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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 01/06/2023

    Tributi - IRAP - Rimborso - Requisito dell'autonoma organizzazione di cui all'art. 2, comma 1, D.Lgs. 446/1997 - Presupposti - Impiego non occasionale di lavoro altrui - Prestazioni di terzi collaboratori del professionista - Compensi - Modalità di espletamento delle collaborazioni - Coerenza delle dotazioni alla dimensione coessenziale all'esercizio della professione in assenza di organizzazione - Inserimento in un'altrui struttura organizzativa - Insussistenza dell'autonoma organizzazione - Accoglimento 

     

    Rilevato che

     

    l'avv. C.M. chiese il rimborso dell'Irap versata per gli anni dal 2008 al 2012, sul presupposto della carenza del requisito dell'autonoma organizzazione di cui all'art. 2, comma 1, d.lgs. 446/1997;

    il silenzio-rifiuto dell'amministrazione venne impugnato dal professionista dinanzi alla C.T.P. di Roma, la quale accolse il ricorso relativamente ai versamenti IRAP effettuati dal 16.10.2009 al 28.12.2012;

    l'Agenzia delle Entrate impugnò la pronuncia di primo grado, deducendo che, nello svolgimento della propria attività, il C. si era avvalso della collaborazione di più soggetti, ai quali aveva corrisposto i compensi indicati nelle dichiarazioni dei redditi;

    la C.T.R. accolse l'appello, valorizzando tale ultima circostanza, nonché quella per cui le spese sostenute superavano il 20% dei compensi percepiti, "e tale costo induce(va) a ritenere che si tratta(va) di compensi a terzi o altre spese di natura organizzativa" (pag. 3 della sentenza impugnata);

    avverso tale sentenza l'avv. C. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi; l'Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso; il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.;

     

    Considerato che

     

    con il primo motivo di ricorso viene dedotta la nullità della sentenza ex art. 360, n. 4, per violazione degli artt. 342 e 112 c.p.c., in relazione all'omessa pronuncia sull'eccezione di inammissibilità dell'appello;

    il motivo è inammissibile, tenuto conto che "il mancato esame, da parte del giudice di merito, di una questione puramente processuale non può dar luogo ad omissione di pronuncia, configurandosi quest'ultima nella sola ipotesi di mancato esame di domande o eccezioni di merito (Cass. 21/04/2021, n. 10561, ed ivi ulteriori richiami);

    pertanto, "la sentenza che si assuma avere erroneamente rigettato l'eccezione di inammissibilità dell'appello non è censurabile in sede di legittimità per violazione dell'art. 112 c.p.c. (Cass. n. 1701 del 2009) ed analogo principio è applicabile ove si lamenti la mancata pronuncia sulla eccezione di inammissibilità del gravame ovvero di sua manifesta infondatezza" (Cass. 21/04/2021, n. 10561);

    d'altro canto, "il vizio di omessa pronuncia è escluso quando la sentenza abbia assunto (..) una decisione che comporti l'implicito rigetto della domanda od eccezione formulata dalla parte" (Cass. 18/02/2022, n. 5359)", ciò che deve ritenersi avvenuto nel caso di specie, avendo la C.T.R. laziale esaminato nel merito l'appello, ritenendolo - implicitamente quanto inequivocabilmente - ammissibile, oltre che fondato;

    il secondo motivo censura la nullità della sentenza ex art. 360, n. 4, per violazione dell'art. 112 c.p.c. e 56 D.Lgs. n. 546 del 1992, per avere la C.T.R. esteso la propria cognizione a fatti (la presenza di un lavoratore dipendente e la disponibilità di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per lo svolgimento dell'attività) estranei al perimetro dei motivi di appello dell'Agenzia delle Entrate;

    il motivo è infondato, dal momento che, per effetto dell'impugnazione della sentenza di primo grado, al giudice d'appello è stata evidentemente devoluta (nei limiti della avvenuta, rituale allegazione processuale) la cognizione di tutte le circostanze di fatto rilevanti ai fini dell'integrazione della fattispecie oggetto del giudizio (si veda Cass. 10/05/2018, n. 11287, alla cui stregua "il giudice ha l'obbligo di rilevare d'ufficio l'esistenza di una norma di legge idonea ad escludere, alla stregua delle circostanze di fatto già allegate ed acquisite agli atti di causa, il diritto vantato dalla parte, e ciò anche in grado di appello, senza che su tale obbligo possa esplicare rilievo la circostanza che, in primo grado, le questioni controverse abbiano investito altri e diversi profili di possibile infondatezza della pretesa in contestazione e che la statuizione conclusiva di detto grado si sia limitata solo a tali diversi profili, atteso che la disciplina legale inerente al fatto giuridico costitutivo del diritto è di per sé sottoposta al giudice di grado superiore, senza che vi ostino i limiti dell'effetto devolutivo dell'appello");

    il terzo motivo concerne la violazione degli artt. 275 e 276 c.p.c. (dedotta dall'angolo visuale dei nn. 3 e 4 dell'art. 360 c.p.c.), per essere stata sottoscritta la sentenza d'appello in data (il 17/01/2017) anteriore a quella dell'udienza di discussione (18/01/2017);

    anche questo motivo è inammissibile, dovendosi dar corso all'insegnamento di questa Corte, secondo cui "la data di deliberazione della sentenza non è, a differenza di quella di sua pubblicazione (che ne segna il momento di acquisto della rilevanza giuridica), un elemento essenziale dell'atto processuale, sicché la relativa mancanza e/o la sua erronea indicazione non comportano alcuna nullità deducibile con l'impugnazione, costituendo, invece, fattispecie di mero errore materiale emendabile ex artt. 287 e 288 c.p.c., ed altrettanto dicasi per l'ipotesi di diversità tra la prima di tali date, riportata in calce alla sentenza, e quella dell'udienza collegiale all'uopo fissata, tanto non essendo, di per sé solo, sufficiente a far ritenere, qualora quest'ultima sia successiva, che detto provvedimento sia stato deliberato prima di tale udienza, cioè a far ritenere superata la presunzione di rituale decisione della causa da parte del collegio" (Cass. 12/04/2013, n. 8942);

    il quarto motivo involge la violazione e falsa applicazione dell'art. 2, commi 1 e 3, d.lgs. 446/1997, nonché l'omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell' art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la C.T.R. presunto la sussistenza dell'autonoma organizzazione dall'ammontare delle spese per i collaboratori, "senza dar conto di aver effettuato alcun accertamento in concreto né sull'esistenza di una organizzazione né sulla sua autonomia" (pag. 12 del ricorso per cassazione);

    con il quinto motivo viene dedotto l'omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5, della circostanza di fatto relativa allo "stabile inserimento del professionista nell'altrui struttura organizzativa debitamente rilevato da parte del contribuente nella propria comparsa di costituzione e nelle memorie illustrative, e documentato" (pag. 13 del ricorso);

    questi ultimi due motivi (che possono essere esaminati congiuntamente, attesane l'evidente connessione) sono fondati;

    occorre premettere che, da parte di Cass., sez. u., 10/05/2016, n. 9451 (in continuità con Cass., Sez. Un., 12/05/2009, n. 12108, ma specificando ulteriormente i requisiti dell'impiego del lavoro altrui) sono stati chiariti i parametri alla cui stregua la questione di fatto dell'autonoma organizzazione deve essere valutata;

    affermano le Sezioni Unite che, "con riguardo al presupposto dell'IRAP, il requisito dell'autonoma organizzazione - previsto dall'art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell'impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive";

    l'onere di provare l'insussistenza del presupposto impositivo dell'autonoma organizzazione grava sul contribuente che abbia presentato domanda di rimborso dell'Irap già versata (Cass. 16/02/2007, n. 3673; Cass., Sez. Un., 26/05/2009, n. 12108; Cass. 13/10/2010, n. 21122; Cass. 21/03/2012, n. 4490; e, in tempi più recenti, Cass. 29/10/2018, n. 27423; Cass. 7/08/2019, n. 21068; Cass. 20/05/2022, n. 16391; Cass. 20/01/2023, n. 1799);

    l'impiego non occasionale di lavoro altrui, quale elemento significativo dell'esistenza di un'autonoma organizzazione - che costituisce, a sua volta, presupposto dell'imposta - può essere desunto dai compensi corrisposti a terzi, purché correlati allo svolgimento di prestazioni non occasionali, afferenti all'esercizio dell'attività del soggetto passivo (Cass. 29/10/2018, n. 27423 del 2018; Cass. 7/08/2019, n. 21068);

    "il valore assoluto dei compensi e dei costi, ed il loro reciproco rapporto percentuale, non costituiscono elementi utili per desumere il presupposto impositivo dell'autonoma organizzazione di un professionista (nella specie promotore finanziario monomandatario), atteso che, da un lato, i compensi elevati possono essere sintomo del mero valore ponderale specifico dell'attività esercitata, e, dall'altro, le spese consistenti possono derivare da costi strettamente afferenti all'aspetto personale (spese alberghiere o di rappresentanza, assicurazione per i rischi professionali o il carburante utilizzato per il veicolo strumentale), rappresentando, così, un mero elemento passivo dell'attività professionale, non funzionale allo sviluppo della produttività e non correlato all'implementazione dell'aspetto "organizzativo" (Cass. 2/04/2020, n. 7652; si veda anche Cass. 10/04/2018, n. 8728, ai termini della quale "l'elevato ammontare dei ricavi, dei compensi e delle spese, anche per beni strumentali, non integrano di per sé il presupposto impositivo dell'autonoma organizzazione");

    con particolare riguardo alle prestazioni di terzi collaboratori del professionista, ed ai relativi costi, la verifica del presupposto impositivo dell'autonoma organizzazione richiede un esame del concreto apporto di tali prestazioni all'effettivo svolgimento dell'attività del contribuente, al fine di verificare se il coinvolgimento di tali professionalità sia o meno estraneo al bagaglio professionale del contribuente (Cass. 17/04/2018, n. 9431, in motivazione; Cass. 24/01/2017, n. 1820, in motivazione);

    questa Corte ha altresì affermato che, "l'impiego non occasionale di lavoro altrui, costituente una delle possibili condizioni che rende configurabile un'autonoma organizzazione, sussiste se il professionista eroga elevati compensi a terzi per prestazioni afferenti l'esercizio della propria attività, restando indifferente il mezzo giuridico utilizzato e, cioè, il ricorso a lavoratori dipendenti, a una società di servizi o un'associazione professionale" (Cass. 24/10/2014, n. 22674, e numerose successive conformi; Cass. 15/10/2021, n. 28341), e, ancora, che, "in tema d'IRAP, non sono indicativi del presupposto dell'autonoma organizzazione i compensi corrisposti da un avvocato per le domiciliazioni presso i colleghi, trattandosi di prestazioni strettamente connesse all'esercizio della professione forense, che esulano dall'assetto organizzativo della relativa attività" (Cass. 8/11/2016, n. 22695);

    nel caso di specie, la C.T.R. ha motivato le proprie conclusioni con riferimento all'essersi avvalso il ricorrente di diversi collaboratori e di una consistente struttura organizzativa, ma tale assunto, lungi dall'essere suffragato da un effettivo accertamento della natura, della tipologia e della modalità di espletamento delle suddette collaborazioni, nonché della coerenza delle dotazioni alla dimensione coessenziale all'esercizio della professione in assenza di organizzazione, si basa unicamente su un generico riferimento a "esborsi di notevole entità" (il cui ammontare non è in alcun modo dettagliato);

    la motivazione della sentenza impugnata è, inoltre, silente anche sulla circostanza (che il ricorrente ha evidenziato di avere dedotto sin dal primo grado di giudizio) dell'inserimento in un'altrui struttura organizzativa (lo Studio legale Cardia), alla quale deve riconoscersi valenza potenzialmente decisiva (ai termini della citata Cass., sez. un., 10/05/2016, n. 9451) per escludere il requisito dell'autonoma organizzazione (anche in ragione della sua potenziale incidenza in funzione della complessiva rivalutazione dell'intero compendio fattuale già preso in esame dal giudice di merito);

    la sentenza impugnata dev'essere, pertanto, cassata, con conseguente rinvio del procedimento alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, per una nuova ponderazione della fattispecie, alla luce dei rilievi sopra svolti.

     

    P.Q.M.

     

    Accoglie il quarto e quinto motivo di ricorso, rigettati gli altri;

    cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

 

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