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Lavoro - Licenziamento per giusta causa - Reintegra nel posto di lavoro - Pagamento indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto per dodici mensilità - Versamento dei contributi previdenziali e assistenziali - Mansioni di addetto alla cassa - Rigetto
Fatti di causa
1. Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Napoli accoglieva il reclamo proposto da L.P. contro la sentenza n. 2134/2021 del Tribunale di Napoli Nord, con la quale era stata respinta l’opposizione del lavoratore all’ordinanza del medesimo Tribunale che, nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, aveva rigettato il suo ricorso con il quale egli aveva impugnato il licenziamento per giusta causa intimatogli con lettera del 5.7.2018 dalla I.I.R. s.r.l.; pertanto, la Corte, in riforma della sentenza reclamata, annullava detto licenziamento e condannava la I.I.R. s.r.l. a reintegrare il lavoratore nel suo posto di lavoro e al pagamento, in suo favore, di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto per dodici mensilità, con la rivalutazione monetaria e gli interessi legali dalla data del licenziamento all’effettivo soddisfo, e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione.
2. Premetteva la Corte territoriale che al L., dipendente della I.I.R. s.r.l. dal 20.5.2004, con mansioni di addetto alla cassa, era stato contestato in data 19.6.2018:
- che il 5.6.2018, intorno alle ore 16,00, dopo aver fatto il conto a un cliente, il quale pagava con carta di credito, alla successiva richiesta di avere una bustina, che gli consegnava, prendeva dal predetto le monetine corrispondenti al costo di essa; aprendo poi la cassa e senza fare lo scontrino, collocava le monete ricevute a lato della cassa medesima, per poi contarle poco dopo e mettersele in tasca;
- che il giorno successivo 6.6.2018, dalle ore 13,50 alle 16,00, in un paio di occasioni, prelevava dal cassetto della cassa alcune monetine, per mettersele in tasca, e in un altro paio di occasioni ometteva l’emissione degli scontrini, in concomitanza di altrettante transazioni con i clienti;
- che il successivo 9 giugno, alle ore 18,30, il cliente S.G., dopo aver fatto una spesa da lui battuta alla cassa, per complessivi € 458,35, lamentava di aver ricevuto solamente il resto di € 1,65 sulla somma corrisposta in contanti di € 550,00, per cui la società si vedeva costretta a restituire al cliente l’importo, che lamentava sottratto, di € 90,00.
3. Premetteva ancora che il Tribunale, prima in fase sommaria e poi all’esito della fase a cognizione piena, si era espresso sulla sola violazione del 5.6.2018, appurandone la fondatezza e ritenendola sufficiente al fine della definizione della giusta causa di recesso datoriale dal rapporto di lavoro, sicché rigettava il ricorso.
4. Osservava la Corte che, pur essendo la deposizione di P.P. (all’epoca dei fatti responsabile della sicurezza patrimoniale e delle condizioni di lavoro di alcuni stabilimenti I., tra i quali quello di Afragola, ove i fatti in contestazione si sarebbero svolti), di per sé chiara e coerente, essa aveva voluto procedere ex art. 437 c.p.c. ad un’integrazione probatoria omessa dal primo giudice, acquisendo dalla Procura della Repubblica, come il ricorrente sollecitava sin dal primo grado, il video in suo possesso, trasmesso dal datore di lavoro denunciante e che, quindi, aveva stimolato anche il procedimento penale per i medesimi fatti contestati in sede disciplinare al lavoratore.
5. Tanto considerato, quanto al primo addebito relativo al fatto del 5.6.2018, la Corte riteneva che l’analisi del suddetto video smentiva la deposizione della teste P., e concludeva che dal video (le cui immagini venivano esaminate in dettaglio dalla Corte) emergeva che quel giorno il lavoratore non emetteva lo scontrino per il modestissimo importo della busta, ma non la condotta appropriativa contestata e confermata da detta teste.
6. Per quanto riguarda il giorno 6.6.2018, la Corte rilevava che la relativa contestazione era oltremodo generica, non riportando gli orari, nell’arco di oltre due ore, di quando (in due indefinite occasioni) il L. avrebbe intascato furtivamente le monete e di quando avrebbe (in altre due occasioni) omesso di emettere lo scontrino (non si sapeva per quale merce acquistata, se anche qui per la bustina blu I. o altro).
Considerava, inoltre, che dal filmato prodotto, relativo anche a quel giorno, dette azioni, pur nell’estrema difficoltà di concentrare l’attenzione sui dettagli, in assenza della specificazione della contestazione e degli orari, non si rilevava l’integrazione delle condotte contestate e che anche la testimonianza della P., a parte il credito ormai ridotto su quanto dalla medesima visto, percepito o avvertito, al riguardo risultava confusa già sul piano oggettivo, prima confermando poi sembrando non essere sicura di aver visto il L. intascare denaro.
7. La Corte, ancora, riteneva del tutto fuori luogo la contestazione per il giorno 9.6., ove vi era solo la versione del cliente, successiva al completamento dell’operazione, di aver ricevuto, sulla spesa fatta, un resto inferiore di € 90,00 (peraltro, non si comprendeva quale fosse il senso di consegnare, a fronte di un pagamento dovuto di € 458,53, la somma di € 550,00; il cliente avrebbe dovuto dare, secondo la pratica corrente, o € 510,00 o € 500,00, mentre la consegna di € 550,00 è fuori luogo); importo rimborsato al predetto per una valutazione commerciale e non per la prova di una condotta fraudolenta del ricorrente, la prova testimoniale anzi avendo univocamente confermato la regolarità della verifica di cassa compiuta nell’occasione.
8. Secondo la Corte, quindi, il licenziamento irrogato risultava illegittimo, per radicale insussistenza dei fatti contestati; il che determinava l’applicazione della tutela, invocata in via principale, di cui al comma 4 dell’art. 18 L. n. 300/1970 nella vigente formulazione.
8.1. Aggiungeva che, esclusa la condotta appropriativa, non era stata svolta alcuna deduzione sulla rilevanza disciplinare del fatto materiale accertato, dato dalla mancata battitura dello scontrino, il giorno 5 giugno, ma senza sottrazione, di una busta di pochi centesimi chiesta dal cliente mentre stava andando via dopo aver pagato una spesa cospicua.
Più in particolare, non era stata svolta alcuna specifica deduzione se detta condotta, pur priva del suo connotato criminale di appropriazione, presentasse comunque una sua antiprecettività nell’ambito del rapporto di lavoro.
8.2. Per altro verso, richiamati i principi espressi in Cass., sez. lav. 21.4.2022, n. 12745, la Corte d’appello riteneva indubbio che non aver messo uno scontrino di valore modestissimo, nelle condizioni descritte, poteva rientrare, a tutto concedere, in quella “negligente esecuzione del lavoro affidato” che l’art. 225 del CCNL applicato sanziona con la multa.
9. La Corte, inoltre, riteneva che, stabilita la fondatezza dell’impugnativa di licenziamento e del proposto reclamo, non potevano operarsi a riguardo le compensazioni e le detrazioni richieste da parte datoriale.
10. Quanto, poi, all’indennità di disoccupazione eventualmente percepita dal L., richiamava i principi espressi più volte da questa Corte Suprema (citando Cass. n. 11835/2018).
10.1. Osservava, infine, la Corte che non era risultato, d’altronde, nel periodo di estromissione dal lavoro, lo svolgimento di altre attività lavorative, né vi erano elementi per affermare, in considerazione dell’età dell’appellante, delle condizioni economiche della zona e del quadro economico-occupazionale generale che il predetto fosse stato negligente nella ricerca di una nuova occupazione.
11. Avverso tale decisione la I.I.R. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
12. Ha resistito l’intimato con controricorso.
13. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce “ex art. 360, co. 1, n. 3 e/o 4 e/o 5 c.p.c.: nullità della sentenza per travisamento e/o omessa valutazione delle prove – Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché dell’art. 2697 c.p.c. (ndr art. 2697 c.c.) – La sussistenza dei fatti posti a base del licenziamento con riferimento alla giornata del 5 giugno 2018”.
2. Con un secondo motivo deduce “(I)ex art. 360, co. 1, n. 3 e 4 c.p.c.: nullità della sentenza per travisamento delle prove – Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. – La sussistenza dei fatti posti a base del licenziamento con riferimento alla giornata del 6 giugno 2018 – (II) ex art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. – La specificità della contestazione disciplinare con riferimento agli eventi del 6 giugno 2018”.
3. Con un terzo motivo deduce “ex art. 360, co. 1, n. 3 e 4 c.p.c.: nullità della sentenza per travisamento delle prove – Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. – La sussistenza dei fatti posti a base del licenziamento con riferimento alla giornata del 9 giugno 2019”.
4. Con un quarto motivo deduce “ex art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.: violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4 e 5, L. 300/1970 nonché dell’art. 2119 c.c. per aver ritenuto applicabile la tutela reintegratoria nonostante per il fatto contestato ed accertato, consistito nella mancata emissione di uno scontrino, il CCNL Terziario non preveda espressamente l’applicazione di una sanzione conservativa”.
5. Con un quinto motivo deduce “ex art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.: violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4, L. 300/1970 per aver negato l’aliunde perceptum e/o percipiendum senza ammettere le istanze istruttorie della società”.
6. I primi tre motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente per connessione, sono inammissibili.
7. Con precipuo riferimento al primo motivo, rileva il Collegio che esso fa cumulativamente e promiscuamente riferimento alle diverse ipotesi di cui ai nn. 3), 4) e 5) contemplate dal comma primo dell’art. 360 c.p.c., sicché si risolve in una mescolanza e sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, con conseguente inammissibilità della censura, secondo un consolidato indirizzo di questa Corte (v. ex plurimis Cass. n. 1859/2021; n. 14634/2020; n. 10212/2020; n. 12625/2020).
8. Comune, poi, ai primi tre motivi di ricorso è il rilievo che essi in chiave di preteso travisamento delle prove in realtà propongono una lettura delle risultanze processuali diversa da quella compiuta dalla Corte distrettuale.
8.1 Più nello specifico, nello sviluppo del primo motivo, in base ad un proprio apprezzamento delle immagini del video acquisito dalla Corte di merito, si assume che il contenuto delle videoriprese relative alla giornata del 5 giugno 2018 sia in linea e non sconfessi quanto dichiarato dalla teste P. (cfr. facciate 18-19 del ricorso).
9. Nello svolgimento del secondo motivo si assume che la Corte territoriale avrebbe in realtà travisato le prove acquisite nel giudizio, in primo luogo in quanto i filmati acquisiti sono relativi alle giornate del 5 e del 9 giugno, ma non anche a quella del 6 giugno 2018.
La ricorrente, tuttavia, non precisa da quale atto del processo si dovrebbe trarre che il filmato acquisito dalla Corte di merito non riguardava anche il giorno 6.6.2018, sicché su tale punto la censura difetta dei requisiti di specificità del ricorso per cassazione.
9.1. Giova, inoltre, ricordare che il travisamento del contenuto oggettivo della prova - che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell'informazione probatoria al fatto probatorio - trova il suo istituzionale rimedio nell'impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall'art. 395, n. 4, c.p.c., mentre - se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti - il vizio va fatto valere ai sensi dell'art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale (Cass. S.U. 5.3.24, n. 5792); e che, in tema di licenziamento disciplinare, la contestazione dell'addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l'immediata difesa e deve, conseguentemente, rivestire il carattere della specificità; l'apprezzamento di tale requisito - da condurre secondo i canoni ermeneutici applicabili agli atti unilaterali - è riservato al giudice di merito, la cui valutazione è sindacabile in cassazione solo mediante precisa censura, senza limitarsi (come appunto nel caso di specie, in relazione all’argomentata interpretazione della Corte d’appello: v. ult. cpv. p. 6 sentenza) a prospettare una lettura alternativa a quella svolta nella decisione impugnata (Cass. 13667/18; Cass. 6787/24, in motivaz. sub p.to 12).
10. Ebbene, nello stesso secondo motivo, come nel primo, si propone un differente accertamento fattuale di quanto accaduto il giorno 6.6.2018, basato esclusivamente su quanto dichiarato dalla teste P., e si sostiene, in termini peraltro assertivi, che la contestazione sarebbe stata specifica anche in relazione al 6.6.2018 (cfr. facciate 23-25 del ricorso).
11. E analoghe considerazioni valgono per il terzo motivo che si fonda, oltre su quanto secondo la ricorrente risulterebbe dai filmati acquisiti, su una diversa valutazione delle prove testimoniali (cfr. facciate 26-28 del ricorso).
12. In definitiva, le prime tre censure si risolvono in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 29404/17; Cass. s.u. 34476/19; Cass. 5987/21), per esclusiva spettanza al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione.
13. Il quarto motivo è inammissibile.
14. La Corte territoriale, come già riferito in narrativa, circa il primo episodio addebitato del 5.6.2018, ha accertato che il lavoratore non aveva soltanto emesso lo scontrino per il modestissimo importo della busta I. chiesta dal cliente, ma che non fosse responsabile di alcuna appropriazione del denaro relativo all’acquisto di tale busta.
Ha osservato in proposito che “non è stata svolta alcuna specifica deduzione se detta condotta, pur priva del suo connotato criminale di appropriazione, presentasse comunque una sua antiprecettività nell’ambito del rapporto di lavoro”.
14.1. Come pure riportato in narrativa, ha, per altro verso, considerato “In ogni caso” i principi di diritto espressi in Cass. n. 12745/2022, e che, “in tale ambito, non vi è dubbio che non aver emesso uno scontrino di valore modestissimo, nelle condizioni descritte, può rientrare, a tutto concedere, in quella “negligente esecuzione del lavoro affidato” che l’art. 225 del CCNL applicato sanziona con la multa”.
14.2. Ebbene, giova ricordare che Cass., sez. lav., 21.4.2022, n. 12745, richiamata dalla Corte territoriale, ha affermato che, in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dalla l. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, commi 4 e 5, come novellato dalla l. 28 giugno 2012, n. 92, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l’illecito con sanzione conservativa anche laddove sia espressa attraverso clausole generali ed elastiche.
Tale operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando tale operazione di interpretazione nei limiti dell’attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo.
E i medesimi principi di diritto sono stati confermati anche di recente in una serie di decisioni di questa Corte di legittimità (cfr., tra le altre, Cass. n. 11665/2022; n. 13065/2022; n. 20780/2022; n. 13063/2022; n. 10435/2023).
15. Tanto considerato, non è specificamente censurata dalla ricorrente nel quarto motivo la prima ratio decidendi che autonomamente sorregge a riguardo la sentenza impugnata (ossia, quella racchiusa nelle considerazioni conclusive svolte nel primo cpv. a pag. 8 della stessa).
La ricorrente, infatti, si sofferma piuttosto sulle ulteriori osservazioni della Corte (quelle esposte al secondo ed al terzo cpv. a pag. 8 della sentenza impugnata); osservazioni che rivestono natura di una distinta ed evidente seconda ratio decidendi; il che induce la formazione del giudicato sulla prima ratio (Cass. 22753/11; Cass. 2108/12; Cass. 7931/13; Cass. 25613/15; Cass. 3307/16; Cass. 15114/20).
16. In ogni caso, il motivo difetta di specificità, in violazione dell’art. 366, co. 1, n. 4), c.p.c. (Cass. 18202/08; 18421/09; 18860/16; 25354/19), anche in relazione alla seconda ratio decidendi.
16.1. In particolare, anzitutto si limita a ritenere “che la Corte territoriale abbia proceduto ad una inammissibile interpretazione estensiva dell’art. 18, comma 4, della Legge 300/70”, senza appunto considerare l’orientamento di legittimità cui la stessa Corte ha fatto esplicito riferimento.
16.2. In secondo luogo, non censura la decisione della Corte di merito nella parte in cui ha ritenuto che la disposizione del CCNL che la stessa ha richiamato contenesse una clausola generale ed elastica, nell’ambito della quale era consentito sussumere l’unica frazione della condotta contestata al lavoratore per il giorno 5.6.2018 in concreto accertata dalla medesima Corte (ossia, la mancata emissione di uno scontrino di modestissimo importo).
17. Infine è infondato il quinto motivo.
18. La Corte di merito aveva dato conto che la società datrice di lavoro, nel costituirsi in secondo grado, per il caso di mancata integrale conferma della sentenza reclamata, aveva chiesto “di operare le compensazioni con il tfr corrisposto, con l’eventuale indennità di disoccupazione percepita e con l’aliunde perceptum che risultasse dagli atti” (così alla facciata 3).
18.1. La stessa Corte si è, poi, espressa su tali aspetti nei termini riassunti in narrativa.
19. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, in materia di licenziamento illegittimo, il cd. aliunde perceptum non costituisce oggetto di eccezione in senso stretto, pertanto, allorquando vi sia stata la rituale allegazione dei fatti rilevanti e gli stessi possano ritenersi incontroversi o dimostrati per effetto di mezzi di prova legittimamente disposti, il giudice può trarne d’ufficio (anche nel silenzio della parte interessata e se l’acquisizione possa ricondursi ad un comportamento della controparte) tutte le conseguenze cui essi sono idonei ai fini della quantificazione del danno lamentato dal lavoratore illegittimamente licenziato (così, tra le altre, Cass. n. 19163/2022; n. 37946/2022).
20. Analogamente, il datore di lavoro che affermi la detraibilità dall’indennità risarcitoria prevista dal nuovo testo dell’art. 18, comma 4, st. lav., a titolo di aliunde percipiendum, di quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi alla ricerca di una nuova occupazione, ha l’onere di allegare le circostanze specifiche riguardanti la situazione del mercato del lavoro in relazione alla professionalità del danneggiato, da cui desumere, anche con ragionamento presuntivo, l’utilizzabilità di tale professionalità per il conseguimento di nuovi guadagni e la riduzione del danno (in tal senso Cass. n. 35678/2022; n. 17683/2018).
21. Pertanto, sia circa l’aliunde perceptum che circa l’aliunde percipiendum (la Corte di merito, infatti, si è pronunciata anche su questo secondo profilo, come riferito in narrativa), pur non essendo la relativa verifica condizionata da una specifica eccezione in tal senso della parte datoriale, quest’ultima non è esonerata dall’onere di allegazione delle circostanze fattuali che consentano di ritenere la percezione medio tempore di redditi da lavoro da parte del lavoratore oppure di quelle da cui dedurre l’utilizzabilità della professionalità di quest’ultimo per l’ottenimento di nuovi guadagni.
22. Ebbene, la ricorrente, nell’esposizione del quinto motivo (v. facciate 30-31 del ricorso per cassazione), fa riferimento solamente, e omisso medio, a una richiesta di ordine di esibizione da rivolgersi al medesimo lavoratore (che assume di aver reiterato in sede di reclamo).
Neppure deduce di aver ritualmente allegato specifiche circostanze fattuali rilevanti ed idonee a dimostrare, sia pure in via presuntiva, entrambi gli aspetti suddetti, né tanto si trae indirettamente dal contenuto della cennata, unica e latissima, richiesta probatoria (che riguardava “l’esibizione delle buste paga, fatture e note proforma emesse, di modelli CUD e di tutta la documentazione attestante i compensi erogati e da erogarsi in suo favore a far data dall’1 luglio 2018 nonché del proprio modello 101 e/o 740 relativo quando disponibili”).
22.1. E giova in proposito ricordare che, in tema di poteri istruttori del giudice, l'emanazione di ordine di esibizione è discrezionale e la valutazione di indispensabilità non deve essere neppure esplicitata; ne consegue che il relativo esercizio è svincolato da ogni onere di motivazione e il provvedimento di rigetto dell'istanza non è sindacabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, trattandosi di strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova dei fatti non possa in alcun modo essere acquisita con altri mezzi e l'iniziativa della parte istante non abbia finalità esplorativa (Cass. 4504/17; Cass. 9020/19; Cass. 27412/21); laddove la richiesta di esibizione, per come riferita dalla stessa ricorrente, rivestiva appunto evidente finalità esplorativa.
23. La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore dei difensori del controricorrente, dichiaratisi anticipatari, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge, e distrae in favore dei difensori del controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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