Il sito web dello Studio Boschi utilizza i cookie per offrire una migliore esperienza di navigazione e per fini statistici anonimizzati. Consulta l'informativa sulla privacy oppure continua la navigazione del sito cliccando sul bottone OK qui a fianco.

Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 25/05/2023

    Lavoro - Pagamento delle differenze retributive per la prestazione di un orario lavorativo eccedente quello previsto dal contratto a tempo parziale sottoscritto - Riconoscimento del lavoro straordinario - Valutazione del materiale probatorio - Rigetto 

     

    Rilevato che

     

    1. con sentenza 23 gennaio 2019, la Corte d’appello di Bari ha condannato R.B. al pagamento, in favore di T.R., a titolo di differenze retributive, della somma di € 29.055,15, oltre accessori di legge e ordinato al primo la regolarizzazione della posizione contributiva del secondo: così riformando la sentenza di primo grado, che ne aveva invece rigettato le domande;

    2. in esito a critico ed argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie, la Corte territoriale ha ritenuto, diversamente dal Tribunale anche per una differente individuazione di causa petendi e petitum della domanda del ricorrente, provato il suo rapporto di lavoro, alle dipendenze del notaio R.B., a tempo pieno dal 1° aprile 2005 (e non dal 13 ottobre 2005 a tempo parziale, come invece formalizzato dal successivo contratto di assunzione) al 3 maggio 2007 (di licenziamento per “restrizione dell’attività professionale”), con mansioni di impiegato di III livello in base al CCNL per gli Studi Professionali e diritto alla percezione delle differenze retributive (per prestazione di lavoro a tempo pieno e non parziale), delle retribuzioni maturate e non percepite (per il tempo di lavoro irregolare antecedente all’assunzione), T.f.r., tredicesima e quattordicesima mensilità, con liquidazione e relativa condanna nella misura richiesta, riscontrata dalla C.t.u. contabile esperita (che aveva anzi concluso per l’importo lievemente superiore di € 29.262,00);

    3. con atto notificato il 18 marzo 2019, il notaio datore ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, cui ha resistito il lavoratore con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380bis c.p.c.

     

    Considerato che

     

    1. il ricorrente ha dedotto nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e per violazione e falsa applicazione, quale error in iudicando, degli artt. 2, 3 d.lgs. 61/20003, 3 d.lgs. 66/2003 in combinato disposto con l’art. 53 CCNL “Studi professionali”, per avere la Corte territoriale (in accoglimento del primo motivo di gravame del lavoratore ricorrente di violazione, da parte del Tribunale, del principio di non corrispondenza della pronuncia alla domanda, per non averne correttamente individuato il petitum né la causa petendi) erroneamente affermato il travisamento del petitum, ritenendo tale “il riconoscimento del lavoro straordinario, che è quello che eccede le 40 ore settimanali”, senza neppure chiarire il tipo di violazione del suddetto principio integrata dal primo giudice.

    Egli si duole pertanto dell’inosservanza del principio di qualificazione e di interpretazione della domanda da parte del giudice di merito, correttamente applicato dal Tribunale, in riferimento alla richiesta del lavoratore di pagamento delle differenze retributive per la prestazione di un orario lavorativo eccedente quello previsto dal contratto a tempo parziale sottoscritto (soltanto in appello qualificato come “orizzontale”) e pertanto alla stregua di lavoro straordinario – che ben si configura anche in tale tipo di contratto – tale davvero (oltre il limite delle 40 ore settimanali) soltanto in quello “orizzontale”, rispetto al lavoro supplementare (oltre l’orario di tempo parziale pattuito, ma entro il detto limite di 40 ore settimanali), in conseguenza di un’erronea qualificazione dalla Corte barese della causa petendi e del petitum della domanda del lavoratore (primo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in combinato disposto con gli artt. 2907 c.c. e 99 c.p.c. e degli artt. 109, 111 c.p.c. e nullità della sentenza per violazione degli artt. 115, 116 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 246 c.p.c., per difetto di prova del rapporto di lavoro di T.R. come accertato dalla Corte d’appello, per errata valutazione delle risultanze istruttorie, sul presupposto di una non corretta individuazione del thema decidendum per le ragioni illustrate con la denuncia del primo motivo, con un’erronea valorizzazione di attendibilità delle dichiarazioni di alcuni testi, rispetto ad altri, segmentate in una valutazione atomistica piuttosto che oggetto di un’appropriata valutazione globale nel contesto del quadro probatorio acquisito, senza neppure indicazione delle ragioni del convincimento maturato (secondo motivo);

    2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono in parte infondati e in parte inammissibili;

    3. non sussiste la denunciata nullità della sentenza, neppure propriamente qualificata, sotto il profilo:

    a) tanto di omessa pronuncia, ricorrente (come ancora ribadito da Cass. 13 gennaio 2022, n. 933) in caso di assenza di qualsiasi decisione su un capo di domanda, intendendosi per tale ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l'attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all'attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in una conclusione specifica, sulla quale debba essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. 16 maggio 2012, n. 7653; Cass. 27 novembre 2017, n. 28308; 16 luglio 2018, n. 18797), che non sia resa neppure sotto il profilo di un’implicita statuizione di rigetto (Cass. 8 marzo 2007, n. 5351; Cass. 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass. 13 agosto 2018, n. 20718);

    b) tanto di ultra o extra petizione, sussistente qualora il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell'azione (petitum o causa petendi), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. 11 aprile 2018, n. 9002; Cass. 7 maggio 2019, n. 12014);

    3.1. la Corte territoriale ha correttamente interpretato e qualificato (dall’ultimo capoverso di pg. 3 al secondo di pg. 4 della sentenza) la domanda del lavoratore, sulla base dei fatti costitutivi dedotti (di prestazione di attività lavorativa subordinata a tempo pieno dal 1° aprile 2005 – e non dal 13 ottobre 2005 a tempo parziale di quindici ore settimanali, come invece formalizzata dal successivo contratto di assunzione – al 3 maggio 2007, con le conseguenti retribuzioni non percepite ovvero percepite in misura inferiore a quella dovuta, con i conseguenti riflessi su T.f.r. e istituti indiretti: così al terzo e quarto capoverso di pg. 2 della sentenza), siccome compito esclusivamente riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità unicamente se siano stati travalicati – come nel caso di specie è stato escluso – i limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d'ufficio un'azione diversa da quella proposta (Cass. 29 aprile 2004, n. 8225; Cass. 21 maggio 2019, n. 13602; Cass. 12 gennaio 2023, n. 744);

    3.2. neppure si configurano le violazioni denunciate sul riflesso probatorio dell’infondata prospettazione di una non corretta individuazione del thema decidendum. In particolare: a) non dell'art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395); b) né di nullità della sentenza per violazione dell'art. 115 c.p.c., per cui occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall'art. 116 c.p.c.; né si configura una pertinente denuncia di violazione di quest’ultima norma, ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutarla secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. s.u. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass. 9 giugno 2021, n. 16016);

    3.3. sono poi riservate al giudice del merito l'interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, come pure il controllo di attendibilità (in particolare, dei testi e di credibilità di alcuni di loro invece che di altri: Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412; Cass. 23 marzo 2023, n. 8375) e di concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione e alla formazione del proprio convincimento; con la conseguente insindacabilità, in sede di legittimità, del “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo (Cass. 10 giugno 2014, n. 13504; Cass. 8 agosto 2019, n. 21187);

    3.4. le censure si risolvono, nella sostanza, almeno parzialmente, in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987; Cass. 13 febbraio 2023, n. 4316), in quanto spettanti esclusivamente al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione, per le ragioni dette;

    4. il ricorrente ha infine dedotto nullità della sentenza per violazione degli artt. 420, settimo comma, 421 secondo comma c.p.c. e dell’art. 437, secondo comma in combinato disposto con l’art. 441 c.p.c., per erronea autorizzazione del Tribunale al ricorrente in primo grado, nonostante l’immediata opposizione dell’allora resistente, odierno ricorrente, alla produzione tardiva di documentazione, poi inspiegabilmente non considerata né valutata in sede di decisione, in difetto di osservanza di un corretto esercizio dei poteri officiosi;

    documentazione invece assunta dalla Corte territoriale a fondamentale riscontro di attendibilità delle testimonianze alla base della ritenuta sussistenza di un periodo di lavoro non regolarizzato come “a tempo pieno”; avendo essa pure espletato una perizia contabile in grado d’appello, non essendone stata reiterata la richiesta nel ricorso, ma soltanto alla prima udienza collegiale (terzo motivo);

    5. esso è infondato;

    6. anche qui non ricorrono le nullità dedotte. Né per l’acquisizione della documentazione in oggetto, in quanto autorizzata dal primo giudice (come si evince dalla trascrizione del verbale delle udienze del 10 ottobre 2013 e del 29 ottobre 2013 (al secondo e terzo capoverso di pg. XXIII del ricorso), mai revocata e, soltanto per supposizione della Corte d’appello, in esito all’esercizio di poteri officiosi giudiziali (“ … documentazione depositata dal ricorrente all’udienza del 10.1.2013 innanzi al Tribunale e regolarmente ammessa dal giudice il quale ha esercitato evidentemente i poteri previsti dall’art. 421 c.p.c. … ”: così al secondo capoverso di pg. 7 della sentenza), in realtà non risultante: con la conseguente inconferenza dell’error in procedendo sotto questo profilo denunciato. Sicché, legittimamente la Corte territoriale ha utilizzato la documentazione, in funzione di riscontro di attendibilità di testi (dal quarto all’ultimo capoverso di pg. 7 della sentenza), in applicazione del principio cosiddetto di “'acquisizione della prova”, in forza del quale, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, ogni emergenza istruttoria, una volta raccolta, è legittimamente utilizzabile dal giudice indipendentemente dalla sua provenienza (Cass. civ., sez. VI, Cass. 25 febbraio 2019, n. 5409; Cass 27 ottobre 2020, n. 23490; Cass. 16 marzo 2023, n. 7639);

    6.1. neppure vizia di nullità la sentenza impugnata l’esperimento della C.t.u. contabile, per il ricalcolo delle spettanze retributive del lavoratore (al primo capoverso di pg. 8 della sentenza) da parte della Corte territoriale, ben potendo il giudice, e quindi anch’essa, acquisire elementi probatori d'ufficio, anche su sollecitazione di parte, se essi risultino indispensabili per la decisione, a definizione di una pista probatoria concretamente emersa, stante l'esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello di ricerca della verità materiale, anche successivamente al verificarsi delle preclusioni istruttorie (Cass. 17 dicembre 2019, n. 33393; Cass. 25 agosto 2020, n. 17683; Cass. 23 novembre 2020, n. 26597). La valutazione sulla necessità e utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra, infatti, nel potere discrezionale del giudice del merito ed è di regola incensurabile nel giudizio di legittimità; tuttavia, giusta la nuova formulazione dell'art. 360, primo comma n. 5 c.p.c., è consentito denunciare in Cassazione, oltre all'anomalia motivazionale, solo il vizio specifico relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che sia stato oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo, in conformità al paradigma deduttivo prescritto (Cass. 23 marzo 2017, n. 7472);

    7. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza e distrazione in favore del difensore antistatario, secondo la sua richiesta, che si liquidano nella misura indicata in dispositivo, comprensiva anche delle spese sostenute dalla parte vittoriosa in sede di inibitoria e richieste nella memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c., con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

     

    P.Q.M.

     

    Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 6.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore antistatario.

    Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

 

Made in DataLabor.Com