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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 5/11/2025

    Lavoro - Assegno d'invalidità - Compensi professionali - Soglie minime percentuali di riduzione - Trasparenza e l'unitarietà nella determinazione dei compensi professionali - Accoglimento

     

    Rilevato che

     

    Con sentenza n.4020/21, la Corte d’appello di Napoli, rigettava il gravame proposto da F.M. avverso la sentenza del tribunale di Napoli che aveva condannato l’Inps al pagamento in favore di quest’ultimo dei retei di assegno d’invalidità per il periodo in contestazione e per quanto ancora d’interesse, aveva liquidato le spese di lite nell’importo di € 1.200,00.

    La Corte d’appello, a sostegno dei propri assunti d’infondatezza del gravame (proposto solo in punto di spese), ha ritenuto che, alla stregua della normativa vigente, il giudice fosse svincolato dal rispetto dei limiti tariffari minimi e massimi, in quanto sulla base della normativa richiamata (cfr. foglio 3 della sentenza impugnata) le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, non dovevano considerarsi vincolanti, per l’organo giudicante.

    Avverso tale sentenza, F.M. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

    L’INPS ha resistito con controricorso.

    Il collegio riserva ordinanza, nel termine di sessanta giorni dall’adozione della decisione in camera di consiglio.

     

    Considerato che

     

    Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 4 e 5 del DM n. 55/14, come modificato dal DM n. 37/18, entrato in vigore il 27.4.18 (ed applicabile ratione temporis) dell’art. 2233 c.c. e dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., perché la Corte d’appello non aveva tenuto in debita considerazione l’insuperabilità da parte del tribunale delle percentuali massime di riduzione dei valori medi di liquidazione previste dal DM n. 55/14 e, pertanto, la conseguente inviolabilità dei compensi minimi fissati da tale normativa, in violazione delle norme di cui alla rubrica.

    Con il secondo motivo di ricorso, in via subordinata, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 comma 5 lettera d) del DM n. 55/14, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., e ciò, nel caso in cui la Corte d’appello avesse voluto escludere dalla liquidazione degli onorari la fase decisionale, che pur aveva riconosciuta.

    Il primo e secondo motivo, che possono essere oggetto di un esame congiunto, sono fondati.

    Infatti, la Corte d’appello ha motivato la riduzione sotto i minimi, alla luce della modestissima rilevanza giuridica e della semplicità e ripetitività della questione trattata, tale da giustificare la liquidazione delle spese nella misura operata.

    In effetti, la Corte d’appello non ha tenuto conto che rispetto al DM n. 55/14, il quadro normativo ha poi subito un'ulteriore variazione a seguito dell'emanazione del D.M. n. 37 del 2018, entrato in vigore il 27 aprile 2018, che ha modificato solo alcune delle previsioni del D.M. n. 55 del 2014.

    Ai fini che rilevano, la modifica ha integrato i parametri per la determinazione dei compensi, sia per l'attività giudiziale che per quella stragiudiziale (rispettivamente artt. 4 e 19) precisando che la riduzione, rispetto al valore medio di liquidazione non può essere superiore alla misura del 50 % (per la sola fase istruttoria fino al 70 %) mentre l'aumento può essere anche superiore alla percentuale fissata di regola nell'80 %, eliminando per il potere di riduzione l'espressione "di regola" che aveva appunto giustificato l'interpretazione volta a consentire, sia pure con motivazione, la liquidazione anche al di sotto dei minimi tariffari.

    La significatività della modifica del testo delle norme richiamate si ricava anche dalle argomentazioni spese dal Consiglio di Stato nel parere reso sullo schema del decreto del 2018 (parere numero 02703/2017 del 27/12/2017), nel quale si sottolinea come tra gli obiettivi del Ministero vi fosse anche quello di "superare l'incertezza applicativa ingenerata dalla possibilità, nell'attuale sistema parametrale, che il giudice provveda alla liquidazione del compenso dell'avvocato senza avere come riferimento alcuna soglia numerica minima, rendendo inadeguata la remunerazione della prestazione professionale", limitando quindi ".... il perimetro di discrezionalità riconosciuto al giudice, individuando delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base al di sotto delle quali non è possibile andare".

    Nel parere, inoltre, si rimarcava come la modifica proposta non si palesasse in contrasto neanche con la normativa Europea in materia anche alla luce delle argomentazioni contenute nella sentenza n. 427 del 23 novembre 2017 della Corte di Giustizia dell'Unione Europea.

     Nella specie, si segnalava che, rispetto alla vicenda vagliata dal giudice Eurounitario, il provvedimento che fissa i parametri, oltre che essere adottato non da un'organizzazione di rappresentanza della categoria forense ma dal Ministro della giustizia, rispondeva anche all'esigenza di perseguire precisi criteri d'interesse pubblico stabiliti dalla legge quali la trasparenza e l'unitarietà nella determinazione dei compensi professionali.

    Ciò detto, va dato atto che il ricorrente ha rinunciato all’impugnazione del capo della sentenza di appello dove si è ritenuto che non andasse computata la fase istruttoria, ai fini della liquidazione delle spese, in quanto tale attività non era stata svolta nel giudizio di primo grado, che aveva ad oggetto il solo pagamento dei ratei di assegno di invalidità, già riconosciuti con distinta sentenza del tribunale di Napoli n. 25759/11.

    Deve, inoltre, premettersi che, ai fini dell'individuazione degli scaglioni applicabili per la liquidazione delle spese di giudizio, nelle controversie relative a prestazioni assistenziali il valore della causa va determinato ai sensi dell'art. 13 c.p.c., comma 1, di talchè, se il titolo è controverso, in base all'ammontare delle somme dovute per due anni (Cass. S.U. n. 10455 del 2015);applicando tali principi al caso in esame, il valore della causa va individuato tra Euro 5.200,00 ed Euro 26.000,00, in tale scaglione rientrando l'ammontare di due annualità della prestazione richiesta.

    I parametri minimi stabiliti per tale scaglione (al di sotto dei quali non è consentito andare, costituendo una violazione del DM n. 37/18, secondo Cass. n. 19049/25), computando quattro fasi per la fase introdotta ai sensi dell'art. 445 bis c.p.c., comma 6, vanno individuati, secondo quanto già indicato nel precedente di questa Corte n. 10615/21, negli importi minimi così precisati: Euro 2.251,00 per il giudizio di merito (risultanti dalla somma di Euro 442,50 per la fase di studio, Euro 370,00 per la fase introduttiva del giudizio, Euro 475,50 per la fase istruttoria e/o di trattazione ed Euro 962,00 per la fase decisionale, dovendosi ridurre le prime due e la fase decisionale del 50% e la fase istruttoria del 70%, ancora ai sensi del cit. D.M. n. 55 del 2014, art. 4): bisogna tuttavia tenere conto, nella specie, che il ricorrente ha rinunciato – come già detto - alla fase istruttoria (cfr. p. 9 del ricorso) e, inoltre, che la liquidazione va fatta all’attualità, secondo le ultime tabelle degli onorari del 2022 (DM 147/22), cfr. Cass. n. 2450/23.

    Pertanto, il ricorso va accolto e la sentenza va cassata e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Napoli, affinché, alla luce dei principi sopra esposti, riesamini il regime di regolamentazione delle spese.

     

    P.Q.M.

     

    Accoglie il ricorso.

    Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione.

 

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