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Licenziamento - Impiegati assunti a contratto dalle rappresentanze diplomatiche - Contratto soggetto alla legge locale e non a quella Italiana - Forme di tutela nei casi di licenziamento illegittimo - Ordine pubblico - Tutela reintegratoria - Indennità di c.d. liquidazione - Mancato preavviso - Risarcimento danni - Rigetto
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Roma, riformando solo sul quantum la sentenza del Tribunale della stessa sede con la quale era stato annullato il licenziamento disciplinare intimato dal (...) (di seguito, M.) nei riguardi di M.I., collaboratore del Capo Missione presso l’ambasciata italiana in Pakistan, ha ritenuto che erroneamente il Tribunale avesse applicato, quanto a determinazione delle conseguenze dell’invalido recesso, l’art. 63, co. 2, del d. lgs. n. 165 del 2001, perché il contratto era soggetto alla legge locale e non a quella italiana.
Prendendo atto che la legge pakistana non riconosceva tutele applicabili al caso di licenziamento disciplinare illegittimo - non potendo valere, perché riguardanti altre ipotesi, le tutele consistenti nell’attribuzione dell’indennità di mancato preavviso o quella dell’indennità di c.d. liquidazione - la Corte territoriale riteneva che, in linea con l’interpretazione costante di questa S.C., le tutele interne contro il licenziamento illegittimo fossero norme di ordine pubblico, destinate ad imporsi all’interno di un contratto, seppure per il resto soggetto alla legge locale.
La Corte di merito applicava quindi l’art. 18, co. 4, della L. n. 300 del 1970 e, confermando l’ordine di reintegra già pronunciato dal Tribunale, riduceva da 24 a 12 le mensilità di retribuzione a titolo di risarcimento del danno.
2. Il M. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, resistiti da controricorso del lavoratore.
Sono in atti memorie di ambo le parti.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 14 della legge n. 218 del 1995, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
Il motivo richiama la disciplina del d.p.r. n. 18 del 1967, quale modificata dal d. lgs. n. 103 del 2000 e segnala la prevalenza che l’art. 154 del d.p.r. cit. assegna alla legge locale, destinata a trovare applicazione sia nelle materie rispetto alle quali la disciplina speciale nulla prevede, sia qualora essa riservi al lavoratore un trattamento di miglior favore.
Poiché il d.p.r. nulla stabilisce in tema di licenziamento, secondo il M. era doveroso, ai sensi dell’art. 14 della legge n. 218 del 1995, procedere, come non avevano fatto i giudici del merito, all’accertamento officioso del contenuto della pertinente normativa pakistana, profilo rispetto al quale il ruolo delle parti era da considerare meramente sussidiario.
Il secondo motivo adduce la violazione e\o falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 16 della legge n. 218 del 1995.
Con esso si censura il fatto che, nonostante sia mancato l’accertamento del contenuto del diritto straniero, la sentenza impugnata abbia ritenuto quest’ultimo contrastante con l’ordine pubblico italiano, per la necessità di riconoscere al lavoratore una tutela “reale” reintegratoria e non solo una tutela obbligatoria o risarcitoria; non solo però – si aggiunge nel motivo – la giurisprudenza italiana aveva ritenuto non in contrasto con l’ordine pubblico taluni casi di licenziamento irrogati secondo ordinamenti stranieri, ma non potrebbe neanche ritenersi in contrasto con l’ordine pubblico il concreto meccanismo, diverso dalla reintegrazione, attraverso cui nel paese straniero di riferimento si sanziona il recesso ingiustificato del datore di lavoro, al punto che, opinando altrimenti, anche la normativa italiana dovrebbe ritenersi in contrasto con l’ordine pubblico, visto che un gran numero di lavoratori, dipendenti di piccole imprese, non gode della tutela reale nell’ordinamento interno.
Il motivo prosegue riportando un parere legale rilasciato all’Ambasciata d’Italia ad Islamabad dal quale si evince che il diritto pakistano riconosce al giudice la possibilità di concedere una tutela meramente risarcitoria al posto della reintegra, sicché entrambi i rimedi sono contemporaneamente ammissibili dalla legge.
Infine, il terzo motivo assume la violazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, sul presupposto che l’espressione interna dell’ordine pubblico in materia sarebbe da ravvisare nella disciplina della legge n. 604 del 1966 e non nell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, attributivo, attraverso la tutela reintegratoria, di un quid pluris.
2. I motivi possono essere esaminati congiuntamente, data la loro connessione logico-giuridica.
3. La sentenza impugnata ha ricostruito il regime del rapporto affermando che esso è soggetto alla disciplina locale pakistana, in forza del vigente art. 154 del d.p.r. n. 18 del 1967.
Ha poi richiamato gli artt. 164 e 166 del d.p.r. cit. e la previsione di essi in ordine al licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, rilevando tuttavia come il d.p.r. nulla preveda rispetto alle conseguenze di un licenziamento illegittimo.
Ha quindi escluso che, stante la specialità della disciplina, sancita anche dall’art. 45 del d. lgs. n. 165 del 2001 nelle diverse versioni succedutesi nel tempo, potesse trovare applicazione l’art. 63, co. 2, del d. lgs. n. 165 del 2001 regolativo delle conseguenze sanzionatorie, nelle forme della c.d. reintegrazione con tutela risarcitoria attenuata, del licenziamento illegittimo in ambito di pubblico impiego.
Da tutto ciò ha concluso, in linea di principio, per l’applicazione della legge pakistana in tema di conseguenze del licenziamento illegittimo.
Tuttavia – dice la sentenza impugnata – quella legislazione non prevederebbe la reintegrazione, né la corresponsione di un’indennità risarcitoria, sicché essa non potrebbe essere applicata nell’ordinamento italiano, per contrasto con l’ordine pubblico.
Da qui l’applicazione della tutela reintegratoria, con risarcimento attenuato, ai sensi dell’art. 18, co. 4, della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge n. 92 del 2012.
3.1 Si deve peraltro dare atto che le acquisizioni in diritto conseguenti alle difese delle parti in sede di giudizio di cassazione indicano l’esistenza anche in Pakistan di forme di tutela nei casi di licenziamento illegittimo, per quanto la reintegrazione non sia prevista (v. il parere allegato alla memoria del M.) o sia prevista in via alternativa al risarcimento (v. il parere allegato al ricorso per cassazione).
3.2 Per completezza si rileva che, quanto all’illegittimità del licenziamento, la Corte territoriale ha accertato – e non è più in discussione – l’insussistenza in fatto degli addebiti (condotta impropria verso un giornalista; manifestazioni di giubilo per un ammanco di documenti verificatosi presso l’Ambasciata) o la loro non illiceità (asserite ingiurie o frasi irrispettose verso il capo missione, risultate poi non tali).
Ciò riporta, nelle distinzioni che il diritto interno ha sviluppato nell’ambito del lavoro privato, ad un’illegittimità comunque per “insussistenza” del fatto (v. per quanto riguarda il regime della legge n. 92 del 2012, Cass. 7 febbraio 2019, n. 3655; Cass. 5 dicembre 2017, n. 29062; v. per quanto riguarda il regime del c.d. jobs act, Cass. 2 novembre 2023, n. 30469; Cass. 8 maggio 2019, n. 12174).
Nell’ambito del lavoro pubblico privatizzato non sono regolate distinzioni di tal fatta, ma certamente la qualificazione giuridica delle illegittimità riscontrate è comunque quella.
4. Il tema dei rimedi contro il licenziamento illegittimo nei rapporti come quello oggetto di causa va peraltro diversamente impostato.
4.1 Non vi è dubbio che – come sancito reiteratamente dalla giurisprudenza di questa S.C. (Cass. 9 febbraio 2023, n. 4060; Cass. 17 marzo 2021, n. 7531, oltre alla giurisprudenza ivi richiamata) – i rapporti di lavoro degli “impiegati assunti a contratto dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari e dagli istituti di cultura” siano soggetti a diritto speciale.
Lo precisa il d.lgs. n. 165/2001 che, nel dettare le norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, ha ribadito detta specialità ed ha previsto, in tutte le versioni dell'art. 45 succedutesi nel tempo, che «le funzioni ed i relativi trattamenti economici accessori del personale non diplomatico del Ministero degli affari esteri per i servizi che si prestano all'estero presso le rappresentanze diplomatiche, gli uffici consolari e le istituzioni culturali e scolastiche, sono disciplinati, limitatamente al periodo di servizio ivi prestato, dalle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967 n. 18, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché dalle altre pertinenti normative di settore del Ministero degli affari esteri».
Secondo l’art. 154 del citato d.p.r., in particolare «per quanto non espressamente disciplinato dal presente titolo, i contratti sono regolati dalla legge locale».
I contratti di lavoro sono dunque soggetti ad una disciplina di settore derivante dagli artt. 154 ss. del citato d.p.r. ed alla legge locale per quanto in essi non regolato.
Quanto al recesso datoriale per ragioni disciplinari, l’art. 166 ne regola i presupposti, mentre l’art. 164 ai commi 4 e ss. regola il procedimento di irrogazione della sanzione (sul tema v. Cass. 9 febbraio 2023, n. 4060).
Nulla è invece detto nel d.p.r. sulla disciplina dell’impugnativa del licenziamento così irrogato, né sulle conseguenze dell’illegittimità di esso.
4.2. Anche quelli qui in esame sono peraltro rapporti che si inseriscono nell’ambito del lavoro pubblico privatizzato, per quanto essi siano poi soggetti ad un regime regolativo del tutto speciale.
In linea di principio, questa S.C. ha già ritenuto che la sottoposizione di un rapporto di lavoro con un ente pubblico non economico alla disciplina speciale (in quel caso, contratto collettivo di lavoro di diritto privato), con riferimento ad attività istituzionali del medesimo ente, non comporta il fuoriuscire di tale rapporto dall'ambito del lavoro pubblico privatizzato (Cass. 24 aprile 2023, n. 10811 e precedenti ivi richiamati di quel diverso settore).
Del resto, elementi per una certa qualificazione dei rapporti in termini a tutti gli effetti privatistici non vi sono ed il legame con le attività istituzionali è forte (v. art. 156 del d.p.r. cit.), potendosi quindi ritenere che proprio il citato art. 45, nel ribadire la assoluta specialità dei rapporti, ma all’interno del d. lgs. n. 165 del 2001, confermi la pertinenza di essi – per quanto di diritto sui generis – all’ambito del lavoro privatizzato.
La specialità è del resto sancita, per quanto ampiamente, in riferimento alla disciplina di «funzioni e relativi trattamenti economici» ed è sviluppata dal d.p.r. n. 18/1967 in vari aspetti (regole assunzionali; retribuzione; orario, ferie, procedimento disciplinare, alcuni aspetti previdenziali ed assicurativi etc.) che non comprendono però i poteri del giudice nei riguardi della pubblica amministrazione datore di lavoro, né in generale, né in relazione allo specifico profilo dell’impugnativa dei licenziamenti.
4.3 Si deve quindi considerare che il Ministero è certamente datore di lavoro con caratura di soggetto pubblico “non economico” e che è pacifica la pertinenza delle controversie alla giurisdizione italiana (Cass. S.U., 1° luglio 2016, n. 13536; Cass., S.U., 28 dicembre 2011, n. 29093), nel cui contesto essa non può che essere esercitata, ratione materiae, con i poteri sanciti dell’art. 63 del d. lgs. n. 165 del 2001 e quindi riconoscendo, in caso di licenziamento illegittimo, la reintegrazione, oltre alla tutela risarcitoria c.d. attenuata ivi prevista.
E’ vero che le conseguenze sanzionatorie in caso di licenziamento illegittimo riguardano anche l’assetto sostanziale dei rapporti di lavoro, ma, nel caso della Pubblica Amministrazione, non vi è altrettanto dubbio che si ponga il tema dei rapporti tra essa ed il giudice ordinario e che l’art. 63 cit. ha riguardo a tale aspetto, con specifica declinazione, in esito alle modifiche apportate dal d. lgs. 75/2017, anche rispetto alle conseguenze del licenziamento illegittimo ed alla rideterminazione della sanzione disciplinare del difetto di proporzione.
Questa S.C. ha in proposito già ritenuto, pronunciando sul potere di rideterminazione della sanzione, che tale disciplina si caratterizzi in primis proprio per il definire i poteri del giudice ordinario nelle controversie inerenti ai rapporti di impiego pubblico privatizzato (Cass. 18 aprile 2023, n. 10236 e poi Cass. 25 gennaio 2025, n. 1818) ed è evidente che analoga conclusione può valere per la reintegrazione, che ha l’effetto di comportare la prosecuzione del rapporto con il datore di lavoro pubblico secondo l’assetto preesistente.
Vale poi considerare come non potrebbe rimettersi di certo al diritto straniero – per evidenti ragioni ordinamentali – la disciplina dei poteri del giudice rispetto ad una P.A. nazionale, che poi in questi casi e per questi rapporti è sempre la medesima, ovverosia il M.
Da ciò deriva sia l’applicazione della novella apportata all’art. 63, co. 2, del d. lgs. n. 165 del 2001 dal d. lgs. n. 75/2017, anche ai rapporti in corso al momento dell’entrata in vigore di essa – come è quello di specie - perché «la disciplina applicabile ratione temporis all’esercizio di detti poteri è quindi quella vigente nel momento in cui il potere stesso è esercitato» (Cass. 10236/2023 cit.), sia il fuoriuscire dell’ipotesi dall’ambito di specialità dei rapporti qui in esame che sono da regolare, quanto a poteri del giudice, sulla base della normativa, comune all’impiego pubblico contrattualizzato, cui anch’essi – pur nella loro specialità – appartengono.
Tutto ciò comporta quindi il riconoscimento, in ogni caso di illegittimità del licenziamento, della reintegrazione e della tutela risarcitoria fino a ventiquattro mensilità, così realizzando altresì una soluzione uniformante, in quanto valida a prescindere dello Stato estero in cui la prestazione si è svolta, che allinea appieno anche i rapporti oggetto di causa al regime proprio del lavoro privatizzato con la P.A., così superando ogni diversa questione agitata dalle parti in questa causa.
5. In definitiva, riepilogando, deve affermarsi che i rapporti regolati dagli artt. 152 ss. del d.p.r. n. 18 del 1967 restano soggetti, quanto a disciplina sostanziale speciale, alle norme del medesimo d.p.r. ed alla legge locale, come già affermato dalla giurisprudenza di questa S.C., mentre per quanto riguarda le conseguenze del licenziamento illegittimo, si rientra nell’alveo della giurisdizione nazionale (Cass. SS.UU., 13536/2016 e 29093/2011 citt.), da esercitarsi con i poteri di cui all’art. 63 del d. lgs. n. 165 del 2001 e quindi, con riconoscimento della reintegrazione e della tutela risarcitoria ivi stabilita.
6. Su tali premesse, poiché il lavoratore non ha fatto questione sul quantum risarcitorio e poiché nel resto gli effetti (reintegrazione e condanna al risarcimento in misura non superiore a 24 mensilità, qui fissate dal giudice del merito in numero di 12) sono identici a quelli che derivano dall’applicazione dell’art. 63 cit., la pronuncia di appello, rettificata la motivazione nei termini di cui sopra, resta dunque confermata come tale.
7. Le spese seguono la soccombenza.
8. Non sussistono le condizioni di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002 perché la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass., S.U., 8 maggio 2014, n. 9938; Cass. 29 gennaio 2016 n. 1778; Cass. 27 novembre 2017, n. 28250).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 4.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
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