Il sito web dello Studio Boschi utilizza i cookie per offrire una migliore esperienza di navigazione e per fini statistici anonimizzati. Consulta l'informativa sulla privacy oppure continua la navigazione del sito cliccando sul bottone OK qui a fianco.

Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 01/06/2023

    Lavoro - Riforma della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore - Diritto del datore di lavoro alla ripetizione delle somme versate e non dovute al lavoratore - Restituzione di importi al lordo o al netto delle ritenute fiscali - Decorso del termine di presentazione dell'istanza di rimborso - Art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 - Accoglimento

     

    Rilevato che

     

    1. la Corte di appello di Roma, pronunziando in sede di rinvio dalla sentenza di questa Corte n.11909/2017, confermata la dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto stipulato tra C.D.M. e P.I. s.p.a. per il periodo dal 23.6.1999 al 30.10.1999 e della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 23.6.1999, ancora in atto, ha condannato P.I. s.p.a. al pagamento in favore della ricorrente della indennità risarcitoria ex art. 32 l. n. 183/2010 nella misura di quattro mensilità della retribuzione globale di fatto oltre accessori e per l’effetto condannato la lavoratrice alla restituzione delle differenze tra quanto percepito in esecuzione della sentenza di appello sino alla data di pagamento (il 25.9.2009), oltre interessi legali su tale differenza tra la data di pagamento sino al saldo;

    2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso C.D.M. sulla base di tre motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso;

    3. parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.;

     

    Considerato che

     

    1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2729 e 2702 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto sufficiente, al fine della prova del versamento delle ritenute fiscali, quanto risultante dalla busta paga, documento all’evidenza inidoneo a tal fine in quanto costituito dalla medesima parte che se ne vorrebbe giovare al fine dell’assolvimento dell’onere della prova sulla circostanza, oggetto di contestazione, relativa all’avvenuto pagamento all’Erario della ritenuta fiscale;

    2. con il secondo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 cod. civ. censurando la sentenza impugnata per avere affermato che le somme da restituire al lavoratore a seguito della cassazione della sentenza di appello sulla cui base erano state corrisposte dovevano essere calcolate al lordo e non al netto delle ritenute fiscali;

    3. con il terzo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 1 lettera d) bis TUIR (D.p.r. n. 917/1986), censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto che la richiamata disposizione consentisse al lavoratore la possibilità di recuperare in tutto o in parte le ritenute versate dal datore di lavoro e risultate non più dovute in conseguenza della cassazione della sentenza sulla cui base erano state corrisposte le retribuzioni assoggettate a prelievo fiscale; assume, infatti, che, a differenza di quanto affermato nella sentenza impugnata, la previsione richiamata autorizzava solo il contribuente a portare in detrazione dal reddito complessivo relativo ai periodi di imposta successivi l’ammontare in tutto o in parte delle richiamate ritenute fiscali;

    4. il secondo ed il terzo motivo di ricorso, esaminati congiuntamente per connessione, sono fondati e il relativo accoglimento assorbe la necessità di esame del primo motivo;

    4.1. ritiene infatti la Corte di dare continuità alla consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale in caso di riforma, totale o parziale (id. est. cassazione) , della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore, il datore di lavoro ha diritto a ripetere quanto il lavoratore abbia effettivamente percepito e non può pretendere la restituzione di importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente; il caso del venir meno, con effetto ex tunc, dell'obbligo fiscale a seguito della riforma della sentenza da cui esso era sorto ricade, infatti, nel raggio di applicazione dell'art. 38, comma 1, d.P.R, n. 602 del 1973, secondo cui il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell'Amministrazione finanziaria spetta in via principale a colui che ha eseguito il versamento non solo nelle ipotesi di errore materiale e duplicazione, ma anche in quelle di inesistenza totale o parziale dell'obbligo (Cass. n. 13530 del 2019, Cass. 8614 del 2019, Cass. n.19735 del 2018, Cass. n. 1464 del 2012). E' stato, in particolare puntualizzato che nella ipotesi - qui ricorrente - nella quale il datore di lavoro, ai sensi dell'art. 23 d.P.R. n. 600 del 1973, abbia operato la ritenuta d'acconto dell'imposta sui redditi delle persone fisiche su somme corrisposte al lavoratore, divenute, come nel caso di specie, non dovute per effetto della riforma della sentenza in forza delle quale le somme in questione erano state erogate, ricorre l’ipotesi di a inesistenza, totale o parziale, dell'obbligo fiscale, venuto meno secondo una fisiologica dinamica processuale, con effetto ex tunc (Cass. n. 990 del 2019, Cass. n. 19735 del 2018, Cass. n. 6072 del 2012, Cass. n. 8829 del 2007). In tal senso, del resto, Cass. n. 21699 del 2011 ha bene evidenziato che l'azione di restituzione e riduzione in pristino, che venga proposta a seguito della riforma o cassazione della sentenza contenente il titolo del pagamento, si collega ad un'esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore a detta sentenza con riferimento a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti, e quindi giuridicamente di un pagamento non dovuto; legittimati a richiedere alla Amministrazione finanziaria il rimborso delle somme non dovute e ad impugnare l'eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario sono sia il soggetto che ha effettuato il versamento - cd. "sostituto di imposta"-, sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta - cd. "sostituito" (cfr., tra le altre, Cass. n. 517 del 2019, Cass. n. 19735 /2018 cit., Cass. n. 16105 del 2015, Cass. n. 14911 del 2015, Cass. 5653 del 2014);

    4.2. è stato altresì puntualizzato che in caso di concreta inutilizzabilità da parte del datore di lavoro del rimedio previsto dall'art. 38, comma 1, d. P.R. n. 602 del 1973, per decorso del termine di presentazione dell'istanza di rimborso, ivi stabilito a pena di decadenza in quarantotto mesi dalla data del "versamento", trova applicazione l'art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546/ 1992, avente carattere residuale e di chiusura del sistema, secondo il quale l'istanza di rimborso può essere presentata 3 entro due anni dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione (Cass. n. 12919 del 2019, Cass. n. 82 del 2014); quanto ora osservato rende ininfluente, al fine dell'accoglimento della tesi della restituzione al lordo e non al netto delle ritenute fiscali, il riferimento alla possibilità per il sostituito di recuperare le ritenute fiscali, divenute non dovute, attraverso il meccanismo della deducibilità ex art. 10, comma 1, lettera d) bis, d. P.R n. 917 del 1986, configurandosi tale possibilità come non escludente la facoltà di diretto recupero da parte del datore di lavoro; quale soggetto che ha effettuato il versamento;

    5. alla luce delle considerazioni che precedono si impone la cassazione della decisione in relazione ai motivi accolti con rinvio, anche ai fini del regolamento delle spese di lite del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione;

     

    P.Q.M.

     

    Accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche ai fini del regolamento delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.

 

Made in DataLabor.Com