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Lavoro - Accertamento di un rapporto di lavoro subordinato - Omissione contributiva - Prestazione di servizio negli Stati Uniti d’America - Rigetto
Fatti di causa
Con sentenza depositata l’11.7.2018, la Corte d’appello di Napoli ha confermato, con diversa motivazione, la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda con cui P.L., previo accertamento di un rapporto di lavoro subordinato con A. s.p.a. e dell’omissione contributiva perpetrata in suo danno nel periodo in cui egli aveva prestato servizio negli Stati Uniti d’America, alle dipendenze di un’impresa sua controllata, aveva chiesto la condanna della convenuta al risarcimento dei danni cagionatigli dall’omissione contributiva.
La Corte territoriale, nel rigettare il gravame, ha dapprima dato atto che, a seguito di un giudizio intentato dall’appellante avanti al Tribunale Distrettuale di New York, la società di diritto statunitense B.T.I. (B.), interamente partecipata da B.C.F. s.p.a. (adesso A. s.p.a.), era stata condannata a risarcirgli i danni per l’anticipata risoluzione del rapporto di lavoro; indi, ha ritenuto che il giudicato formatosi su tale pronuncia (automaticamente riconoscibile in Italia giusta le previsioni di cui all’art. 64, l. n. 218/1995) presupponeva necessariamente l’accertamento in capo a B. della qualità di datore di lavoro e, logicamente, che la controllante B.C.F. s.p.a. non potesse esserlo per il medesimo periodo; infine, ha escluso che a diverse conclusioni potesse pervenirsi in forza dell’art. 7, l. n. 86/1975, di recepimento della Convenzione tra Italia e Stati Uniti d’America in materia di sicurezza sociale, secondo il quale “il lavoro svolto negli Stati Uniti da un cittadino italiano alle dipendenze di un datore di lavoro italiano o di una impresa controllata da una impresa italiana, sarà coperto dalla legislazione italiana”, ostandovi la titolarità del rapporto di lavoro in capo a B. (che aveva regolarmente versato i contributi presso il Social Security di New York) e non già a B.C.F. s.p.a.-
Per la cassazione di tali statuizioni ricorre P.L., deducendo due motivi di censura.
A. s.p.a. ha resistito con controricorso, mentre l’INPS ha depositato delega in calce al ricorso notificatogli.
Il Pubblico ministero ha depositato memoria.
In vista dell’udienza pubblica, parte controricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2909 c.c. per avere la Corte di merito ritenuto che la sentenza con cui il Tribunale Distrettuale di New York aveva accertato che egli aveva lavorato alle dipendenze di B.T.I. (B.), estromettendo da quel giudizio la controllante A. s.p.a. e condannando la controllata a risarcirgli i danni da anticipata interruzione del rapporto di lavoro, potesse spiegare efficacia di giudicato nel presente giudizio, in cui invece egli aveva chiesto ad A. s.p.a., previo accertamento di un rapporto di lavoro dissimulato da quello alle dipendenze di B., di tenerlo indenne dai danni derivanti dalla precorsa omissione contributiva: ad avviso di parte ricorrente, infatti, il giudicato del Tribunale statunitense vincolerebbe soltanto il datore di lavoro fittizio, non anche l’odierna controricorrente, che a quel giudizio era rimasta estranea in conseguenza dell’avvenuta estromissione, e inoltre concerneva la titolarità passiva del rapporto a fini risarcitori, venendo al contrario in rilievo, nel presente giudizio, la titolarità passiva ai fini del rispetto degli obblighi previdenziali.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 7, l. n. 86/1975, di ratifica della Convenzione stipulata tra Stati Uniti e Italia il 25.5.1973, degli artt. 2115 e 2116 c.c. e degli artt. 1 e 3, r.d. n. 636/1939, nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte territoriale ritenuto che l’accertamento della titolarità del rapporto in capo alla controllata B. esonerasse di per sé la controllante A. s.p.a. dall’obbligo di provvedere al pagamento dei contributi: giusta la prospettazione di parte ricorrente, infatti, la previsione dell’art. 7, l. n. 86/1975, cit., secondo cui “il lavoro svolto negli Stati Uniti da un cittadino italiano alle dipendenze di un datore di lavoro italiano o di una impresa controllata da una impresa italiana, sarà coperto dalla legislazione italiana”, andrebbe intesa nel senso che la società controllante sarebbe tenuta a versare all’INPS i contributi omessi dalla controllata, ancorché quest’ultima abbia provveduto ad assicurare il rapporto presso il competente ente previdenziale americano.
Ciò posto, il primo motivo è infondato.
Costituisce orientamento prevalente di questa Corte di legittimità il principio secondo cui il giudicato, oltre ad avere un’efficacia diretta tra le parti, ne possiede una riflessa, nel senso che la sentenza, come affermazione oggettiva di verità che non ammette un diverso accertamento, può produrre conseguenze giuridiche nei confronti di terzi rimasti estranei al processo allorché questi ultimi siano titolari di una situazione giuridica dipendente o subordinata a quella che ha formato oggetto dell’accertamento giudiziale e il terzo non vanti un diritto autonomo rispetto a quello su cui il giudicato è intervenuto e non possa quindi risentirne pregiudizio (cfr., in tal senso, già Cass. n. 1237 del 1963; tra le più recenti, nello stesso senso, Cass. nn. 5377 e 29301 del 2023).
Vero è che questa Corte non ha mancato di precisare che tale relazione di dipendenza o subordinazione andrebbe intesa in senso strettamente giuridico, ossia in presenza di una fattispecie costitutiva di un diritto che includa tra i suoi elementi essenziali una situazione giuridica che è stata oggetto di un precedente giudizio inter alios passato in giudicato (così da ult. Cass. nn. 15599 del 2019 e 29301 del 2023, entrambe sulla scorta di un’affermazione contenuta nella parte motiva di Cass. S.U. n. 6523 del 2008), di talché, in difetto di una siffatta relazione, il terzo non solo non potrebbe essere pregiudicato dal giudicato inter alios, ma nemmeno potrebbe porlo a fondamento di una sua propria pretesa (cfr., fra le tante, Cass. 24558 del 2015).
È nondimeno vero che talune pronunce di questa Corte non hanno mancato di affermare che l’autonomia dei rapporti non impedirebbe al terzo estraneo di invocare il giudicato formatosi inter alios allorché possa derivarne un beneficio a suo favore (così già Cass. n. 11213 del 2007 e, più di recente, Cass. nn. 18325 del 2019, 12969 del 2022, nell’ambito di riconsiderazione critica della teoria dell’efficacia riflessa del giudicato ispirata da un obiter dictum di Cass. S.U. n. 24707 del 2015): fermo restando che, in questo caso, il giudicato non opererebbe ipso iure, ma richiederebbe che il terzo manifesti l’intenzione di far proprio l’accertamento precorso inter alios (ciò che peraltro ben potrebbe ravvisarsi nell’averne eccepito la sussistenza: così da ult. Cass. n. 2462 del 2024, in motivazione), soccorrerebbe al riguardo la valenza di principio generale dell’art. 1306 c.c., secondo cui gli effetti della pronuncia (o del giudicato) operano secundum eventum litis, per modo che la sentenza, pur non avendo di norma effetto contro terzi che sono rimasti estranei al processo, ben potrebbe essere opposta da costoro a chi ne è stato parte, se ad essi favorevole.
Tale ultimo orientamento, peraltro, è stato fatto implicitamente proprio da una pronuncia di questa Sezione Lavoro, in cui si è ammesso che l’INPS, pur non essendo stato parte della controversia con cui un lavoratore aveva chiesto nei confronti del datore di lavoro di dichiararsi l’illegittimità del collocamento in cassa integrazione guadagni e la condanna al pagamento delle relative differenze retributive, potesse nondimeno avvalersi del giudicato che aveva accertato tale illegittimità per richiedere al datore di lavoro i contributi dovuti sulle retribuzioni effettivamente spettanti ai lavoratori (Cass. n. 2137 del 2014): si tratta, infatti, di una conclusione che, benché prima facie in contrasto con la riconosciuta autonomia del rapporto contributivo (e del rapporto previdenziale) rispetto al rapporto di lavoro, che di norma esclude qualunque efficacia riflessa nei riguardi degli enti previdenziali di un giudicato intervenuto tra datore di lavoro e lavoratore (si vedano, ad es., Cass. nn. 9239 del 1987, 11622 del 1995, 4142 del 2001 e innumerevoli successive conformi), risulta pienamente coerente sia con il principio dell’efficacia soggettiva secundum eventum litis, che informa la disciplina dell’art. 1306, comma 2°, c.c., sia con la ratio dell’art. 2909 c.c., che è quella di tutelare il terzo estraneo al processo dagli effetti pregiudizievoli del giudicato e non certo chi è stato parte del giudizio nel quale il giudicato è intervenuto.
A tale orientamento, senz’altro da preferirsi in ragione delle motivazioni di ordine costituzionale e squisitamente processuale evidenziate da Cass. nn. 18325 del 2019 e 12969 del 2022, cit., intende il Collegio assicurare continuità.
L’azione proposta con il presente giudizio rimonta alla previsione degli artt. 2115 e 2116 c.c., i quali, nel far esclusivo carico al datore di lavoro dell’obbligazione contributiva, lo costituisce altresì responsabile dell’omissione che, in considerazione dell’intervenuta prescrizione dei contributi, abbia comportato un danno al prestatore di lavoro.
Ed essendo la qualità di datore di lavoro un presupposto indefettibile dell’azione qui in discorso, deve coerentemente ritenersi che chi sia chiamato in giudizio a rispondere in tale qualità dei danni patiti ex art. 2116 c.c. da colui che si proclama suo prestatore di lavoro, possa legittimamente opporgli il giudicato formatosi in un altro giudizio che abbia positivamente accertato che, per quel medesimo periodo e con riguardo alla medesima prestazione, il suo datore di lavoro è stato un terzo, s’intende ove di quel giudizio il lavoratore (così come il terzo) sia stato parte: che poi, a ben vedere, è ciò che anche l’orientamento tradizionale finiva in sostanza con l’ammettere allorché, al fine di individuare i presupposti per la c.d. efficacia riflessa del giudicato, richiedeva che il terzo fosse titolare di una situazione giuridica la cui fattispecie costitutiva risultasse composta anche dalla esistenza (o inesistenza) del rapporto dedotto nel primo giudizio, che la situazione giuridica ivi affermata non ammettesse la possibilità di un diverso accertamento e, infine, che il terzo, a cagione del giudicato, non dovesse comunque patire alcun pregiudizio (si veda per tutte Cass. n. 8101 del 2020), risultandone per converso consentita la c.d. efficacia riflessa allorché fosse stato il terzo che non aveva partecipato al processo a volersi avvalere degli accertamenti ivi compiuti nei confronti di chi invece ne era stato parte (cfr. in tal senso Cass. n. 32412 del 2021).
Applicando i suesposti principi alla vicenda per cui è causa, deve pertanto concludersi che correttamente i giudici territoriali hanno ritenuto che l’odierna controricorrente, pur non essendo stata parte del processo svoltosi davanti al giudice statunitense e culminato nella sentenza con cui la sua controllata B. è stata condannata a risarcire all’odierno ricorrente i danni patiti per l’illegittimo licenziamento, potesse opporgli il giudicato circa la titolarità del rapporto di lavoro in capo a B.: quella condanna presuppone infatti l’accertamento che l’odierno ricorrente lavorò effettivamente alle dipendenze di B. dal 1981 al 2004 (cfr. in tal senso da ult. Cass. n. 6287 del 2024) e, trattandosi di accertamento ovviamente incompatibile con quello secondo cui, nel medesimo periodo e per la medesima prestazione, datore di lavoro sarebbe stata invece l’odierna controricorrente, affatto legittimamente quest’ultima se ne è avvalsa, eccependo il giudicato nel presente giudizio.
Del pari infondato è il secondo motivo di censura: è sufficiente sul punto rilevare che la previsione dell’art. 7, l. n. 86/1975, di recepimento della Convenzione tra Italia e Stati Uniti d’America in materia di sicurezza sociale, secondo la quale “il lavoro svolto negli Stati Uniti da un cittadino italiano alle dipendenze di un datore di lavoro italiano o di una impresa controllata da una impresa italiana, sarà coperto dalla legislazione italiana”, costituisce il datore di lavoro come responsabile dell’adempimento dell’obbligo contributivo derivante dall’assoggettamento del rapporto alla legislazione previdenziale italiana e – come parimenti rilevato dai giudici territoriali – non può logicamente trovare applicazione nella presente fattispecie in considerazione dell’accertata qualità di datore di lavoro in capo ad un soggetto diverso dall’odierna controricorrente.
Si deve semmai aggiungere che, sebbene una risalente pronuncia di questa Corte abbia affermato che la previsione dell’art. 7, cit., opererebbe anche nei confronti dell’impresa controllante, costituendo quest’ultima quale debitrice dei contributi anche nell’ipotesi in cui difetti l’accertamento di una codatorialità con l’impresa controllata (si veda Cass. n. 11753 del 1997, in motivazione), non reputa il Collegio che tale orientamento possa essere condiviso: l’art. 7, cit., reca infatti unicamente la disciplina concernente l’assoggettamento alla legislazione previdenziale italiana del rapporto di lavoro “svolto negli Stati Uniti da un cittadino italiano alle dipendenze di un datore di lavoro italiano o di una impresa controllata da una impresa italiana”, ma in nulla immuta rispetto alla previsione di ordine generale di cui all’art. 2115 c.c., secondo la quale il soggetto titolare dell’obbligo contributivo altri non è che il datore di lavoro, rilevando il riferimento al lavoro svolto “alle dipendenze […] di una impresa controllata da una impresa italiana” quale mero presupposto di fatto per l’applicazione della legge italiana e non anche per identificare una diverso titolare dei relativi obblighi di natura contributiva e risarcitoria.
Il ricorso, pertanto, va rigettato, compensandosi tuttavia le spese del giudizio di legittimità in considerazione della complessità e parziale novità delle questioni affrontate.
Tenuto conto del rigetto del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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