Il sito web dello Studio Boschi utilizza i cookie per offrire una migliore esperienza di navigazione e per fini statistici anonimizzati. Consulta l'informativa sulla privacy oppure continua la navigazione del sito cliccando sul bottone OK qui a fianco.

Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 25/05/2023

    Lavoro - Agente - Giusta causa di recesso nel rapporto agenziale - Verbale ispettivo - Scrittura privata - Difetto di specificità dei motivi di ricorso - Inammissibilità

     

    Fatti di causa

     

    1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello proposto da B.G. contro la sentenza del Tribunale di Velletri n. 1551/2015, che aveva respinto la sua domanda volta ad ottenere la condanna della convenuta U. al pagamento della complessiva somma di € 137.247,00, a titolo di indennità ai sensi degli artt. 25, V comma, 26, III comma, 27, 28, 33, 12/A, 13 e 20 dell’Accordo Nazionale Agenti (ANA) 2003; condannava, quindi, l’appellante al pagamento delle spese del secondo grado, come liquidate, dando atto della sussistenza dei presupposti per il c.d. raddoppio del contributo unificato.

    2. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, nell’esaminare congiuntamente i motivi d’appello del Bevilacqua, riportava in stralcio quanto contestato all’agente nel gennaio 2013 quale fondamento del recesso per giusta causa a quello intimato dalla preponente. E considerava, da un lato, che la difesa dell’agente era incentrata unicamente sui ritardi contestati in alcune rimesse, a suo dire dovuti ad un infortunio subito nel periodo contestato (ritardi che la Corte reputava che, nella molteplicità dei fatti contestati, costituissero una parte davvero residuale), e, dall’altro, che non fossero state fornite giustificazioni per le condotte più gravi quali quelle specificate in motivazione. Riteneva, quindi, che, valutati tutti gli addebiti contestati, non poteva non concludersi che la gravità degli stessi giustificava pienamente la risoluzione del rapporto, tenendo conto di tutte le circostanze del caso ed in particolare dell’intensità dell’elemento intenzionale, la volontarietà del comportamento non esclusa da alcun elemento di segno contrario. La stessa Corte, inoltre, in merito alla lamentata erronea valutazione sulla tempestività della contestazione, disattendeva le censure mosse dall’appellante, spiegando perché tra i fatti e la contestazione non vi era stato alcun ritardo, né acquiescenza.

    3. Avverso tale sentenza B.G. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

    4. Ha resistito la società intimata con controricorso.

    5. Solo il ricorrente ha prodotto memoria.

     

    Ragioni della decisione

     

    1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la “Violazione egli artt. 2119, 2697 e 2702 c.c. con riferimento all’art. 360, n. 3 cpc”, nonché “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.”.

    2. Con un secondo motivo deduce la “Violazione degli artt. 2119 e 2697 c.c. (onere probatorio in tema dei vari profili della giusta causa di recesso nel rapporto agenziale) con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c.”

    3. Con un terzo motivo denuncia ancora la “violazione degli artt. 2119 e 2697 c.c. (onere probatorio relativamente ai pretesi elementi intenzionali e volontarietà della condotta dell’agente) in riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c.”.

    4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

    4.1. Per la parte in cui la censura lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, occorre ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno insegnato che l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ammette la denuncia innanzi alla S.C. di un vizio attinente all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza provenga dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, con la necessaria conseguenza che è onere del ricorrente, ai sensi degli artt. 366, comma 1, n. 6) e 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., indicare il fatto storico, il dato da cui esso risulti esistente, il come ed il quando esso abbia formato oggetto di discussione tra le parti e la sua decisività (così Cass. civ., sez. un., 30.7.2021, n. 21973).

    4.2. Nella specie, il fatto asseritamente decisivo che, a detta del ricorrente, la Corte d’appello non avrebbe considerato è “la circostanza che al ricorrente fosse stato concesso, nel verbale ispettivo, un termine di 60 giorni per giustificare le fisiologiche irregolarità evidenziate nel verbale ispettivo”.

    L’impugnante, inoltre, quasi incidentalmente, assume che la Corte di appello avrebbe fondato “però la propria decisione su diversa motivazione rispetto a quella di prime cure” (cfr. pag. 24 del ricorso).

    4.3. Ebbene, in disparte la genericità di tale ultimo rilievo al fine di superare la preclusione di cui al combinato disposto dei commi quarto e quinto dell’art. 348 bis c.p.c., in presenza di c.d. “doppia conforme”, in parte qua il primo motivo è comunque inammissibile perché il ricorrente, non solo non chiarisce la decisività della suddetta circostanza, ma senz’altro non indica come e quando la stessa avrebbe formato oggetto di discussione tra le parti.

    5. Ma lo stesso motivo è inammissibile anche per la parte in cui vi si lamenta promiscuamente, e in modo non certo perspicuo, la violazione delle norme di diritto di cui agli artt. 2119, 2697 e 2702 c.c.

    5.1. In sintesi, a riguardo il ricorrente, premettendo che, a suo giudizio, il Tribunale di Velletri aveva rigettato il suo ricorso “senza procedere ad una analitica disamina degli addebiti posti a fondamento del recesso per giusta causa”, sostiene che la Corte d’appello, nell’elencare le pretese ragioni di addebito mosse dalla preponente e poste a fondamento di tale recesso, ha “proceduto autonomamente ad esaminare la lettera di recesso e il presupposto verbale ispettivo redatto da U. (cui fa riferimento la lettera di risoluzione) nel quale venivano mosse le contestazioni all’agente”. Sempre secondo l’impugnante, tale verbale ispettivo è una scrittura privata, sicché la Corte distrettuale “limitandosi ad individuare gli addebiti mossi all’agente, estrapolandoli dal verbale ispettivo e traendo, dall’esame degli stessi, il suo convincimento circa la fondatezza della giusta causa”, avrebbe “violato la norma dell’art. 2702 c.c. in materia di efficacia probatoria della scrittura privata”, perché, “sia pur in materia di scritture contabili”, questa Corte “ha affermato con insegnamento applicabile mutatis mutandis al caso delle scritture private, che non possa scindersi il contenuto delle scritture”.

    5.2. A riguardo, però, il primo motivo difetta di specificità ex art. 366, comma primo, n. 4), c.p.c. in termini di pertinenza rispetto a quanto effettivamente considerato dalla Corte di merito nella motivazione della sua decisione.

    Invero, la stessa Corte non ha fatto alcun cenno al contenuto del verbale ispettivo cui allude il ricorrente, ma si è riferita esclusivamente alla nota della preponente relativa alla comunicazione del recesso per giusta causa, che peraltro ha riportato esplicitamente “in stralcio” nelle parti relative alle “censure mosse” all’agente (cfr. pag. 2 della sua sentenza).

    Inoltre, dal testo della decisione oggetto di ricorso non emerge che la questione ora sollevata dal ricorrente formasse oggetto di qualcuno dei motivi d’appello o che comunque fosse stata trattata almeno in grado d’appello.

    5.3. Per le parti residuali il primo motivo si risolve in una critica nel merito dell’apprezzamento probatorio confermato dalla Corte territoriale, il che non può trovare ingresso in questa sede di legittimità.

    6. Parimenti inammissibili sono il secondo ed il terzo motivo, che possono essere congiuntamente esaminati, essendo analoghe le ragioni della loro inammissibilità.

    6.1. Infatti, nel secondo motivo il ricorrente censura “la sentenza della Corte territoriale laddove la stessa ha fondato la sua decisione su circostanze non provate relative agli inadempimenti addebitati al Bevilacqua”, ossia gli “addebiti posti a fondamento del recesso per giusta causa del rapporto agenziale”, e, analogamente, nel terzo motivo, si sostiene che sarebbe del tutto carente “l’accertamento della concreta ricorrenza, nei fatti dedotti in giudizio, degli elementi che permettano di far ritenere integrato il parametro normativo dell’art. 2119 c.c. sotto il profilo soggettivo, e dunque della loro attitudine a costituire giusta causa di licenziamento”.

    6.2. Ora – notato che entrambi tali motivi sono formulati, non nel senso di far valere anomalie motivazionali nei limiti in cui esse possono essere denunciate in sede di legittimità, ma esclusivamente in chiave di violazione di norme di diritto ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c. – è evidente che anch’essi veicolano inammissibilmente critiche di accertamenti fattuali compiuti dalla Corte territoriale; peraltro, si trascura di tener conto che quest’ultima non aveva smentito quanto aveva già ritenuto il Tribunale, e, cioè, che il ricorrente non aveva “specificamente contestato la sussistenza dei fatti posti a fondamento del recesso intimato il 30.1.2013”, ed aveva anche confermato che “la difesa dell’agente è incentrata unicamente sui ritardi contestati in alcune rimesse, a suo dire dovuti ad un infortunio subito nel periodo contestato”, a fronte di una molteplicità dei fatti contestati, dei quali le contestazioni attinenti ai ritardi, anche secondo la Corte, costituivano “una parte davvero residuale, considerando che ben diverse e più gravi sono le ulteriori condotte contestate”. Quanto, poi, all’elemento soggettivo del comportamento dell’agente, la Corte di merito aveva valorizzato il dato che esso fosse “privo di qualsivoglia giustificazione”, dopo aver ritenuto che proprio per le condotte reputate più gravi e in dettaglio specificate “non sono state fornite giustificazioni”, a parte quella prospettata per i ritardi in alcune rimesse (cfr. pag. 3 dell’impugnata sentenza).

    7. Il ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.

     

    P.Q.M.

     

    Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 5.000,00 per compensi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

    Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

 

Made in DataLabor.Com