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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 26/05/2022

    Imposte sui redditi da lavoro dipendente - Somme percepite a titolo risarcitorio - Mancata percezione di redditi - Tassabilità - Criteri

     

    Rilevato che

     

    1. P.C., dipendente di un ente previdenziale, esclusa dal corso concorso per l'accesso alla dirigenza, otteneva dai giudici amministrativi l'annullamento dell'atto; il Consiglio di Stato, poi, in sede di ottemperanza, imponeva all'amministrazione di organizzare un nuovo corso concorso con la sua partecipazione, e, in caso di superamento del corso, di reintegrarla dal punto di vista giuridico, anche ai fini del trattamento pensionistico; non essendo invece possibile la reintegrazione economica, trattandosi di illegittimo diniego di costituzione del rapporto di lavoro e non di illegittima cessazione del medesimo, i giudici amministrativi evidenziavano la necessità di un'autonoma azione risarcitoria sul punto.

    All'esito positivo del corso concorso la sig. C. adiva nuovamente il T.A.R. del Lazio per ottenere il risarcimento dal danno derivante dal comportamento illecito dell'ente.

    Il T.A.R., in accoglimento della domanda, condannava l'amministrazione a risarcirle il danno subito, riconoscendole un danno patrimoniale, pari alla differenza tra la retribuzione percepita e quella che avrebbe percepito quale dirigente, comprensiva dell'indennità di anzianità, ed un danno non patrimoniale, determinato nella misura del 10% del primo, per «il mancato conseguimento del livello dirigenziale cui avrebbe avuto diritto e per l'alterazione della vicenda umana e professionale».

    L'INPDAP, nel versarle tali somme, applicava sulle stesse il regime fiscale per i redditi di lavoro dipendente ai sensi dell'art. 6, secondo comma, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, operando le ritenute.

    La ricorrente proponeva istanza di rimborso delle somme ritenute a titolo di Irpef, relative agli anni 2009, 2010, 2012, che assumeva indebitamente effettuate, avendo tali somme natura risarcitoria delle perdite subite e finalità di reintegrazione patrimoniale; successivamente ella impugnava il silenzio rifiuto dell'amministrazione, vedendo riconosciute integralmente le proprie ragioni dalla Commissione tributaria provinciale di Arezzo.

    2. La Commissione tributaria regionale della Toscana, con la sentenza n. 763/16, pronunciata in data 24 marzo 2016 e pubblicata in data 21 aprile 2016, accoglieva in parte l'appello dell'ufficio; in particolare confermava la sentenza appellata in relazione alle ritenute sulle somme percepite a titolo di danno esistenziale e la riformava, rigettando la domanda della contribuente, per le ritenute operate sulle somme corrisposte a titolo di danno patrimoniale.

    La C.T.R. evidenziava, infatti, che i proventi erogati a titolo di danno patrimoniale erano sostitutivi di reddito, e quindi soggetti a imposizione ai sensi del predetto art. 6, mentre i proventi erogati a titolo di danno esistenziale costituivano danno emergente, per cui non era legittima la loro ripresa a tassazione.

    3. P.C. ricorre contro la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, con due motivi; resiste con controricorso Agenzia delle entrate.

    4. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 20 aprile 2022, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380-bis.1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31 agosto 2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197, per la quale la ricorrente ha depositato memoria.

     

    Considerato che

     

    1. Con il primo motivo di ricorso P.C. lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 6, secondo comma, 49 e 51 T.U.I.R., in relazione all’art. 1223 cod. civ., sotto il profilo dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.

    Con tale motivo la ricorrente si duole dell'illegittima qualificazione degli importi percepiti in forza della sentenza del T.A.R. del Lazio, ritenuti dalla C.T.R. conseguiti in sostituzione di redditi, e quindi, ai sensi dell’art. 6 T.U.I.R., soggetti a imposizione; deduce invece che il T.A.R. aveva riconosciuto come tale somma fosse una posta risarcitoria strettamente patrimoniale in quanto danno derivante da fatto illecito, e che tali somme, ai sensi degli articoli citati in rubrica, avrebbero carattere di danno emergente per perdita di chance, per il quale va esclusa imposizione.

    2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 cod. civ. (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) e l'omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.).

    La qualificazione della C.T.R. dei proventi sarebbe infatti in contrasto con l'art. 2909 cod. civ. e con la statuizione, avente efficacia riflessa, contenuta nella sentenza del T.A.R. del Lazio che aveva qualificato danno emergente la somma riconosciuta, come già ritenuto dalla C.T.P. in precedenti analoghe vicende.

    3.1 due motivi devono essere congiuntamente esaminati in quanto pongono questioni parzialmente connesse e devono respingersi in quanto non fondati.

    Dispone l'art. 6, secondo comma, d.P.R. 917 del 1986, che «i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti».

    Con orientamento consolidato, che nasce dalla circostanza che le voci di danno risarcibile previste dall'art. 1223 cod. civ. sono la <<perdita>> (cd. danno emergente) e il <<mancato guadagno>> (cd. lucro cessante), questa Corte ritiene che, in tema di imposte sui redditi da lavoro dipendente, le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a tassazione solo se, ed entro i limiti in cui, siano volte a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi, e quindi un lucro cessante, mentre non sono assoggettabili a tassazione quelle intese a riparare un pregiudizio di natura diversa, costituente danno emergente (Cass. 21/02/2019, n. 5108, che ha ritenuto imponibile il risarcimento, a seguito di licenziamento illegittimo, per mancato godimento della pensione di vecchiaia; Cass. 26/04/2017, n. 10244, che ha ritenuto tassabile l'importo riconosciuto alla contribuente, ingiustamente esclusa da un concorso per titoli, pari ai redditi che avrebbe percepito nel periodo ricompreso fra la data in cui avrebbe dovuto essere assunta dall’ente e quella di assunzione di altro impiego pubblico, avvenuta nelle more dell'annullamento della delibera di esclusione dal concorso).

    Invero, questa Corte ha affermato che, tutte le indennità conseguite dal lavoratore a titolo di risarcimento dei danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, e quindi tutte le indennità aventi causa o che traggano comunque origine dal rapporto di lavoro, comprese le indennità per la risoluzione del rapporto per illegittimo comportamento del datore di lavoro, costituiscono redditi da lavoro dipendente, come tali assoggettati a tassazione separata e a ritenuta (per le indennità risarcitorie conseguenti a risoluzione del rapporto di lavoro v. Cass. 06/09/2013, n. 20482; Cass. 11/03/2003, n. 3582).

    Alla luce di tali considerazioni, è stata esclusa l'imposizione in caso di somme riconosciute a titolo di danno emergente, quali il danno morale e il danno all'immagine derivanti dalle particolari modalità con le quali era stato svolto e poi interrotto il rapporto di lavoro (Cass. 30/12/2008, n. 30433) o il danno da perdita di chance, consistente nella privazione della possibilità di sviluppi e progressioni nell'attività lavorativa a seguito dell'ingiusta esclusione da un concorso per la progressione in carriera (Cass. 29/12/2011, n. 29579, ove occorre fin da ora precisare che la sentenza impugnata aveva evidenziato che nella determinazione del quantum il Tribunale aveva fatto, espressamente, ricorso al criterio di valutazione equitativa, e che il riferimento al maggior stipendio non conseguito, rilevando ai limitati fini della determinazione del quantum, non era, quindi, idoneo a mutare il titolo di attribuzione); sempre in tema di risarcimento di perdita di chance, questa Corte ha anche successivamente ribadito che, ove il giudice di merito, nella sentenza impugnata abbia evidenziato che nella determinazione del quantum il Tribunale abbia fatto, espressamente, ricorso al criterio di valutazione equitativa, il riferimento al maggior stipendio non conseguito, rilevando ai limitati fini della determinazione del quantum, non sia idoneo a mutare il titolo di attribuzione (Cass. 7/01/2019, n. 3632; in questo caso la qualificazione del danno come perdita di chance da parte del giudice di merito era esplicita, e la C.T.R. aveva erratamente ritenuto che esso costituisse un'ipotesi di lucro cessante per danno patrimoniale futuro e che rientrasse nella previsione dell'art. 6, T.U.I.R).

    4. Nel caso di specie la C.T.R. si è attenuta pienamente a tali principi distinguendo, nell'ambito delle poste risarcitone riconosciute dal T.A.R., in base alla loro natura e ritenendo tassabili quelle volte a sostituire reddito perduto, costituente tipica ipotesi di lucro cessante (la differenza tra i redditi percepiti e quelli che ella avrebbe percepito ove avesse conseguito la nomina a dirigente) e non tassabili quelle volte a reintegrare una perdita immediatamente verificatasi nel patrimonio giuridico della contribuente (il danno esistenziale per il disagio morale e l'alterazione della vita umana e professionale).

    4.1. Alla luce del predetto quadro giurisprudenziale risulta, invece, irrilevante la considerazione della ricorrente che il T.A.R. del Lazio abbia ritenuto trattarsi di posta risarcitoria «strettamente patrimoniale da fatto illecito», perché tale circostanza, da sola, non esclude affatto, come visto, l'assoggettabilità della somma ad imposizione, dovendo la parte dedurre che si trattasse del risarcimento di un danno emergente, volto a risarcire un pregiudizio già acquisito nella sfera giuridica della ricorrente. Non è infatti la natura risarcitoria della somma a escluderne l'imponibilità ma la natura del pregiudizio risarcito, che rimane imponibile ove si tratti di perdita di redditi.

    Occorre solo, sul punto, precisare che l'improprietà di alcune locuzioni utilizzate dalla sentenza della C.T.R., ove parla di proventi sostitutivi di reddito, non consente di ritenere che essa abbia ritenuto trattarsi di spettanze strettamente retributive, risultando evidente che nella parte finale del proprio ragionamento, esposto nella pagina 3, abbia ritenuto di distinguere tra i proventi erogati a titolo di "danno patrimoniale" ed i proventi erogati a titolo di "danno esistenziale"; il termine "danno" depone chiaramente nel senso che la Commissione abbia qualificato le somme corrisposte alla sig. C. come di natura risarcitoria.

    4.2. Né risulta in alcun modo prospettato dalla ricorrente alcun elemento che possa indurre a ritenere che il danno consistente nella differenza retributiva costituisse danno da perdita di chance; quest'ultimo è infatti un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di valutazione autonoma, che deve tenere conto della proiezione sulla sfera patrimoniale del soggetto (Cass. 25/08/2014, n. 18207) ma la sentenza del T.A.R. non usa mai questa terminologia né compie i tipici accertamenti che tale voce di danno postula (liquidazione equitativa, grado di probabilità di conseguimento del futuro vantaggio economico); d'altro canto, se è vero che uno dei criteri di liquidazione del danno da perdita di chance, in caso di illegittimo diniego di costituzione del rapporto di lavoro, può essere anche quello della retribuzione perduta, è evidente che non è possibile affermare che l'utilizzazione di tale criterio determini di per sé che il danno risarcito sia sempre da perdita di chance.

    4.3. Quanto all'efficacia di giudicato della sentenza del T.A.R., come già in parte evidenziato, non risulta trascritto o segnalato alcun passaggio della stessa che possa indurre a ritenere la presenza di una espressa statuizione sul punto, avendo quindi la C.T.R. correttamente proceduto alla qualificazione delle somme riconosciute dai giudici amministrativi, fermo che l'individuazione della base imponibile compete solo agli organi di giurisdizione tributaria.

    5. Pertanto, il ricorso deve essere respinto.

    Alla soccombenza segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate come da dispositivo, in favore dell'Agenzia delle entrate.

     

    P.Q.M.

     

    Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore di Agenzia delle entrate, che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

    Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

 

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