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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 27/10/2021

    Rapporto di lavoro - Ingiustificatezza dell'assenza della lavoratrice - Omessa motivazione - Diritto della lavoratrice di rientrare dopo la maternità dove era occupata all'inizio del periodo della gravidanza

     

    Rilevato che

     

    - con sentenza in data 20 luglio 2018, la Corte d'Appello di Venezia, in sede di rinvio, ha dichiarato l'interruzione del giudizio tra M.C. e la Studio S.V.R. s.r.l., dichiarando, altresì, inammissibile la domanda proposta nei confronti di Studio V.A. s.r.l. e rigettando quella avanzata nei confronti dei soci dello Studio V. nonché del liquidatore;

    - il giudizio prendeva le mosse dall'accoglimento del ricorso per cassazione proposto dalla C. avverso la decisione di secondo grado ed in particolare dell'accoglimento del primo motivo del ricorso, con cui era stata denunziata la violazione dell'art. 111 Cost. per omessa motivazione sul punto della ritenuta ingiustificatezza dell'assenza della lavoratrice in relazione all'art. 56, commi 1 e 3 del D.Lgs. n. 151 del 2001, non avendo la Corte chiarito le ragioni per le quali tale assenza presso l'unità produttiva di Limena dovesse considerarsi ingiustificata, alla luce del diritto della stessa lavoratrice, ai sensi della norma richiamata, di rientrare invece, dopo la maternità, presso l'unità produttiva di Este ove era occupata all'inizio del periodo della gravidanza;

    - la Corte d'appello, adita in sede di rinvio, ha ritenuto, tuttavia, assorbenti in primo luogo la cancellazione della società parte originaria del procedimento, Studio S., V.R. s.r.l. in liquidazione escludendo, quindi, che il giudizio potesse procedere nei confronti della stessa;

    - ha dichiarato, all'uopo, l'interruzione per essere la cancellazione avvenuta dopo il deposito del ricorso e nel periodo temporale intercorrente tra la notifica dell'impugnazione e l'udienza di discussione, essendo stato dichiarato e documentato l'effetto interruttivo dal procuratore della società cancellata;

    - il giudice di secondo grado ha, poi, escluso che potesse reputarsi rituale la domanda proposta nei confronti di Studio V. e Associati s.r.l. cui era stato notificato lo stesso originario ricorso proposto nei confronti della società cancellata, ricorso che, tuttavia, non riguardava la prima società direttamente;

    - infine, ha ritenuto insussistente qualsivoglia allegazione rispetto alle persone fisiche (soci della società cancellata e liquidatore) respingendo la domanda proposta nei loro confronti;

    - per la cassazione della sentenza propone ricorso, assistito da memoria, M.C., affidandolo a quattro motivi;

    - la Studio V. e Associati s.r.l. è rimasta intimata;

    - sono rimasti, altresì, intimati G.S., C.S., R.R. e L.V., in qualità di soci della società cancellata, nei confronti dei quali pure lo stesso è proposto;

     

    Considerato che

     

    con il primo motivo di ricorso si denunzia l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, inammissibilità/irritualità della domanda proposta Studio V. e Associati s.r.l., ovvero l'omesso esame della domanda proposta in tal senso nella prima udienza e nelle note difensive autorizzate nonché la violazione dell'art. 111 cod. proc. civ. sotto il medesimo profilo;

    - con il secondo motivo si allega la violazione dell'art. 111 Cost. per motivazione illogica, nonché dell'art. 111 cod. proc. civ. sul punto della sopravvenienza del fatto dedotto a sostegno della domanda, nonché violazione dell'art. 394, comma 3, cod. proc. civ.;

    - con il terzo motivo si allega ancora la violazione dell’art. 111 Cost. per omessa motivazione in relazione alla ritenuta inammissibilità della sanatoria di cui all'art. 164 cod. proc. civ. nonché dell’art. 156 cod. proc. civ.;

    - con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 111 Cost. per motivazione dubbiosa circa la ritenuta inammissibilità della domanda proposta nei confronti dei quattro soci e del liquidatore della società cancellata nonché per omessa motivazione circa il rigetto della predetta domanda nonché degli artt. 2495 e 110 cod. proc. civ. sul punto;

    - il primo, il secondo ed il terzo motivo, che possono essere valutati congiuntamente per l'intima connessione, oltre ad essere inammissibilmente formulati in modo promiscuo, tale da rendere impossibile l'operazione di interpretazione e sussunzione delle censure, denunciando violazioni di legge o di contratto e vizi di motivazione senza che nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell'uno o dell'altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità (v., in particolare, sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008), nella sostanza contestano l'accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine alla ritenuta insussistenza di una domanda ritualmente proposta nei confronti della Studio V. e Associati s.r.l.;

    - va, ancora, premesso che, in seguito alla riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ., disposto dall'art. 54 co 1, lett. b), del DL 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti", al di fuori dell'indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost. ed individuato "in negativo" dalla consolidata giurisprudenza della Corte - formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017);

    - quanto al complesso di doglianze avanzate avverso la decisione di inammissibilità della domanda proposta nei confronti della Studio V. e Associati s.r.l., va osservato quanto segue;

    - va rilevato, in fatto, come risulti incontestato che la parte ricorrente, dopo la cancellazione della società parte originaria del procedimento, in data 22 febbraio 2017, ha notificato alla società Studio V. e Associati s.r.l. lo stesso ricorso depositato il 29 luglio 2016, ricorso nel quale la Studio V. e Associati non compare in alcun modo come parte o a titolo diverso come interessata ai procedimento, essendo enunciato esclusivamente nella relata di notifica che quest'ultima veniva effettuata nei confronti di tale società "in qualità di cessionaria della società cancellata";

    - non sussiste neanche contrasto circa il fatto che nessuna ragione di tale ultima circostanza fosse indicata nel ricorso depositato il 29 luglio 2016, (antecedente all'epoca della cancellazione nonché a quella della asserita cessione d'azienda), né nell'identico ricorso notificato alla "chiamata in causa" il 22 febbraio 2017;

    - parte ricorrente denunzia la violazione di legge in ordine all'operato del giudice di secondo grado e l'omessa motivazione rispetto alla richiesta, rimasta non esaudita, di "estendere la domanda nei confronti delle persone fisiche cui è stato notificato il ricorso" e, cioè, i quattro soci della società Studio S. V. R. s.r.l. in liquidazione e del liquidatore, nonché anche nei confronti della Studio V. e Associati s.r.l., in ordine alla quale vi era stata la richiesta, opposta dal procuratore della società medesima, di autorizzazione a produrre documentazione a sostegno dell'assunto di una cessione d'azienda fra le due società, con la connessa richiesta di poter formulare istanze istruttorie al riguardo;

    - va aggiunto che, nelle note autorizzate depositate il 16 novembre 2017, il procuratore di parte ricorrente aveva enunciato che l'estensione soggettiva della domanda era stata effettuata "ad abundantiam" ed aveva modificato le conclusioni del ricorso in riassunzione, chiedendo la condanna della società Studio V. e Associati s.r.l. che soltanto nella relata di notifica era stata indicata come cessionaria d'azienda;

    - di palmare evidenza la correttezza dell'operato del giudice territoriale, non potendo configurarsi alcuna rituale domanda nei confronti di un soggetto del tutto assente nel giudizio e sicuramente non passibile di essere convenuto in sede di rinvio in difetto di una domanda formulata ad hoc nei suoi confronti che bene, invece, avrebbe potuto essere coinvolto con autonoma domanda;

    - evidente l'inconferenza delle deduzioni di parte ricorrente relative alla possibilità per il terzo di essere citato e di costituirsi in ogni fase del giudizio e correttamente il giudice d'appello ha evidenziato come in base alla giurisprudenza di questa Corte (fra le tante, Cass. n. 26437 del 2017) avrebbe ben potuto essere effettuata la chiamata in giudizio della società, ma non poteva certo ritenersi svolta una rituale proposizione nei suoi confronti della domanda, domanda del tutto mancante nel caso di specie;

    chiara, altresì, l'assenza assoluta di un rituale atto di riassunzione nei confronti della società, del tutto manchevole dei presupposti di cui all'art. 125 cod. proc. civ. ed evidentemente insuscettibile di qualsivoglia sanatoria (nonché, conseguentemente, di raggiungimento dello scopo ex art. 156 cod. proc. civ.) atteso che, nella specie, l'originario atto non toccava in alcun modo la posizione della società asseritamente cessionaria (indicata come tale, si ripete, solo nella relata di notifica) nonché del contenuto dello stesso rispetto al quale la Studio V. e Associati s.r.l. era del tutto estranea;

    - anche il quarto motivo di ricorso non può trovare accoglimento;

    - premessa la struttura perplessa, essendo esso inammissibilmente formulato in modo promiscuo, tale da rendere impossibile l'operazione di interpretazione e sussunzione delle censure, denunciando violazioni di legge e vizi di motivazione senza che nell'ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell'uno o dell'altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità (v., in particolare, sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008), nella il motivo sostanza contesta l'accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine al difetto di prova del diritto di credito nei confronti dei soci della società cancellata;

    - quanto all'omessa motivazione, va, poi, preliminarmente rilevato che in seguito alla riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ., disposto dall'art. 54 co 1, lett. b), del DL 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti", con la conseguenza che, a! di fuori dell'indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost. ed individuato "in negativo" dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità ( fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017);

    - circa la valutazione della Corte giova rilevare che non v'è dubbio in ordine alla astratta legittimazione processuale dei soci della società cancellata nonché in ordine a quanto osservato da parte ricorrente (peraltro affermato da questa Corte in tema di contenzioso tributario) e, cioè circa il principio secondo cui, qualora l’estinzione della società di capitali, all'esito della cancellazione dal registro delle imprese, intervenga in pendenza del giudizio di cui la stessa sia parte, l'impugnazione della sentenza resa nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d'inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta in quanto il limite di responsabilità degli stessi di cui all'art. 2495 c.c. non incide sulla loro legittimazione processuale ma, al più, sull'interesse ad agire dei creditori sociali, interesse che, tuttavia, non è di per sé escluso dalla circostanza che i soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale, potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si sono trasferiti ai soci (sul punto Cass. n. 15035 del 2017; Cass. n. 1446 del 2018; Cass. n. 697 del 2019);

    - nondimeno, in termini generali, deve osservarsi come questa Corte (cfr., sul punto, Cass. n. 1574 del 2017) conformandosi a quanto statuito dalle Sezioni Unite, (SU n. 16070 del 2013) abbia affermato che, in tema di effetti della cancellazione di società di capitali dal registro delle imprese nei confronti dei creditori sociali insoddisfatti, il disposto dell'art. 2495, comma 2, c.c. implica che l'obbligazione sociale non si estingue ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, sicché grava sul creditore l'onere della prova circa la distribuzione dell'attivo sociale e la riscossione di una quota di esso in base al bilancio finale di liquidazione, trattandosi di elemento della fattispecie costitutiva del diritto azionato dal creditore nei confronti del socio;

    - nel caso di specie, la Corte territoriale, nel rispetto del combinato disposto degli artt. 2495 cod. civ. e 111 cod. proc. civ., con valutazione sicuramente sintetica, ma, in assenza di qualsivoglia allegazione di segno contrario, da reputarsi sottratta al sindacato di legittimità, ha escluso che fossero non solo stati dimostrati ma addirittura allegati elementi a sostegno della distribuzione di utili in favore dei soci - appunto elemento della fattispecie costitutiva del diritto azionato nei confronti del socio - non avendone invece negato, come erroneamente sostenuto da parte ricorrente, la legittimazione processuale;

    - hanno precisato, al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 34469 del 27/12/2019), non solo che sono inammissibili, per violazione dell'art. 366, comma 1, n. 6, c. p. c., le censure afferenti a domande di cui non vi sia compiuta riproduzione nel ricorso, ma anche quelle fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l'esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità;

    - d'altra parte, è consolidato il principio secondo cui i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall'art. 366, comma 1, c. p. c., nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l'atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso (ex plurimis, Cass. n. 29093 del 13/11/2018);

    - nel caso di specie, in assenza di allegazioni di segno contrario da parte ricorrente circa le proprie deduzioni nel giudizio di merito, non sottoponibile a rivalutazione deve ritenersi il corollario cui perviene la Corte che ha negato non solo la prova ma, prima ancora, la stessa sussistenza di qualsivoglia deduzione di parte ricorrente circa la responsabilità dei soci, ai quali è stato semplicemente notificato l'originario ricorso;

    - alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi, il ricorso deve essere respinto:

    - le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

    - sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell'art. 1 -bis dell'articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

     

    P.Q.M.

     

    Respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, in favore della parte controricorrente, che liquida in euro 5.250,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

 

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