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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 27/09/2022

    Lavoro - Contratti a termine somministrati - Differenze retributive - Solidarietà passiva tra somministratore e utilizzatore - Definizione della controversia in via transattiva - Diritto di fruire della conciliazione ex art. 1304 c.c.

    Rilevato che

     

    1. la Corte d’Appello di Trieste, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto le domande proposte da A. L. G. nei confronti della S. O. Holding Spa, compensando interamente le spese;

    2. la Corte territoriale ha esposto che, con l'atto introduttivo del giudizio, la G. aveva dedotto di avere operato dal febbraio 2014 al dicembre 2015 con una serie di contratti a termine somministrati da M. Agenzia per il Lavoro Spa presso l'utilizzatrice S.O.1 Srl; che l'inquadramento riconosciuto era quello del I livello del CCNL Anaste ma che, invece, la ricorrente rivendicava il diritto ad un diverso e superiore inquadramento contrattuale, per cui formulava "le conclusioni di cui in atti nei confronti di S.O.1 come obbligata in solido con la somministratrice M. ex art. 23, co. 3, d. lgs. n. 276 del 2003"; che il Tribunale adito aveva riconosciuto il diritto dell’istante al III livello del CCNL Anaste, condannando l’utilizzatrice al pagamento delle differenze retributive quantificate in euro 5.274,49, oltre accessori;

    3. la Corte ha, quindi, esaminato il primo motivo dell’appello della società, con cui la medesima deduceva che "nelle more controparte aveva definito in via transattiva la identica causa proposta contro M." e che "era suo diritto di fruire della suddetta conciliazione ex art. 1304 c.c."; lo ha ritenuto fondato ritenendo - in estrema sintesi - "pacifico ed incontroverso che A.L.G., che aveva agito in separato giudizio per lo stesso motivo e con la stessa domanda nei confronti del debitore in solido M. Agenzia per il Lavoro spa, ha definito detta controversia con un accordo transattivo" e argomentando che "non può poi revocarsi seriamente in dubbio che l’accordo transattivo con M. abbia riguardato l’intero debito dedotto in giudizio";

    4. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la soccombente con 2 motivi; ha resistito con controricorso la società;

    5. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza camerale;

    entrambe le parti hanno depositato memorie;

     

    Considerato che

     

    1. il primo motivo denuncia: "Violazione o falsa applicazione dell'art. 1304, 1 comma, c.c."; esso è così sintetizzato dalla stessa parte ricorrente: "la Corte d'Appello di Trieste, nel recepire in modo acritico quanto pattuito in altro giudizio tra la lavoratrice e l'azienda somministratrice, ha falsamente applicato l'art. 1304, I comma, c.c., riferendosi alla iniziale prospettazione della ricorrente sull'esistenza di un rapporto di solidarietà passiva tra la stessa somministrante e l'utilizzatrice e non, come al contrario imposto dalla norma, all'effettiva esistenza di quel legame tra di esse. Infatti, gli effetti estensivi previsti dalla norma sono correlati alla reale sussistenza ed alla piena consapevolezza di quel rapporto al momento dell'accordo transattivo, non invece alla mera deduzione di un tale vincolo all'atto della domanda giudiziale; tanto rileva ancor più nella fattispecie, in quanto la solidarietà ebbe a rivelarsi inesistente ex post, per effetto di un'esclusiva responsabilità della società utilizzatrice ai sensi dell'art. 23, VI comma, d. lgs. n. 276/2003. La decisione ha pertanto erroneamente stimato che la società utilizzatrice - peraltro sulla scorta di una solidarietà sui generis - avesse titolo per profittare della transazione intervenuta tra altre parti: non ha vagliato la situazione giuridica venutasi determinando nell'altra causa (pur avendone i mezzi) né la portata complessiva degli atti e dei documenti, tralasciando inoltre di indagare sull'effettiva volontà della lavoratrice e su altri concreti elementi di contorno";

    il motivo è inammissibile;

    il primo comma dell’art. 1304 c.c., di cui parte ricorrente eccepisce la violazione ad opera della Corte territoriale, dispone che: "La transazione fatta dal creditore con uno dei due debitori in solido non produce effetto nei confronti degli altri, se questi non dichiarano di volerne profittare.";

    la Corte di Appello ha accertato che la G., creditrice, aveva stipulato con la debitrice M., agenzia di somministrazione, una transazione; interpretando la transazione e la domanda proposta nei confronti della utilizzatrice S. O. Holding Spa, ha ritenuto che avessero ad oggetto il debito solidale nascente dall’art. 23, comma 3, d. lgs. n. 276 del 2003, in base al quale "L'utilizzatore è obbligato in solido con il somministratore a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali"; ha accertato, infine, che l’accordo transattivo con M. aveva riguardato l’intero debito dedotto in giudizio e che era diritto della condebitrice S. O. Holding Spa di fruire della suddetta transazione, avendo manifestato l’intenzione di volerne profittare ex art. 1304 c.c.;

    essendo incontestabile che l’obbligazione dell’utilizzatore nascente dall’art. 23, comma 3, d. lgs. n. 276 del 2003, abbia natura solidale, il motivo di ricorso non individua un error in iudicando in cui sarebbe incorsa la Corte giuliana nell’interpretazione della disposizione, ma piuttosto propone una diversa interpretazione degli atti processuali - avuto particolare riguardo alla pretesa proposizione nel giudizio della diversa azione ex art. 23, comma 6, d. lgs. n. 276 del 2003 - ovvero una diversa interpretazione del contenuto e delle volontà espresse nella transazione, invocando un sindacato che esorbita dai poteri conferiti a questo giudice di legittimità;

    2. il secondo motivo denuncia "(art. 360, I comma, n. 4, c.p.c.) nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 2041 c.c."; in sintesi parte ricorrente così lo illustra: "la sentenza ha omesso di pronunciarsi sulla domanda subordinata di indebito arricchimento (art. 2041 C.C.), ritualmente introdotta nelle note conclusive del primo grado: se esaminata e valorizzata, l'esito del gravame avrebbe potuto essere diverso, atteso che - in denegata ipotesi - al rigetto della pretesa contrattuale ben avrebbe potuto far seguito un adeguato indennizzo, non essendo opinabile il vantaggio ricevuto dalla società utilizzatrice grazie all'attività della lavoratrice";

    il motivo è inammissibile;

    anche nel caso in cui ci si dolga di una omessa pronuncia in violazione del canone della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, è indispensabile dettagliare nel corpo del motivo i fatti processuali che la sostanziano e, quindi, i contenuti del ricorso con cui è stata introdotta la domanda in primo grado nonché quelli degli atti della fase di impugnazione, onde verificare come la questione sia stata devoluta in appello (tra molte, Cass. n. 317 del 2002; Cass. n. 3547 del 2004; Cass. n. 2886 del 2014; Cass. n. 14561 del 2012; Cass. n. 18 del 2015);

    nella specie, la ricorrente non specifica i contenuti del ricorso introduttivo del giudizio dai quali evincere che la domanda subordinata di ingiustificato arricchimento era stata ritualmente proposta con l’atto ex art. 414 c.p.c., limitandosi a fare riferimento a note conclusionali che evidentemente non possono considerarsi idonee ad introdurre in causa una domanda che ha carattere di novità per causa petendi e petitum (Cass. n. 6810 del 2000; Cass. n. 4365 del 2003);

    parimenti, sebbene la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado non abbia l'onere di proporre, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, appello incidentale per richiamare in discussione le eccezioni e le questioni che risultino superate o assorbite, difettando di interesse al riguardo, tuttavia è pur sempre tenuta a riproporle espressamente nel nuovo giudizio in modo chiaro e preciso, tale da manifestare in forma non equivoca la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo, ai sensi dell'art. 346 c.p.c. (tra molte, Cass. n. 14086 del 2010; Cass. n. 1161 del 2003), mentre nella specie, nel corpo del secondo motivo di ricorso, non viene adeguatamente specificato come la domanda subordinata ex art. 2041 c.c., anche ove ritualmente introdotta in primo grado, fosse stata, in modo chiaro, preciso e inequivoco, riproposta in secondo grado, non essendo all’uopo sufficiente la conclusione di rigetto del gravame avverso;

    3. conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo, con attribuzione all’Avv. G. dichiaratosi anticipatario;

    occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

     

    P.Q.M.

     

    dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 2.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%, con attribuzione.

    Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

 

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