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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 15/04/2025

    Lavoro - Versamento di ritenute previdenziali - Obbligazione di pagamento - Estinzione del diritto per mancato esercizio - Decadenza dalla potestà sanzionatoria - Art. 9, D.Lgs. n. 8/2016 - Depenalizzazione - Notifica della violazione - Sanzioni amministrative - Retroattività - Principio di legalità - Rigetto

     

    Svolgimento del processo

     

    La corte d’appello di Torino, nella sentenza indicata in epigrafe, ha dichiarato estinta l’obbligazione di pagamento delle somme indicate nelle ordinanze ingiunzione opposte di cui in atti, irrogate per omesso versamento di ritenute previdenziali.

    La Corte, richiamando propri precedenti resi in fattispecie analoghe, ha ritenuto maturata la decadenza dalla potestà sanzionatoria per decorso del termine di cui all’art. 14, comma 2°, l. n. 689/1981, assumendo la data di entrata in vigore del d.lgs. n 8/2016, che, all’art. 3, comma 6, aveva parzialmente depenalizzato l’illecito in questione, come dies a quo del termine di novanta giorni per la contestazione dell’illecito; inoltre, ha reputato irrilevante che non risultasse al fine alcun provvedimento di trasmissione degli atti da parte dell’autorità giudiziaria all’ente previdenziale, ritenendo per contro che ciò valesse semplicemente ad escludere il diverso dies a quo previsto dall’art. 9, d.lgs. n. 8/2016, cit.

    - Avverso tale sentenza ricorre l’Inps per un motivo, cui resiste con controricorso il datore di lavoro.

    Le parti hanno presentato memorie.

    Il procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

     

    Ragioni della decisione

     

    Con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 2°, l. n. 689/1981, degli artt. 8, comma 1, e 9, d.lgs. n. 8/2016, e dell’art. 2, comma 1-bis, d.l. n. 463/1983 (conv. con l. n. 638/1983), per avere la Corte di merito ritenuto maturata la decadenza dall’esercizio del potere sanzionatorio di cui all’art. 14, l. n. 689/1981, cit.: ad avviso dell’Istituto ricorrente, infatti, la vicenda per cui è causa andrebbe disciplinata esclusivamente sulla scorta degli artt. 8, comma 1, e 9, d.lgs. n. 8/2016, che – nel prevedere la depenalizzazione dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali, già qualificato come illecito penale dall’art. 2, comma 1-bis, d.l. n. 463/1983, cit. – hanno bensì previsto, per le fattispecie verificatesi anteriormente alla sua entrata in vigore, la retroattività della sostituzione della sanzione amministrativa a quella penale e la conseguente restituzione degli atti all’autorità amministrativa affinché quest’ultima proceda a notificare al responsabile gli estremi della violazione, ma senza in alcun modo comminare la decadenza per il caso in cui l’amministrazione non vi provveda entro il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti.

    Il motivo è infondato.

    Va premesso che il d.lgs. n. 8/2016, nel prevedere, all’art. 8, comma 1, che “le disposizioni del presente decreto che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso”, ha disciplinato, all’art. 9, le modalità con cui darvi concreta applicazione, stabilendo anzitutto che “l’autorità giudiziaria, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, dispone la trasmissione all’autorità amministrativa competente degli atti dei procedimenti penali relativi ai reati trasformati in illeciti amministrativi” (comma 1), differenziando in secondo luogo i soggetti a ciò tenuti a seconda che l’azione penale sia già stata o meno esercitata (commi 2 e 3) e disponendo, da ultimo, che “l’autorità amministrativa notifica gli estremi della violazione agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni […] dalla ricezione degli atti” (comma 4).

    Ciò posto, va rilevato che l’art. 6, d.lgs. n. 8/2016, stabilisce in forma assolutamente generale che “nel procedimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dal presente decreto si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni delle sezioni I e II del capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689”; e se è indubitabile che la previsione valga anzitutto pro futuro, ossia per le violazioni commesse a far data dalla sua entrata in vigore, non è meno vero che tra le “sanzioni amministrative previste dal presente decreto” debbono intendersi ricomprese anche quelle sanzioni che, a norma del successivo art. 8, “si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso”: prova ne sia, ai fini che qui interessano, che l’art. 9, come s’è già visto, prevede che l’autorità amministrativa debba notificare “gli estremi della violazione agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni […] dalla ricezione degli atti”, vale a dire entro il medesimo termine previsto dall’art. 14, comma 2°, l. n. 689/1981, che la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente interpretato come termine di decadenza dall’esercizio della potestà sanzionatoria (cfr. ex multis Cass. n. 9456 del 2004 e, da ult., Cass. n. 4345 del 2024).

    Si tratta, ad avviso del Collegio, di una soluzione costituzionalmente necessitata ove si consideri che, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, l. n. 689/1981, nella parte in cui non prevede un termine per la conclusione del procedimento sanzionatorio mediante l’emissione dell’ordinanza ingiunzione o dell’ordinanza di archiviazione degli atti, la Corte costituzionale ha nondimeno precisato che,in materia di sanzioni amministrative, il principio di legalità deve necessariamente modellare anche “la formazione procedimentale del provvedimento afflittivo con specifico riguardo alla scansione cronologica dell’esercizio del potere”, in quanto “la previsione di un preciso limite temporale per la irrogazione della sanzione costituisce un presupposto essenziale per il soddisfacimento dell’esigenza di certezza giuridica, in chiave di tutela dell’interesse soggettivo alla tempestiva definizione della propria situazione giuridica di fronte alla potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione, nonché di prevenzione generale e speciale”, e la sua individuazione in un momento “non particolarmente distante dal momento dell’accertamento e della contestazione dell’illecito, consentendo all’incolpato di opporsi efficacemente al provvedimento sanzionatorio, garantisce un esercizio effettivo del diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost. ed è coerente con il principio di buon andamento ed imparzialità della P.A. di cui all’art. 97 Cost.” (Corte cost. n. 151 del 2021).

    In altri termini, è il principio di legalità di cui all’art. 23 Cost., in combinato disposto con il diritto di difesa di cui all’art. 24 e il principio di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97, ad imporre all’interprete di ritenere che il termine previsto all’art. 9, comma 4, d.lgs. n. 8/2016, sia un termine di decadenza: diversamente opinando, infatti, l’“esigenza di contenere nel tempo lo stato di incertezza inevitabilmente connesso alla esplicazione di una speciale prerogativa pubblicistica, quale è quella sanzionatoria, capace di incidere unilateralmente e significativamente sulla situazione giuridica soggettiva dell’incolpato”, resterebbe esclusivamente affidata alla previsione del termine di prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative (art. 28, l. n. 689/1981), che tuttavia, per ampiezza e suscettibilità di interruzione, deve considerarsi “inidoneo a garantire, di per sé solo, la certezza giuridica della posizione dell’incolpato e l’effettività del suo diritto di difesa, che richiedono contiguità temporale tra l’accertamento dell’illecito e l’applicazione della sanzione” (così ancora Corte cost. n. 151 del 2021, cit.).

    Chiarito, pertanto, che la norma di cui all’art. 9, comma 4, d.lgs. n. 8/2016, deve leggersi alla stregua del precetto di cui all’art. 14, comma 2°, l. n. 689/1981, e ricordato che, per principio generale, l’onere della prova dell’osservanza dei termini previsti a pena di decadenza per l’esercizio di un diritto incombe su chi intende esercitarlo (cfr., fra le tante, Cass. nn. 3796 del 1989, 10412 del 1997, 7093 del 2003),la peculiarità del caso di specie è data dal fatto che nessuna trasmissione degli atti è stata effettuata dall’autorità giudiziaria all’INPS, di talché non appare possibile né riferirsi al dies a quo previsto dall’art. 9, comma 4, d.lgs. n. 8/2016, né a fortiori quello di cui all’art. 14, comma 2°, l. n. 689/1981, dal momento che all’epoca dell’accertamento il fatto era previsto dalla legge come reato.

    D’altra parte, deve logicamente escludersi che l’inerzia dell’autorità giudiziaria nella trasmissione degli atti all’INPS possa ridondare a danno dell’incolpato, privandolo del diritto alla tempestiva definizione della propria situazione giuridica di fronte alla potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione: una simile conclusione si porrebbe infatti diametralmente in contrasto con le esigenze di certezza del diritto e di tutela del diritto di difesa e del buon andamento dell’amministrazione puntualmente evidenziate da Corte cost. n. 151 del 2021, cit., e sarebbe dunque sospettabile di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 23, 24  e 97 Cost.

    - Reputa il Collegio che alla questione possa darsi risposta negli stessi termini elaborati dalle Sezioni Unite di questa Corte in relazione all’incidenza di una legge sopravvenuta che introduca ex novo un termine di decadenza riferibile ad una situazione giuridica ancora pendente (Cass. S.U. n. 15352 del 2015): fermo restando, infatti, che la previsione di un termine di decadenza da parte del legislatore non può avere effetto retroattivo, non potendo logicamente configurarsi un’ipotesi di estinzione del diritto per mancato esercizio da parte del titolare in assenza di una previa determinazione del termine entro il quale il diritto debba essere esercitato, il necessario bilanciamento tra le esigenze di garantire, da una parte, il conseguimento delle finalità perseguite dal legislatore con l’introduzione del termine decadenziale per l’esercizio della potestà sanzionatoria e di tutelare, dall’altra parte, l’interesse della parte pubblica a non vedersi addebitare un’inerzia ad essa non imputabile può essere assicurato dalla regola di valore generale dell’art. 252 att. c.c., secondo cui quando per l’esercizio di un diritto il codice stabilisce un termine più breve di quello stabilito dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all’esercizio dei diritti sorti anteriormente e alle prescrizioni e usucapioni in corso, ma il nuovo termine decorre dalla data di entrata in vigore della nuova legge.

    Alla stregua delle anzidette considerazioni, affatto correttamente i giudici territoriali hanno ritenuto nel caso di specie che, una volta accertato che l’autorità giudiziaria non aveva trasmesso all’INPS gli atti relativi al procedimento penale illo tempore promosso nei confronti dell’odierno controricorrente, la decorrenza del termine entro cui effettuare la contestazione dell’addebito andasse collocata al momento di entrata in vigore del d. lgs. n. 8/2016 (6.2.2016), ossia quando, intervenuta la depenalizzazione, l’INPS comunque avrebbe potuto motu proprio dar corso al procedimento sanzionatorio mediante notifica della violazione.

    Sicché, considerato che i giudici territoriali hanno altresì accertato che “negli stessi atti di accertamento della violazione è lo stesso Istituto a dare atto che le violazioni sono emerse ‘da una verifica dei nostri archivi’ […], il che dimostra che tutti i dati erano già in possesso dell’Istituto e che l’accertamento delle violazioni non ha richiesto alcuna attività istruttoria” (così la sentenza impugnata, pagg. 6-7), deve concludersi che la sentenza gravata resiste alle censure mossele.

    Il ricorso, pertanto, va rigettato con l’enunciazione del seguente principio di diritto: “il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti dall’autorità giudiziaria, entro il quale, a norma dell’art. 9, comma 4, d.lgs. n. 8/2016, l’INPS deve notificare al responsabile la violazione amministrativa concernente il mancato versamento delle ritenute previdenziali, parzialmente depenalizzata ai sensi dell’art. 3, comma 6, del medesimo decreto legislativo, è fissato a pena di decadenza dall’esercizio della potestà sanzionatoria e, in caso di mancata trasmissione degli atti da parte dell’autorità giudiziaria, decorre dal momento di entrata in vigore del d.lgs. n. 8/2016 (6.2.2016), ove dal vaglio di merito risulti che, in concreto, l’accertamento delle violazioni non ha richiesto da parte dell’INPS alcuna attività istruttoria”.

    La novità e complessità della questione trattata giustificano la compensazione delle spese del giudizio di legittimità, mentre, tenuto conto del rigetto del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

     

    P.Q.M.

     

    Rigetta il ricorso. Compensa le spese.

    Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

 

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