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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 29/11/2021

    Licenziamento - Impugnazione - Risarcimento danno biologico - Riduzione

    Rilevato che

     

    - con sentenza in data 3 ottobre 2018, la Corte d'Appello di Bologna, in parziale accoglimento dell'appello incidentale proposto da G. M., ha condannato la Banca M.P.S. S.p.A. al risarcimento, in favore del dipendente, del danno biologico temporaneo, liquidato in euro 86.169,00, oltre accessori di legge e spese;

    - in particolare, la Corte ha ritenuto che erroneamente non fosse stato liquidato il danno biologico temporaneo subito dall'appellante incidentale, in considerazione della duplice componente (permanente e, appunto, temporanea) di quello ed ha conseguentemente condannato la società respingendo, invece, l'ulteriore doglianza del lavoratore circa la dedotta violazione dell'art. 1227 cod. civ., condividendo l'assunto del primo giudice, secondo il quale l'ingiustificata inerzia del lavoratore (che aveva depositato il proprio ricorso cinque anni dopo l'avvenuto licenziamento) giustificava la riduzione della somma riconosciuta;

    - per la cassazione della pronuncia propone ricorso, assistito da memoria, G.M. affidandolo a due motivi;

    - resiste, con controricorso assistito da memoria, la Banca M.P.S. S.p.A. e spiega, altresì, ricorso incidentale affidato ad un motivo.

     

    Considerato che

     

    - con il primo motivo del ricorso principale si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 18 L. n. 300/1970 e 1227 cod. civ. per esser stata negata la corresponsione di tutte le mensilità retributive dal licenziamento all'effettiva reintegra;

    - con il secondo motivo si allega carenza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione;

    - va preliminarmente rilevato come la censura inerente alla carenza o contraddittorietà della motivazione con riferimento alla riduzione del risarcimento ex art. 1227 cod. civ. sia inammissibile;

    - parte ricorrente omette di considerare che il presente giudizio di cassazione, ratione temporis, è soggetto non solo alla nuova disciplina di cui all'art. 360, co. 1, n. 5, cod.proc.civ., in base alla quale, le sentenze possono essere impugnate "per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti", ma anche a quella di cui all'art. 348 ter, ult. co. cod.proc.civ., secondo cui il vizio in questione non può essere proposto con il ricorso per cessazione avverso la sentenza d'appello che confermi la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado, ossia non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d, doppia conforme (v. sul punto, Cass, n. 4223 del 2016; Cass. n. 23021 del 2014);

    - quindi, non possono trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità tutte quelle censure che attengono alla ricostruzione della vicenda storica come operata dai giudici di merito, anche in ordine alla individuazione e determinazione del danno prodotto, o che lamentano una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo della critica alla valutazione giudiziale delle risultanze di causa, sia perché formulate in modo difforme rispetto ai principi enunciati da Cass. SS.UU. n. 8053 del 2014, che ha rigorosamente interpretato il novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. limitando la scrutinabilità al c.d. "minimo costituzionale", sia nella parte in cui attingono questioni di fatto in cui la sentenza di appello ha confermato la pronuncia di primo grado;

    - per quanto riguarda il primo motivo del ricorso principale e il motivo di ricorso incidentale va rilevato che gli stessi nella sostanza, contestano l'accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine alla ritenuta illegittimità del recesso ed alle conseguenze economiche di esso, criticando sotto vari profili la valutazione compiuta dal giudice di secondo grado, con doglianze intrise di circostanze fattuali, in evidente contrasto con quanto statuito dal Supremo Collegio nella sentenza n. 34476 del 2019;

    - in particolare, è stato affermato in tale pronunzia che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito;

    - nel caso di specie, la complessiva censura traligna dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all'art. 360 cod. proc. civ., perché sia con riguardo alle deduzioni inerenti al ricorso principale che a quelle relative all'incidentale, pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti, senza neppure confrontarsi con la ratio decidendi;

    - tutti gli argomenti addotti da entrambe le parti, infatti, mirano ad una diversa valutazione della vicenda inerente al comportamento della società e a quello del dipendente sia con riguardo al licenziamento (ritenuto illegittimo per mancato superamento del comporto) alla previa dequalificazione ed al connesso danno biologico causato che con riferimento all'entità di quest'ultimo in quanto ritenuta mitigata per effetto del concorso colposo del creditore;

    - in particolare, parte ricorrente, non censurando la utilizzazione del principio di cui all'art. 1227 cod. civ., si duole della concreta quantificazione del danno con riguardo alle risultanze probatorie ad esso relative;

    - con riguardo a tale aspetto, va evidenziato che, secondo l'insegnamento di questa Corte (da ultimo, Cass. n. 13534 del 2019 nonché, in terminis, Cass. n. 7838 del 2005 e Cass. n. 18247 del 2009), il modulo generico che identifica la struttura aperta delle disposizioni di limitato contenuto ascrivibili alla tipologia delle cd. clausole generali, richiede di essere specificato in via interpretativa, allo scopo di adeguare le norme alla realtà articolata e mutevole nel tempo. La specificazione può avvenire mediante la valorizzazione o di principi che la stessa disposizione richiama o di fattori esterni relativi alla coscienza generale ovvero di criteri desumibili dall'ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali ma anche dalla disciplina particolare, collettiva, come nel caso in esame, in cui si colloca la fattispecie. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro errata individuazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge (ex plurimis, Cass. n. 13453 del 2019 cit., Cass. n. 6901 del 2016; Cass. n. 6501 del 2013; Cass. n. 6498 del 2012; Cass. n. 25144 del 2010);

     - conseguentemente, non si sottrae al controllo di questa Corte il profilo della correttezza del metodo seguito nell'individuazione dei parametri integrativi, perché, pur essendo necessario compiere opzioni di valore su regole o criteri etici o di costume o propri di discipline e/o di ambiti anche extragiuridici, "tali regole sono tuttavia recepite dalle norme giuridiche che, utilizzando concetti indeterminati, fanno appunto ad esse riferimento" (per tutte v. Cass. n. 434 del 1999), traducendosi in un'attività di interpretazione giuridica e non meramente fattuale della norma stessa (cfr. Cass. n. 13453 del 2019 cit., Cass. n. 5026 del 2004; Cass. n. 10058 del 2005; Cass. n. 8017 del 2006);

    - nondimeno, va sottolineato che l'attività di integrazione del precetto normativo compiuta dal giudice di merito è sindacabile in cassazione a condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori;

    - sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice del merito, opera l'accertamento della concreta ricorrenza, nella fattispecie dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e sue specificazioni e della loro attitudine a costituire giusta causa di licenziamento. Quindi occorre distinguere: è solo l'integrazione a livello generale e astratto della clausola generale che si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge; mentre l'applicazione in concreto del più specifico canone integrativo così ricostruito, rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice del merito, "ossia il fattuale riconoscimento della riconducibilità del caso concreto nella fattispecie generale e astratta" (in termini ancora Cass. n. 18247/2009 e n. 7838/2005 citate);

    - questa Corte precisa, pertanto, che "spettano inevitabilmente al giudice di merito le connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilità - in termini positivi o negativi - all'ipotesi normativa" (così, in motivazione, Cass. n. 15661 del 2001, nonché la giurisprudenza ivi citata);

    - infondata, infine, la doglianza inerente alla violazione dell'art. 360 n. 4 cod. proc. civ. ed all'omessa pronunzia connessa: secondo consolidato orientamento di questa Corte (fra le altre, Cass. n. 12652 del 2020) il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all'art. 132, n.4, c. p. c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'"iter" argomentativo seguito;

    - d'altro canto, in caso di censura per motivazione mancante, apparente o perplessa, spetta al ricorrente allegare in modo non generico il "fatto storico" non valutato, il "dato" testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua "decisività" per la definizione delta vertenza (Cass. n. 13578 del 02/02/2020) e, d'altra parte, per aversi motivazione apparente occorre che la stessa, pur se graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull'esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111 comma 6 Cost. (sul punto, fra le altre, Cass. n. 13248 del 30/06/2020) aspetti, questi, sicuramente non ricorrenti nel caso di specie;

    - alla luce delle suesposte argomentazioni, pertanto, entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili;

    - la soccombenza reciproca induce all'integrale compensazione delle spese di lite;

    - sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell'art. 1 -bis dell'articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

     

    P.Q.M.

     

    dichiara inammissibile il ricorso principale e quello incidentale. Compensa integralmente le spese di lite. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell'art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

 

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