Il sito web dello Studio Boschi utilizza i cookie per offrire una migliore esperienza di navigazione e per fini statistici anonimizzati. Consulta l'informativa sulla privacy oppure continua la navigazione del sito cliccando sul bottone OK qui a fianco.

Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 27/09/2022

    Lavoro - Contratti di somministrazione a tempo determinato - Nullità di apposizione del termine - Violazione del limite massimo di proroga - Esclusione

    Fatto

     

    1. Con sentenza 11 settembre 2017, la Corte d’appello di Brescia ha rigettato l’appello di F.H. avverso la sentenza di primo grado, di reiezione delle sue domande di accertamento della nullità dei plurimi contratti di somministrazione a tempo determinato conclusi con O. s.p.a., in difetto di specificazione delle concrete esigenze produttive e per violazione del CCNL dei lavoratori somministrati in relazione alle proroghe, di costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato quale effetto della nullità di apposizione del termine e di condanna della società alla riammissione in servizio e al risarcimento del danno.

    2. Come già il Tribunale, essa ha ritenuto la decadenza del lavoratore dall’impugnazione di tutti i contratti di somministrazione a tempo determinato anteriori agli ultimi due (rispettivamente decorrenti dal 15 luglio 2015 e dal 27 luglio 2015), per l’applicabilità dell’art. 32 l. 183/2010 anche ai contratti di somministrazione a tempo determinato. La Corte bresciana ha inoltre escluso la configurabilità di un unico rapporto di lavoro, in assenza di una prestazione continuativa di attività tra un contratto e l’altro.

    3. Quanto agli ultimi due, tempestivamente impugnati, essa ne ha rilevato la stipulazione in regime di acausalità, peraltro specificando il primo le ragioni del ricorso alla somministrazione e indicando il secondo il ricorrente alla stregua di soggetto svantaggiato; e inoltre, il rispetto dei limiti di legge in relazione alle proroghe.

    4. Con atto notificato il 18 ottobre 2017, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., mentre la società, ritualmente intimata, non ha svolto difese.

    5. Il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, a norma dell’art. 23, comma 8bis d.l. 137/20 inserito da l. conv. 176/20, nel senso del rigetto.

     

    Motivi della decisione

     

    1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce falsa applicazione dell’art. 6 l. 604/1966 come modificato dall’art. 32 l. 183/2010, in relazione agli artt. 2966 c.c. e 24 Cost., per non avere la Corte territoriale esteso l’impugnazione stragiudiziale dei due ultimi contratti anche ai rapporti di lavoro precario anteriori, siccome succedutisi nel tempo con sostanziale continuità, con un intervallo comunque inferiore al termine di impugnazione stragiudiziale, quanto meno al contratto cessato il 15 maggio 2015, per la decorrenza di un termine inferiore ai centoventi giorni previsti dall’art. 32, terzo comma, lett. a) l. 183/2010, controvertendo le parti sulla (il)legittimità di apposizione del termine al contratto individuale di lavoro nel rapporto tra lavoratore e somministratore di manodopera, risultando eccessiva la compressione del diritto di difesa nell’imposizione al predetto di impugnazione dei singoli contratti alla scadenza.

    2. Esso è infondato.

    3. In via di premessa, giova ribadire l’applicabilità dell'art. 32, comma 1bis l. 183/2010, introdotto dal d.l. 225/2010, conv. Con mod. dalla l. 10/2011, per la previsione "in sede di prima applicazione" del differimento al 31 dicembre 2011 dell'entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento, a tutti i contratti ai quali tale regime risulti esteso e riguardante tutti gli ambiti di novità di cui al novellato art. 6 l. 304/1966; sicché, con riguardo ai contratti a termine e ai contratti a termine in somministrazione, non solo in corso ma anche con termine scaduto e per i quali la decadenza sia maturata nell'intervallo di tempo tra il 24 novembre 2010 (data di entrata in vigore del cd. "collegato lavoro") e il 23 gennaio 2011 (scadenza del termine di sessanta giorni per l'entrata in vigore della novella introduttiva del termine decadenziale), si applica il differimento della decadenza mediante la rimessione in termini, rispondendo alla ratio legis di attenuare, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all'introduzione ex novo del suddetto e ristretto termine di decadenza (Cass. 14 dicembre 2015, n. 25103; Cass. s.u. 14 marzo 2016, n. 4913; Cass. 6 maggio 2021, n. 12033; con particolare riguardo all'applicabilità ai contratti in somministrazione già scaduti alla data del 24 novembre 2010: Cass. 8 febbraio 2016, n. 2420; Cass. 27 marzo 2017, n. 7788).

    3.1. Merita poi dare convinta continuità, non essendovi motivo per discostarsene, al principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di successione di contratti di lavoro a tempo determinato in somministrazione, la regola per la quale l'impugnazione stragiudiziale dell'ultimo contratto della serie non si estende ai contratti precedenti, neppure ove tra un contratto e l'altro sia decorso un termine inferiore a quello di sessanta giorni utile per l'impugnativa (Cass. 21 novembre 2018, n. 30134).

    Né esso si pone in contrasto con il diritto dell'Unione quale fattore, ai sensi dell'art. 6, secondo comma della direttiva 2008/104/CE, di ostacolo o impedimento alla "stipulazione di un contratto di lavoro o l'avvio di un rapporto di lavoro tra l'impresa utilizzatrice e il lavoratore tramite agenzia interinale al termine della sua missione", poiché la direttiva in questione, che non è autoapplicativa, si rivolge unicamente agli Stati membri, senza imporre alle autorità giudiziarie nazionali un obbligo di disapplicazione di qualsiasi disposizione di diritto nazionale che preveda, al riguardo, divieti o restrizioni che non siano giustificati da ragioni di interesse generale (Cass. 30 settembre 2019, n. 24356, in motivazione sub p.ti da 5 a 8.2.).

    4. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 23 CCNL lavoratori somministrati del 27 febbraio 2014, per la previsione della necessità di indicazione nei contratti di lavoro dei casi e delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo giustificanti la costituzione del rapporto precario, in legittima deroga in melius per i lavoratori all’eliminazione delle suddette ragioni ad opera del decreto legislativo 81/2015, secondo la previsione dell’art. 2077 c.c., tuttora vigente, di inderogabilità dei contratti collettivi in danno dei lavoratori.

    Il lavoratore denuncia, infatti, che una diversa interpretazione disconoscerebbe l’importanza della contrattazione collettiva nel sistema delle relazioni industriali.

    E infine l’illegittimità, in particolare, della causale relativa al lavoratore svantaggiato, per la sua natura discriminatoria in contrasto con l’ordinamento comunitario.

    5. Esso è in parte inammissibile e in parte infondato.

    Occorre subito evidenziare come la Corte territoriale abbia argomentato la legittimità dei due (soli) contratti di somministrazione a termine tempestivamente impugnati, entrambi stipulati nel mese di luglio 2015, sulla base di una duplice ratio decidendi:

    a) per il regime di acausalità all’epoca vigente a norma del d.lgs. 81/2015, che pone la questione del rapporto di prevalenza tra una normativa di legge peggiorativa per i lavoratori (artt. da 31 a 33, 38 e 55, primo comma, lett. d) ed una migliore contrattuale collettiva (art. 23 CCNL lavoratori somministrati del 27 febbraio 2014), per la previsione invece di necessità delle causali (per rinvio ad una norma di legge, l’art. 20 d.lgs. 276/2003, che esse contemplava, tuttavia abrogata dalla legge successiva citata), attraverso il filtro interpretativo dell’art. 2077 c.c.;

    b) in ogni caso, indipendentemente dalle previsioni del d.lgs. 81/2015, per la specificazione, nel contratto dal 15 luglio 2015, delle ragioni di ricorso alla somministrazione e, in quello dal 27 luglio 2015, del ricorrente come "lavoratore svantaggiato", di talché non necessaria l’indicazione della causale (così al terzo capoverso di pg. 5 della sentenza).

    Ebbene, quanto alla ragione sub a), essa non risulta punto confutata; quella sub b), invece lo è sotto il profilo del "contrasto con l’ordinamento comunitario, in quanto discriminatoria nei confronti del lavoratore avente una posizione più debole sul mercato del lavoro": esso non prevedendo "che il lavoratore, già svantaggiato, possa accedere al mercato del lavoro in condizioni deteriori rispetto al lavoratore non svantaggiato" (così al penultimo capoverso di pg. 9 del ricorso).

    La censura, oltre che generica per la mancata specificazione della disposizione dell’ordinamento eurounitario che sarebbe violata e per un non meno generico richiamo dei principi costituzionali di uguaglianza, di diritto al lavoro e della sua tutela, non coglie la ratio, di favore per il lavoratore, della previsione di una categoria di "lavoratore svantaggiato", contenuta nel Regolamento CE 800/08 della Commissione del 6 agosto, che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato comune in applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato (regolamento generale di esenzione per categoria).

    Tale previsione, e segnatamente dei lavoratori che abbiano superato i cinquant’anni (art. 2, n. 18, lett. c del Regolamento), che interessa F.H. (come indicato al quart’ultimo capoverso di pg. 9 del ricorso), si iscrive infatti in una prospettiva di aiuti ad essi e ai lavoratori disabili impiegati dall'impresa interessata, per incentivarne un aumento netto del numero (Considerando 30 del Regolamento): rappresentando la "promozione della formazione e dell'assunzione di lavoratori svantaggiati e disabili e la compensazione dei sovraccosti per l'occupazione di lavoratori disabili ... un obiettivo fondamentale delle politiche socioeconomiche della Comunità e degli Stati membri" (Considerando 61); inducendo solitamente "la formazione ... esternalità positive per la società nel suo complesso, in quanto aumenta la riserva di lavoratori qualificati alla quale altre imprese possono attingere", migliorando "la competitività dell'industria comunitaria e" svolgendo "un ruolo importante nella strategia comunitaria a favore dell'occupazione" (Considerando 62); così giustificando, per le loro ancora notevoli difficoltà di accesso al mercato del lavoro, "l'adozione, da parte delle autorità pubbliche, di misure volte ad incentivare le imprese ad aumentare il livello occupazionale, in particolare a beneficio dei lavoratori appartenenti alle categorie svantaggiate" (Considerando 64); e segnatamente di aiuti per la loro assunzione sotto forma di integrazioni salariali (art. 40 del Regolamento).

    Il rigetto, per le ragioni illustrate, della critica alla ragione decisoria sub b) rende inammissibile quella relativa alla ragione decisoria sub a).

    È noto infatti che, qualora la decisione di merito si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza (o addirittura mancanza di una specifica formulazione) delle censure mosse ad una delle rationes decidendi renda inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. 3 novembre 2011, n. 22753; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108; Cass. 29 marzo 2013, n. 7931; Cass. 21 dicembre 2015, n. 25613; Cass. 19 febbraio 2016, n. 3307; Cass. 15 luglio 2020, n. 15114).

    7. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, n. 4 c.p.c. e mera apparenza della motivazione, in relazione alla violazione della disciplina contrattuale (CCNL per lavori somministrati del 15 maggio 2008 e 27 febbraio 2014) delle proroghe (che devono essere sottoscritte dal lavoratore e non potendo il periodo di assegnazione iniziale essere prorogato più di sei volte), per l’utilizzazione consecutiva del lavoratore nella sostanza con unico originario contratto seguito da venticinque proroghe dal 2 gennaio 2014 al 14 dicembre 2014 ed altro contratto originario seguito da sette proroghe dal 16 febbraio al 9 maggio 2015.

    8. Esso è infondato.

    9. Come noto, la motivazione è meramente apparente nell’ipotesi in cui, benché graficamente esistente, essa non renda tuttavia percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie ipotetiche congetture (Cass. 23 maggio 2019, n. 13977; Cass. 1 marzo 2022, n. 6758).

    Nel caso di specie, la denunciata nullità non sussiste per la concisa ma adeguata argomentazione giustificativa della Corte territoriale (all’ultimo capoverso di pg. 5 della sentenza), anche per relationem alla condivisa motivazione del Tribunale (al sesto e settimo alinea di pg. 3 della sentenza).

    10. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce violazione degli artt. 42, primo comma CCNL lavoratori somministrati del 20 maggio 2008, 47, primo comma CCNL lavoratori somministrati del 27 luglio 2014, in relazione agli artt. 22, secondo comma d.lgs. 276/2003, 1344 c.c., 5, quinto comma Direttiva 2008/104/CE, per avere la Corte territoriale formalisticamente ritenuto rispettati i limiti di utilizzazione del lavoratore in somministrazione, di proroga del periodo di assegnazione iniziale per sei volte nell’arco di 36 mesi (art. 42 CCNL lavoratori somministrati del 16 maggio 2008 e art. 47, primo comma lavoratori somministrati del 27 febbraio 2014), in realtà consecutiva nella sostanza con unico originario contratto seguito da 25 proroghe dal 2 gennaio 2014 al 14 dicembre 2014 ed altro contratto originario seguito da sette proroghe dal 16 febbraio al 9 maggio 2015, secondo un’interpretazione elusiva della prescrizione della Direttiva denunciata (sul lavoro tramite agenzia interinale) di adozione da"gli Stati membri" delle "misure necessarie ... per evitare il ricorso abusivo" a tale tipologia di lavoro e "prevenire missioni successive con lo scopo di eludere le disposizioni della presente direttiva", a tutela della stabilità del rapporto di lavoro e di limitazione della possibilità di costituzione e successione dei contratti, così legittimando la pratica della cd. "somministrazione all’infinito".

    11. Anch’esso è infondato.

    12. Infatti, il ricorrente ha formulato le proprie domande di accertamento di nullità dei plurimi contratti di somministrazione a tempo determinato, per violazione del CCNL dei lavoratori somministrati in relazione alle proroghe, di costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e di condanna alla riammissione in servizio e al risarcimento del danno, nei confronti di O. s.p.a., sua datrice di lavoro in somministrazione a tempo determinato. Per esso l’articolo 22, secondo comma d.lgs. 276/2003 stabilisce che: "In caso di somministrazione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro è soggetto alla disciplina di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, per quanto compatibile, e in ogni caso con esclusione delle disposizioni di cui all'articolo 5, commi 3 e seguenti. Il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata prevista dal contratto collettivo applicato dal somministratore".

    12.1. Occorre allora subito chiarire come la disciplina del rapporto di lavoro in somministrazione sia regolata secondo le norme del contratto di lavoro a tempo determinato, "nei limiti di compatibilità", coerenti con il collegamento funzionale (per la reciproca integrazione degli interessi economici sottesi) tra il contratto commerciale di somministrazione ed il contratto di lavoro, i quali tuttavia conservano causa ed oggetto autonomi: così dando luogo ad una separazione fra la gestione normativa e la gestione tecnico-produttiva del lavoratore, nella distinzione dei soggetti cui rispettivamente pertiene la titolarità giuridica (somministratore) e la gestione (utilizzatore) del rapporto, per l’operare di una scissione peculiarmente connotante la fattispecie di somministrazione. E che in ogni caso si esclude l’applicabilità ad esso (per quanto qui interessa) dell’art. 5, terzo comma d.lgs. 368/2001, regolante la successione di contratti a termine non rispettosi degli intervalli temporali ivi stabiliti.

    Per la disciplina dei limiti (nei casi e nella durata) di proroga del termine iniziale del contratto di lavoro soccorre allora l’art. 22, secondo comma, secondo periodo, il quale opera, come trascritto, un rinvio al CCNL applicato dal somministratore: nel caso di specie, gli artt. 42 CCNL per lavoratori somministrati del 16 maggio 2008 e 47, primo comma per lavoratori somministrati del 27 febbraio 2014, oggetto di denuncia di violazione. Entrambe tali norme contrattuali stabiliscono il limite massimo di proroga di sei volte nell’arco di trentasei mesi.

    E la Corte territoriale ha accertato, così come il Tribunale, che tali limiti sono stati rispettati (all’ultimo capoverso di pg. 5 della sentenza).

    13. Nel rispetto della normativa interna, non può allora essere fondatamente invocata l’applicazione dell’art. 5, quinto comma della Direttiva n. 2008/104/CE per il lavoro tramite agenzia interinale: tanto meno (riguardando il rapporto tra lavoratore e impresa utilizzatrice), la rilevanza della sentenza della Corte di Giustizia UE 14 ottobre 2020, in causa C-681/2018, JH c. KG (seguito dal suo più recente arresto del 17 marzo 2022, in causa C-232/20, Daimler), secondo cui l’articolo 5, paragrafo 5, prima frase, della direttiva 2008/104 deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa nazionale che non limita il numero di missioni successive che un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale può svolgere presso la stessa impresa utilizzatrice e che non subordina la legittimità del ricorso al lavoro tramite agenzia interinale all’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che giustifichino tale ricorso. Per contro, dovendo tale disposizione essere interpretata nel senso che essa osta a che uno Stato membro non adotti alcuna misura al fine di preservare la natura temporanea del lavoro tramite agenzia interinale, nonché ad una normativa nazionale che non preveda alcuna misura al fine di evitare l’assegnazione ad un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale di missioni successive presso la stessa impresa utilizzatrice con lo scopo di eludere le disposizioni della direttiva 2008/104 nel suo insieme.

    13.1. La direttiva n. 2008/104/CE riguarda, infatti, la disciplina prevista dal lavoro in somministrazione, mentre il rapporto in esame è regolato come detto, "nei limiti di compatibilità", dalle norme del contratto di lavoro a tempo determinato, cui invece ha riguardo la Direttiva n. 1999/70/CE, appunto sul lavoro a termine.

    Le diverse discipline di riferimento rendono ragione dell’inapplicabilità in via analogica di quelle disposizioni espressamente escluse (contenute nell'articolo 5, commi 3 e seguenti del d.lgs. 368/2001) dal rinvio a questo operato dall’art. 22, secondo comma d.lgs. 276/2003, quale espressione di una discontinuità nel percorso di progressiva equiparazione funzionale del contratto di somministrazione a tempo determinato e del contratto di lavoro a tempo determinato (Cass. 13 agosto 2019, n. 21390, con specifico riferimento all’inapplicabilità in via analogica dell'art. 4 d.lgs. 368/2001).

    14. Dalle argomentazioni sopra svolte discende allora il rigetto del ricorso, senza assunzione di provvedimenti sulle spese, non avendo la parte vittoriosa svolto difese e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

     

    P.Q.M.

     

    Rigetta il ricorso; nulla sulle spese.

    Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

 

Made in DataLabor.Com