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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 27/10/2021

    Licenziamento collettivo - Cessazione attività - Comportamento antisindacale della società - Prova

     

    Ragioni in fatto ed in diritto della decisione

     

    Con ricorso ex art. 28 della legge 300/1970 depositato il 29.7.2021 le organizzazioni sindacali in epigrafe adivano il Tribunale di Monza, in funzione di giudice unico del lavoro, chiedendo accertarsi e dichiararsi l’illegittimità della procedura di licenziamento collettivo di n. 152 lavoratori per cessazione di attività e chiusura dello stabilimento avviata da G. F. W. s.r.l. in quanto comunicata a mezzo telegramma agli addetti presso lo stabilimento di Ceriano Laghetto in violazione delle norme di cui agli artt. 4 della legge 223/1991 e 9 sez. prima del CCNL Metalmeccanici Industria, con vittoria di spese.

    Ritualmente costituitasi in giudizio, la società resistente evidenziava con articolate argomentazioni l'infondatezza del ricorso, chiedendone il rigetto con vittoria di spese.

    Acquisiti gli atti i documenti prodotti, ritenuta di natura documentale, all'esito della discussione -condotta da remoto mediante applicativo Microsoft Teams persistendo la situazione di emergenza sanitaria da COVID-19 -, la causa viene decisa mediante deposito a P.C.T. del presente provvedimento.

    Per le seguenti ragioni il ricorso non può essere accolto.

    Preliminarmente, si osserva come il procedimento di cui all’art. 28 della legge 300/1970 costituisca uno strumento di tutela rafforzata delle libertà ed attività sindacali, ulteriore ed aggiuntivo a quelli profilati in via generale dal codice di rito, attivabile "per garantire in modo particolarmente rapido ed efficace i diritti del sindacato" (cfr. Corte Cost. 89/1995; Cass. 1307/2006; 2375/2015; 19272/2017), che, non a caso, è l’unico legittimato - ove adeguatamente rappresentativo sul territorio nazionale- alla relativa attivazione.

    Trattasi, invero, di un procedimento volto alla repressione di condotte datoriali antisindacali ovvero, in uno ad ormai sedimentati orientamenti giurisprudenziali, oggettivamente lesive delle libertà e delle attività sindacali nonché del diritto di sciopero. Per l’effetto, "gli interessi che la procedura dell’art. 28 cit. intende proteggere trascendono sia quelli soggettivi dei singoli lavoratori sia quelli localistici e coincidono con gli interessi di un’associazione sindacale che si proponga di operare e operi realmente a livello nazionale a tutela di una o più categorie di lavoratori" (cfr. Cass. 5209/2010); di contro, gli interessi dei singoli lavoratori, laddove avulsi da prerogative sindacali, restano tutelabili ricorrendo agli strumenti processuali ordinari.

    Così limitato l’oggetto del procedimento ex art. 28, per quanto di maggiore interesse in questa sede, le sigle ricorrenti hanno impugnato la lettera di inizio della procedura di licenziamento collettivo del 3 luglio 2021 assumendone l’illegittimità:

    1) per violazione dell’articolo 4 della legge 223/1991, avendo G. F. W. comunicato la propria intenzione di procedere al licenziamento collettivo di n. 152 unità prima ai lavoratori a mezzo telegramma e solo in seguito alle organizzazioni sindacali, senza svolgere alcun esame congiunto;

    2) per violazione dell’art. 9 del CCNL Industria metalmeccanica, per non aver fornito alle RSU alcuna informativa preventiva sulla volontà di chiudere lo stabilimento di Ceriano Laghetto;

    3) per aver solo formalmente iniziato la procedura su entrambi i siti produttivi (Ceriano Laghetto e Carpenedolo), ponendo, tuttavia, in ferie solo i lavoratori addetti allo stabilimento di Ceriano Laghetto;

    4) per violazione del decreto della Regione Lombardia che prevedeva a carico dell’odierna resistente l’obbligo di mantenere inalterati i livelli occupazionali per un quinquennio dalla conclusione di un progetto di ricerca e sviluppo finanziato dalla Regione medesima.

    Per le ragioni dianzi indicate, le censure sub 3 e 4 -siccome attinenti al merito della procedura di licenziamento collettivo ed alle relazioni tra l’azienda e soggetti terzi- paiono esulare dall’oggetto del procedimento speciale di cui all’art. 28 della legge 300/1970.

    Nel resto, si osserva quanto segue.

    Il primo motivo di impugnazione non si ritiene infondato.

    Il 3.7.2021 G. F. W. S.R.L. ha inoltrato agli addetti presso lo stabilimento di Ceriano Laghetto telegramma dal seguente tenore: "con la presente le comunichiamo che, a seguito dell’avvio della procedura di chiusura del sito di Ceriano Laghetto a far data 5.7., lei sarà posto in ferie fino a nostra differente comunicazione" (cfr. doc. 10 ric.).

    L’art. 4 della legge 223/1991, nel prevedere che "le imprese che intendano esercitare la facoltà di cui al comma 1 sono tenute a darne comunicazione preventiva per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nonché alle rispettive associazioni di categoria. In mancanza delle predette rappresentanze la

    comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. La comunicazione alle associazioni di categoria può essere effettuata tra il tramite dell'associazione dei datori di lavoro alla quale l'impresa aderisce o conferisce mandato", obbliga le imprese che intendano avviare una procedura di licenziamento collettivo a darne preventiva comunicazione scritta alle rappresentanze sindacali al fine di favorire un confronto preliminare tra le parti sociali; a tale stregua, dunque, non può essere iniziata alcuna procedura di licenziamento collettivo -o di messa in mobilità dei lavoratori- senza aver previamente informato per iscritto le Organizzazioni Sindacali.

    Sul punto, la Suprema Corte ha osservato che "3.1. La "comunicazione preventiva" di cui al comma 2 dell’art. 4 della l. n. 223 del 1991, (...) è finalizzata a promuovere un "esame congiunto" tra impresa e organizzazioni sindacali "allo scopo di esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l’eccedenza di personale e le possibilità di utilizzazione diversa di tale personale, o di una sua parte" (comma 5, art. 4, l. n. 223 del 1991). Raggiunto tale accordo o comunque esaurita la procedura "l’impresa ha facoltà di licenziare", comunicando, tra l’altro, la "puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta" ex art. 4, comma 9, l. n. 223 del 1991. 3.2. Dunque l’intenzione unilateralmente manifestata dall’impresa è destinata a misurarsi nel confronto sindacale, anche con la mediazione pubblica, sicché la comunicazione di avvio della procedura è apertamente funzionalizzata al corretto svolgimento di tale confronto, i cui esiti non sono predeterminati, tanto che secondo questa Corte "una eventuale divergenza nel numero degli esuberi tra comunicazione preventiva e comunicazione finale ex art. 4, comma 9, l. n. 223 del 1991 non costituisce di per sé ragione di illegittimità della risoluzione del singolo rapporto individuale di lavoro, potendo essa rappresentare proprio il frutto della procedura prevista dalla legge" (Cass. n. 18504 del 2016). 3.3. Inoltre non è la lettera di avvio della procedura che determina i criteri di scelta; anzi, secondo questa Corte la comunicazione di inizio della procedura ex l. n. 223/91 non deve contenere l’indicazione dei criteri in base ai quali il datore di lavoro procederà all’individuazione dei lavoratori da licenziare, atteso che tali criteri sono di fonte legale oppure contrattuale, ma non possono essere fissati unilateralmente dal datore di lavoro, sicché legittimamente il datore di lavoro ne omette il riferimento, considerato anche che questi possono risultare diversi all’esito della procedura finalizzata tra l’altro proprio allo scopo di verificare la possibilità di determinare pattiziamente, con accordo sindacale, i criteri medesimi (Cass. n. 1649 del 1999; conf.: Cass. n. 2516 del 1999; Cass. n. 2638 del 1999; Cass. n. 2946 del 1999; Cass. n. 13727 del 2000). (...)Quindi la comunicazione preventiva con cui il datore di lavoro avvia la procedura di licenziamento collettivo, che deve avere i contenuti prescritti dall’art. 4, co. 3, l. n. 223 del 1991 ma non predeterminare criteri di scelta, ha essenzialmente la finalità di consentire

    all’interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale (tra molte: Cass. n. 13031 del 2002; Cass. n. 5770 del 2003; Cass. n. 15479 del 2007; Cass. n. 5034 del 2009). 3.4. Compete al giudice del merito verificare - con accertamento di fatto non censurabile nel giudizio di legittimità ove assistito da idonea motivazione - l’adeguatezza della originaria comunicazione di avvio della procedura (ex aliis, Cass. n. 15479 del 2007; Cass. n. 8971 del 2014; Cass. n. 7940 del 2015). (...). In tema di verifica del rispetto delle regole procedurali per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, che restano sottratti al controllo giurisdizionale (Cass. n. 9061 del 2016; Cass. n. 13794 del 2015), per cui, in relazione ad essi, "l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso tra i diversi profili professionali previsti dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, senza che occorra l’indicazione degli uffici o reparti con eccedenza" (in termini: Cass. n. 23526 del 2016). 3.5. Invero occorre ancora una volta ribadire che la l. n. 223 del 1991, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più, quindi, gli specifici motivi della riduzione del personale, ma la correttezza procedurale dell’operazione, con la conseguenza che non possono trovare ingresso, in sede giudiziaria, tutte quelle censure con le quali, senza contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, si finisce per investire l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di "effettive" esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva (Cass. n. 21541 del 2006; Cass. n. 5089 del 2009; Cass. n. 2516 del 2012; Cass. n. 3176 del 2017 e molte altre) (...)" (cfr. Cass. 21750/2018).

    In linea generale, l’art. 4 della legge 223/1991 contribuisce a profilare un preciso iter procedurale a garanzia del contraddittorio con le associazioni sindacali, preventivo rispetto alla effettiva riduzione del personale, e della trasparenza delle scelte imprenditoriali che, nell’ambito di contesti produttivi di non piccole dimensioni (più di quindici dipendenti), incidano sensibilmente

    sui livelli occupazionali (almeno cinque dipendenti in centoventi giorni, nell’ambito di ciascuna unità produttiva o di più unità produttive site nella stessa provincia).

    A tale scopo, la legge citata pone a carico del datore di lavoro una nutrita congerie di obblighi di comunicazione finalizzati a favorire la trasparenza dell’espletamento della procedura e, dunque, la fattiva partecipazione ad essa delle parti sociali, al fine di individuare eventuali misure alternative al recesso e conservative dei livelli occupazionali o, laddove non concretamente praticabili, criteri di scelta del personale in esubero concordati o, quantomeno, condivisi.

    Pertanto, in primo luogo, il datore di lavoro è tenuto ex art. 4 comma 2 ad inoltrare per iscritto l’indicata comunicazione preventiva alle organizzazioni sindacali ed all'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, esplicativa delle ragioni sottese alla contrazione del personale, dei motivi tecnici, organizzativi o produttivi a soluzioni differenti dalla mobilità, del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente e del personale abitualmente impiegato, delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma; ai sensi del c. 12, inoltre, le carenze o insufficienze informative della citata comunicazione possono essere sanate dall’accordo sindacale eventualmente concluso nel corso della procedura. A tale invio può seguire un esame congiunto dello status quo con i sindacati, dietro relativa richiesta, entro sette giorni dalla ricezione della comunicazione preventiva, per verificare le possibilità alternative al licenziamento e conservative dei livelli occupazionali attuali, da esaurirsi entro quarantacinque giorni dalla ricezione da parte del datore della richiesta sindacale.

    Successivamente, il datore di lavoro è tenuto a comunicare per iscritto all’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione i risultati della eventuale consultazione sindacale; a tale informativa può seguire un’ulteriore disamina dell’assetto occupazione (c.d. fase amministrativa) disposta dal direttore dell’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione entro i trenta giorni successivi alla ricezione della predetta comunicazione.

    Solo all’esito dei citati oneri informativi, è possibile procedere al licenziamento delle unità in esubero mediante comunicazione scritta diretta a ciascun lavoratore interessato, nel rispetto dei termini di preavviso, in applicazione dei criteri di scelta di cui alla contrattazione collettiva o, in assenza, di quelli previsti dall’art. 5 della legge 223/1991. Infine, ex art. 4 comma 9 i recessi devono essere seguiti da un’ulteriore comunicazione scritta all’Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione, alla Commissione regionale per l’impiego ed alle associazioni di categoria contenente l'elenco dei lavoratori collocati in mobilità.

    A tale stregua, dunque, il confronto tra datore di lavoro e associazioni sindacali in occasione di significative contrazioni occupazionali è specificamente disciplinato e tutelato dalla legge 223/1991, (a cominciare dalla comunicazione di avvio); solo la relativa violazione, quindi, può inficiare la legittimità dell’intera procedura.

    Tanto premesso in linea generale, nel caso di specie non pare divisabile alcuna violazione della norma citata, avendo la società resistente ritualmente inoltrato il 3.7.2021 alle sigle ricorrenti compiuta comunicazione scritta di avvio della procedura di licenziamento collettivo (cfr. doc. 21 res.), da intendersi "preventiva" alla riduzione del personale, non già a qualunque altra comunicazione con i lavoratori.

    Invero, il telegramma sub 10 ric. riguarda esclusivamente l’intervenuta chiusura dello stabilimento di Ceriano Laghetto ed il collocamento in ferie dei lavoratori ivi addetti ("con la presente le comunichiamo che a seguito della procedura di chiusura del sito di Ceriano Laghetto a far data dal 5 luglio 2021 lei sarà posto in ferie sino a nostra differente comunicazione"), non anche singoli recessi individuali o l’avvio della procedura di licenziamento collettivo che, ad ogni modo, come anticipato, risulta essere stato ritualmente comunicato alle sigle sindacali.

    Neppure pare che G. F. W. S.R.L si sia rifiutata di svolgere l’esame congiunto previsto dal citato art. 4 con le organizzazioni sindacali, essendo rimasta incontestata la partecipazione a numerosi incontri deputati allo scopo, successivamente alla comunicazione di avvio del 3.7.2021 (cfr. altresì ricorso pag. 5 punto 20).

    Analogamente, non pare divisabile la lamentata violazione dell’art. 4 del d. lgs. 25/2007, attuativo della Direttiva CE 202/7147 che, nel prevedere un tavolo di informazione tra lavoratori e aziende (o gruppi) di dimensioni comunitarie, demanda alla contrattazione collettiva l’individuazione di "sedi, tempi, soggetti, modalità e contenuti dei diritti di informazione e consultazione riconosciuti ai lavoratori", non trattandosi di una realtà produttiva a carattere transnazionale.

    Ad ogni modo, in materia di "informazione e consultazione in sede aziendale" l’art. 9 del CCNL di settore prevede che "le Direzioni delle aziende che occupano almeno 50 dipendenti forniranno annualmente alle Rappresentanze sindacali unitarie e alle Organizzazioni sindacali territoriali dei sindacati stipulanti tramite l'Associazione territoriale di competenza, su richiesta delle stesse, informazioni su: a) omissis; b) la situazione, la struttura e l'andamento prevedibile dell'occupazione nonché in caso di previsioni di rischio per i livelli occupazionali le eventuali misure di contrasto previste al fine di evitare o attenuarne le conseguenze. Le Direzioni delle aziende che occupano almeno 50 dipendenti forniranno alle Rappresentanze sindacali unitarie e alle Organizzazioni sindacali territoriali dei sindacati stipulanti tramite l'Associazione territoriale di competenza, nel corso di un apposito incontro, informazioni sulle decisioni che siano suscettibili di comportare rilevanti cambiamenti dell'organizzazione del lavoro e dei contratti di lavoro con riferimento a: le sostanziali modifiche del sistema produttivo che investano in modo determinante le tecnologie adottate o l'organizzazione complessiva del lavoro, o il tipo di produzione in atto ed influiscano complessivamente sull'occupazione o che abbiano rilevanti conseguenze sulle condizioni prestative; le disposizioni di questo punto non riguardano le ricorrenti modifiche dell'organizzazione del lavoro e dei mezzi di produzione che attengono al normale miglioramento dei risultati della attività imprenditoriale; le operazioni di scorporo e di decentramento permanente al di fuori dello stabilimento di importanti fasi dell'attività produttiva in atto qualora esse influiscano complessivamente sull'occupazione.

    Le Parti si danno atto che le procedure previste dalla Legge 23 luglio 1991, n. 223, dalla Legge 29 dicembre 1990, n. 428 nonché dal D.P.R. n. 218 del 2000, assorbono e sostituiscono le procedure di informazione e consultazione in materia. Omissis.

    Le Direzioni delle unità produttive che occupano più di 150 dipendenti, inoltre, forniranno annualmente alle Rappresentanze sindacali unitarie e, tramite l’Associazione imprenditoriale di competenza, alle Organizzazioni territoriali dei sindacati stipulanti, nel corso di un apposito incontro, informazioni su: - i livelli occupazionali suddivisi per tipologia di rapporto di lavoro e previsioni sulle dinamiche occupazionali anche in relazione all’andamento della domanda e dei conseguenti carichi di lavoro").

    L’odierna resistente non pare aver violato la menzionata disposizione, relativa ad un’informativa alle R.S.U su base annuale sui livelli occupazionali.

    Sul punto, con decreto conclusivo di altro procedimento ex art. 28 della legge 300/1970 tra le medesime parti, relativo ex aliis allo "svilimento dell’attività sindacale per reiterato rifiuto di un confronto sul piano industriale ed occupazionale" l’intestato Tribunale, in diversa composizione, ha osservato che "a tale riguardo la società ha provato che si sono tenute diverse riunioni con la RSU e con dirigenti sindacali on line nel 2020 (doc. 29, fasc. ric.). In particolare, esse si sono tenute nelle seguenti date: 20 febbraio 2020 (o.d.g.: bozza accordo calendario ferie, fondo solidarietà, ore in più delle RSU, accordo formazione finanziaria, procedura risposta sala mensa, interinali); 26 febbraio 2020; 11 marzo 2020; 23 marzo 2020 (situazione G.); 1° aprile 2020; 4 maggio 2020; 4 giugno 2020; 10 giugno 2020; 15 giugno 2020; 6 luglio 2020; 14 settembre 2020; 30 ottobre 2020; 11 novembre 2020; 10 dicembre 2020. (...) La violazione degli obblighi informativi previsti dal CCNL e, quindi, un comportamento antisindacale della società non appaiono provati, a fronte del calendario di incontri quasi mensili tenutisi tra la direzione e i rappresentanti sindacali. Ciò che emerge è, invece, senza dubbio, una importante e marcata difficoltà di comunicazione nelle relazioni industriali contraddistinta da un accesso conflitto tra le parti", comune anche al presente giudizio.

    Ad ogni modo, la citata norma contrattuale prevede che "Le Parti si danno atto che le procedure previste dalla Legge 23 luglio 1991, n. 223, dalla Legge 29 dicembre 1990, n. 428 nonché dal D.P.R. n. 218 del 2000, assorbono e sostituiscono le procedure di informazione e consultazione in materia"; pertanto, posto il corretto avvio della procedura, si esclude che ad una violazione dell’art. 9 del CCNL possa conseguirne l’annullamento.

    Per le difficoltà di apprezzamento della vicenda, si stima equa l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali.

     

    P.Q.M.

     

    1) rigetta il ricorso;

    2) compensa le spese.

 

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