è inammissibile, in quanto articolato in riferimento ad una normativa non pertinente (trattenimento in servizio ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992) ovvero comunque non applicabile ratione temporis.

    3. - Alla soccombenza segue la condanna dell’Istituto previdenziale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

    4. - Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.

     

    P.Q.M.

     

    Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in solido delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 5.000,00 euro per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.

    Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

 

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