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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 29/11/2021

    Licenziamento per giusta causa - Carattere ritorsivo - Reazione alle pretese avanzate a mezzo pec - Riconoscimento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato - Accertamento

     

    Esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione

     

    Con ricorso del 23/4/2021, (...) ha agito nei confronti di (...) al fine di ottenere l’annullamento del licenziamento intimato per giusta causa in data 12/8/2020 in quanto ritorsivo e, comunque, illegittimo. Parte ricorrente ha quindi richiesto l’accoglimento delle seguenti conclusioni:

    "Nel merito In via principale:

    - accertare, previi gli ulteriori accertamenti di cui sopra, che la contestazione disciplinare di cui il signor (...) è stato reso destinatario a mezzo raccomandata ricevuta in data 06.08.2020, ed a cui ha fatto seguito la comminazione del licenziamento per giusta causa, costituisce una reazione alle pretese dallo stesso legittimamente avanzate a mezzo pec del 17.07.2020, allorquando rivendicava il riconoscimento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di diversa società, e segnatamente

    - accertare e dichiarare, per tutte le ragioni esposte nella narrativa del presente atto e da intendersi ivi integralmente richiamate e trascritte, che il licenziamento per giusta causa comminato da (...) nei confronti del signor (...) è ritorsivo;

    - per l'effetto, ai sensi e per gli effetti deII'art. 2 D. Lgs. n. 23/2015, previo accertamento della nullità del licenziamento, ordinare a (...) in persona del legale rappresentante pro-tempore, la reintegrazione del signor (...) nel posto di lavoro, salva la facoltà per questi di chiedere, in sostituzione della reintegrazione, un'indennità pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, e condannare la Società al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità e inefficacia, stabilendo a tal fine un'indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, in misura non inferiore a 5 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.

    In via subordinata:

    - nella denegata e non creduta ipotesi in cui venisse escluso il carattere ritorsivo del licenziamento, accertare e dichiarare che non ricorrono nel merito gli estremi del licenziamento per giusta causa che (...) in persona del legale rappresentante pro-tempore, ha comminato nei confronti del signor (....) conseguentemente, ai sensi e per gli effetti dell’art. 3, comma 1, D. Lgs. n. 23/20/5, dichiarare risolto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento con condanna di (...), in persona del legale rappresentante pro-tempore, al pagamento in favore del signor (...)  dell’indennità, non soggetta a contribuzione previdenziale, che, a fronte dell'intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 3 comma 1 del D. Lgs. n. 23/2015 limitatamente alle parole "di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del rapporto per ogni anno di servizio " (Corte Costituzionale, sentenza n. 194/2018, depositata il 08.11.18 e pubblicata in G.U. il 14.11.18 n. 45), sia determinata, pur nel rispetto dei limiti di mensilità indicati nella norma (dalle 4 alle 24), nella misura massima tenendo conto non già soltanto dell’anzianità di servizio ma altresì del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica e del comportamento e condizioni delle parti.

    In ogni caso: con vittoria di spese, diritti ed onorari oltre ad Iva e Cpa come per legge".

    Il ricorrente ha riferito.

    - di essere stato formalmente assunto, in data 17/4/2018, dalla società (...) con sede in (...) facente parte del gruppo (...), in qualità di Impiegato, con inquadramento nella categoria 6° Livello del CCNL Industria Metalmeccanica e della Installazione di Impianti, verso una retribuzione lorda mensile, erogata per le 13 mensilità contrattuali, di € 2.538,46, maggiorata dell’indennità di trasfertista;

    - che, nonostante il rapporto di lavoro fosse formalmente in essere con la società (...), sin dall’assunzione del 17.04.2018 e senza soluzione alcuna di continuità, ha, di fatto, prestato la propria attività lavorativa, in modo continuo, sistematico e pressoché esclusivo, per (...) appartenente al medesimo;

    - che, con decorrenza dal 01.12.2019, il suo contratto individuale di lavoro veniva ceduto a (...) senza che intervenisse alcuna modifica alle modalità di svolgimento e alla retribuzione;

    - che la cessione del contratto a (...) è avvenuta senza la sua accettazione e senza formale notifica della stessa;

    - che, e precisamente nel mese di gennaio 2020, gli è stato riconosciuto il superiore livello di inquadramento professionale, id est, il 7° Livello del CCNL di settore, con conseguente incremento della retribuzione;

    - che, a seguito dell’aumento, è stato oggetto di atteggiamenti ostili e di isolamento da parte dei suoi colleghi che lo hanno costretto in malattia;

    - di aver rivendicato, con lettera del 17/7/2020, la costituzione di un rapporto di lavoro, sin dal 17/4/2018, alle dipendenze di (...);

    - che, a fronte di ciò e con evidente intento ritorsivo, (...) gli ha contestato una serie di addebiti e, poi, ritenute insoddisfacenti le sue giustificazioni, il licenziamento per giusta causa che ha impugnato.

    (...) non si è costituita nonostante la regolarità della notifica ed è stata dichiarata contumace.

    La causa, interrogato il ricorrente, viene decisa a seguito di discussione orale con lettura del dispositivo della motivazione contestuale al termine della camera di consiglio.

    In primo luogo, si osserva come la sussistenza del rapporto di lavoro tra il ricorrente e (...) risulta dall’estratto del Centro per l’Impiego e dall’estratto conto previdenziale emesso dall’INPS oltre che dalle buste paga in atti (v. doc.ti 65, 66 e 10 ricorrente).

    E' inoltre documentale che il ricorrente sia stato licenziato dalla convenuta (...) lettera del 12/8/2020 che il ricorrente ha provveduto tempestivamente a impugnare (v. doc.ti 34 e 35 ricorrente).

    Né (...) risulta aver svolto il ruolo di datore di lavoro meramente formale del ricorrente. Dalla documentazione in atti emerge infatti che il ricorrente ricevesse le buste paga e i relativi pagamenti dalla convenuta. Ciò è confermato anche nel ricorso. Il ricorrente ha inoltre prodotto registri delle presenze presso (...) oltre a email dalle quali risulta che gli era stato assegnato indirizzo email con dominio (v. doc. 10 e 18). Vi è inoltre in atti comunicazione con cui il ricorrente si impegna a restituire a i beni aziendali (v. doc. 36).

    Lo stesso ricorrente, nel corso dell’interrogatorio libero, ha confermato che era (...) il suo datore di lavoro.

    Ciò premesso, è noto che "In tema di licenziamento, l'art. 5 della I. n. 604 del 1966 pone inderogabilmente a carico del datore di lavoro l'onere di provare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo, sicché il giudice non può avvalersi del criterio empirico della vicinanza alla fonte di prova, il cui uso è consentito solo quando sia necessario dirimere un'eventuale sovrapposizione tra fatti costitutivi e fatti estintivi, impeditivi o modificativi, oppure quando, assolto l'onere probatorio dalla parte che ne sia onerata, sia l'altra a dover dimostrare, per prossimità alla suddetta fonte, fatti idonei ad inficiare la portata di quelli dimostrati dalla controparte (cfr. Cass. 16.8.2016 n. 17108).

    È evidente che, nel caso di licenziamento disciplinare, il datore di lavoro che contesti ad un lavoratore di aver posto in essere un determinato comportamento ha. o quanto meno dovrebbe avere, gli elementi necessari a dimostrarne la sussistenza di tale comportamento, eventualmente anche mediante presunzioni, mentre il lavoratore che neghi l'esistenza del comportamento o la sua rilevanza disciplinare dovrebbe provare anche in via presuntiva eventuali fatti positivi contrari a quello contestato o attestanti l'insussistenza delta sua rilevanza disciplinare, fermo restando l'onere probatorio gravante in via principale sul datore di lavoro. (...)

    Nel caso di contumacia del datore di lavoro, il fatto contestato è indimostrato e, quindi, insussistente, senza ulteriori oneri probatori a carico del lavoratore, ai fini della tutela reintegratoria" (v. Tribunale Roma sez. lav., 12/05/2020, n.2442).

    Ciò è quanto si è verificato anche nel caso di specie, in cui il datore di lavoro, rimasto contumace, non ha assolto il proprio onere probatorio di dimostrare la sussistenza del fatto contestato.

    Il ricorrente, in via principale, ha chiesto l’accertamento della natura ritorsiva del licenziamento per essere questo stato intimato a fronte della rivendicazione della sussistenza di un rapporto di lavoro alle dipendenze di (...) oltre che del pagamento delle ore di straordinario prestato (v. doc. 27).

    Nel rispondere a tale comunicazione, con lettera del 30/7/2020, (...) ha contestato al ricorrente una serie di negligenze - relative alla timbratura delle presenze, all’utilizzo di un badge di (...), alla richiesta di autorizzazione dello straordinario, alla proroga della CIG Covid, alla gestione dei buoni pasto commesse anche alcuni anni (si parla di errate timbrature risalenti anche al 2018) o mesi prima rispetto alla contestazione.

    Nella stessa lettera di licenziamento la società dà atto di aver soprasseduto alle predette negligenze sino al ricevimento della lettera di rivendicazione.

    L’arco temporale ristretto tra la rivendicazione e il licenziamento, l’addebito di fatti anche risalenti nel tempo e l’ammissione della convenuta di aver in precedenza soprasseduto, sono elementi sintomatici e presuntivi della natura ritorsiva del provvedimento espulsivo. Nel nostro caso, poi, non avendo la convenuta introdotto elementi a dimostrazione dei fatti contestati, non risulta sussistente alcuna ulteriore motivazione alla base del licenziamento che risulta quindi determinato esclusivamente dall'intento di rappresaglia (cfr. Cassazione sez. lav. n. 14139/2013).

    Il licenziamento per ritorsione, diretta o indiretta, è - come è noto - un licenziamento nullo, quando il motivo ritorsivo, come tale illecito, sia stato l'unico determinante dello stesso, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1418, 2° comma, 1345 e 1324 c.c..

    Deve dunque applicarsi, ratione temporis, la tutela di cui all’art. 2 del D.lgs. 23/2015. Il datore di lavoro deve essere quindi condannato a reintegrare il ricorrente nel proprio posto di lavoro e a corrispondergli - tenuto conto del tempo intercorso dalla data del licenziamento alla notifica del ricorso - un'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (pari all’importo non contestato di euro 4.233,40, v. verbale 9/9/2021) detratto l'aliunde perceptum e oltre al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

    Spese secondo soccombenza con liquidazione in dispositivo ex d.m. 55/2014.

     

    P.Q.M.

     

    definitivamente pronunciando, visto l’art. 429 c.p.c., ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

    Annulla il licenziamento intimato da (...) al ricorrente e condanna la resistente a reintegrare il ricorrente nel proprio posto di lavoro e a corrispondergli un'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto (euro 4.333,40), oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali;

    Condanna altresì la parte resistente a rimborsare alla parte ricorrente le spese di lite, che si liquidano in € 5.259,00 oltre i.v.a., c.p.a. e 15% per spese generali.

 

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