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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 5/11/2025

    Lavoro - Invalido civile - Indennità di accompagnamento - Corresponsione dei ratei maturati - Consulenza tecnica - Travisamento della prova - Revocazione - Inammissibilità

     

    Rilevato che

     

    1. Con ricorso depositato innanzi al Tribunale di Velletri, in funzione di giudice del lavoro, G.D.B., depositato atto di dissenso rispetto al precedente accertamento tecnico preventivo nei termini dettati dall’art. 445-bis c.p.c., chiedeva il ripristino dello status di invalido civile ex art. 1 legge 18/1980 ai fini dell’indennità di accompagnamento e la condanna dell’INPS alla corresponsione dei ratei maturati.

    L’INPS si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.

    Con la sentenza n. 1524/2023 depositata l’11/12/2023 il Tribunale di Velletri rigettava la domanda e dichiarava irripetibili le spese di lite.

    2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, articolando un unico motivo, G.D.B.

    L’INPS si è costituito con controricorso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

    3. Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 25/9/2025.

     

    Considerato che

     

    1. Con l’unico motivo di ricorso si deduce «Violazione e falsa e falsa applicazione degli articoli 115 c.p.c. e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. per aver il Giudice errato nella valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova».

    2. Con il ricorso si deduce violazione falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. ma non in relazione all’art. 360, primo comma n. 3, c.p.c. bensì invocando il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c..

    Si deve, tuttavia, intendere il motivo di impugnazione nella sostanza e, superando l’imprecisione formale, appare dedotto, nel concreto, l’omesso esame di un fatto decisivo, dal momento che si lamenta come il Giudice del Tribunale abbia respinto la domanda dando atto che la consulenza concludeva per l’insussistenza delle condizioni mediche per il riconoscimento della indennità di accompagnamento, mentre al contrario la consulenza riconosceva in positivo la sussistenza dei presupposti medici per la richiesta indennità.

    3. Il motivo è, comunque, inammissibile.

    3.1. Il travisamento della prova, la svista nella percezione delle conclusioni della c.t.u. è, per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, rimediabile con il rimedio della revocazione e non con il ricorso per cassazione: in tal senso si considerino i seguenti principi di diritto.

    Il ricorso per cassazione, fondato sull'affermazione che il giudice di merito abbia travisato le risultanze della consulenza tecnica, è inammissibile, configurandosi in questa ipotesi esclusivamente il rimedio della revocazione, ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c. (Cass. 08/02/2019, n. 3867).

    La denuncia di un errore di fatto, consistente nell'inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, non costituisce motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ma di revocazione a norma dell'art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto tale l'affermazione di mancanza di prova in ordine alla data di un documento che invece la riportava) (Cass. 09/02/2016, n. 2529).

    Il ricorso per cassazione, fondato sull'affermazione che il giudice di merito abbia travisato le risultanze della consulenza tecnica, è inammissibile, configurando un'ipotesi di travisamento dei fatti processuali contro cui è esperibile solo il rimedio della revocazione, ai sensi dell'art. 395, n. 4, cod. proc. civ.(Cass. 17/05/2012, n. 7772).

     4. Tale impostazione è stata, poi, confermata dalla ricostruzione sistematica offerta da Cass. ss. uu. 05/03/2024, n. 5792: il travisamento del contenuto oggettivo della prova - che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell'informazione probatoria al fatto probatorio - trova il suo istituzionale rimedio nell'impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall'art. 395, n. 4, c.p.c., mentre - se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti - il vizio va fatto valere ai sensi dell'art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale.

    4.1. Appare pienamente esplicativa in tal senso la motivazione resa dalle Sezioni Unite di questa Corte: «In breve, se il travisamento è frutto di un errore di percezione, soccorre la revocazione, se il travisamento è frutto di un errore di giudizio, esso rileva quale vizio motivazionale, ante novella del 2012, donde il principio, formulato nel vigore del testo dell’articolo 360 c.p.c. dell’epoca, secondo cui il travisamento dei fatti non può «costituire motivo di censura in sede di legittimità se non si risolve in omessa, deficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia» (Cass. 5 luglio 1971, n. 2093).

    Eccettuata l’ordinanza n. 11111, ed alcuni altri precedenti, siamo dunque dinanzi ad un granitico, come si usa dire in questi casi, orientamento che esclude l’ammissibilità del ricorso per cassazione civile per travisamento della prova.

    E cioè un travisamento della prova, nel suo «contenuto oggettivo», non denunciabile per revocazione, che occorrerebbe spendere nel giudizio di legittimità, non esiste: il travisamento della prova in senso proprio, come si è detto, è difatti un travisamento bifronte, al quale possono ricondursi sia il momento percettivo del dato probatorio nella sua oggettività, sia il momento dell’individuazione delle informazioni probatorie che dal dato probatorio, considerato nella sua oggettività, possono per inferenza logica desumersi.

    Ebbene, per un verso, il momento percettivo del dato probatorio nella sua oggettività è per sua natura destinato ad essere controllato attraverso lo strumento della revocazione; per altro verso il momento dell’individuazione delle informazioni probatorie che dal dato probatorio possono desumersi è, come è sempre stato, affare del giudice di merito, ed è per questo sottratto al giudizio di legittimità, a condizione, beninteso, non dissimilmente dal passato, che il giudice di merito si sia in proposito speso in una motivazione eccedente la soglia del minimo costituzionale.

    Il controllo dell’attività del giudice di merito, nel momento percettivo del dato probatorio nella sua oggettività è, come si diceva, affidato alla revocazione.

    Secondo l’articolo 395, n. 4, c.p.c.: «Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione: … se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa.

    Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare».

    La falsa supposizione non è frutto di una scelta deliberata, ragionata, è una falsa rappresentazione della realtà da ascrivere ad un abbaglio dei sensi, a disattenzione, distrazione, in buona sostanza ad una svista, la quale ricorre ― si è autorevolmente osservato con formula tanto poco curiale quanto appropriata a fotografare ciò che in concreto accade nell’operare del giudice ― quando il giudice prende «fischi per fiaschi e … verità per buggerate».

    In breve, una svista del giudice nella consultazione degli atti del processo. Si tratta, in particolare, di una svista non dissimile da quella in cui il giudice incorre in caso di errore materiale emendabile ai sensi dell’articolo 287 c.p.c., ma con la differenza che l’errore materiale è un errore esclusivamente testuale (meglio, quasi esclusivamente: v. Cass., Sez. Un., 7 luglio 2010, n. 16037, per il caso di omessa distrazione delle spese), riscontrabile come si suol dire ictu oculi, e che, come tale, è suscettibile di essere corretto con una procedura di natura sostanzialmente amministrativa, quale quella di cui al citato articolo 287, proprio perché, trattandosi di errore testuale auto-evidente, la sua correzione non necessita di intervenire sulla ratio decidendi che sostiene la decisione affetta da errore, ricostruendo quale essa ratio decidendi sia.

    Viceversa, l’errore revocatorio è un errore non testuale, che si rivela attraverso la messa a confronto di due divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, da un lato quella risultante dalla decisione del giudice, dall’altro quella, contrastante, tale da smentire la rappresentazione offerta dal giudice, che emerge univocamente dagli atti e documenti acquisiti al processo.

    È per questo che l’errore revocatorio (quando non possa essere fatto valere con l’appello) ha da essere intercettato attraverso la revocazione, perché dal compito istituzionale della Cassazione deriva che essa, estranea al giudizio di fatto, debba ricevere questo giudizio già formato: e se il giudice di appello sia incorso in una svista, è a lui che spetta di porvi rimedio, a mezzo della revocazione per errore di fatto, al fine di eventualmente consegnare al giudice di legittimità un fatto già definitivamente ricostruito nella sua oggettività.

    Infine, l’errore materiale, come quello revocatorio, è un errore commissivo, tant’è, quanto a quest’ultimo, che esso non ricorre in caso di semplice omesso esame di un fatto, sostanziale o processuale che sia (Cass., 26 maggio 2021, n. 14610; Cass. 21 luglio 2010, n. 17110).

    La revocazione per il motivo in esame è ammessa dalla giurisprudenza di questa Corte rispetto a qualsiasi fatto, sia sostanziale che processuale (v. p. es. per quest’ultima ipotesi i casi esaminati da Cass. 18 luglio 2008, n. 19924, e Cass. 14 novembre 2016, n. 23173), sempre che, ovviamente, tra la svista concernente il fatto e la statuizione adottata intercorra un nesso di necessità logica e giuridica tale da determinare, in ipotesi di percezione corretta, una decisione diversa (p. es. Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2009, n. 1666)».

    4. Il ricorso deve, in ragione dei principi di diritto richiamati, essere dichiarato inammissibile.

    5. Nulla sulle spese avendo la parte ricorrente depositato la dichiarazione prescritta ai fini dell’esenzione dall’art. 152 disp. att. c.p.c..

     

    P.Q.M.

     

    Dichiara inammissibile il ricorso; nulla sulle spese;

    ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.

 

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