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Studio Boschi Consuelenza del Lavoro

  • 14/09/2021

    Contratto di agenzia - Licenziamento privo di giusta causa di recesso - Indennità sostitutiva del preavviso - Termine - Patto di stabilità

     

    Rilevato che

     

    - con sentenza del 16 ottobre 2017, la Corte d'appello di Bari, respingendo l'impugnazione di C. S.p.A., ha parzialmente accolto l'appello incidentale proposto da B.F. e condannato la società alla restituzione, in suo favore, della somma di euro 1.055,22 oltre interessi legali, confermando, nel resto, la decisione del Tribunale, il quale, dichiarato privo di giusta causa il recesso dell'agente, intimato con missiva del 2/7/2010, aveva condannato quest'ultimo al pagamento, in favore della preponente, dell'indennità sostitutiva del preavviso che, detratte le somme spettanti all'agente, veniva liquidata in euro 15.749,59, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al soddisfo;

    - la Corte ha, poi, rigettato la domanda dell'agente volta anch'essa ad ottenere l'indennità di preavviso, nonché l'ulteriore domanda proposta dalla C. finalizzata ad ottenere la somma di euro 100.000,00;

    - in particolare, la Corte, confermando la decisione del primo giudice che aveva ritenuto nulla la clausola prevista dall'art. 5 all. C) del contratto di agenzia che prevedeva la corresponsione della somma di euro 100.000.000 per il caso di violazione dell'obbligo di mantenere in essere il contratto per un periodo non inferiore al 31/12/2011 e, quindi, a non esercitare il recesso per qualunque causa, ha poi ritenuto fondata la censura dell'agente relativa alla non debenza della rivalutazione monetaria, da escludersi per i crediti del datore di lavoro;

    - per la cassazione della sentenza propone ricorso la C. S.p.A., affidandolo a tre motivi;

    - resiste, con controricorso, B.F.;

    - entrambe le parti hanno presentato memorie.

     

    Considerato che

     

    - con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 1321, 1322, 1750 e 1344 cod. civ., in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ.;

    - il motivo è infondato e, pertanto, non può essere accolto;

    deve preliminarmente osservarsi, in merito all'interpretazione offerta dal giudice di secondo grado, conformatosi sul punto a quanto ritenuto dal primo giudice, che egli ha ritenuto applicabile alla fattispecie l'insegnamento di questa Corte, secondo cui, in tema di contratto di agenzia, l'art. 1750, comma quarto, cod. civ., nel porre la regola inderogabile secondo la quale i termini di preavviso devono essere gli stessi per le due parti del rapporto, esprime un precetto materiale che vieta pattuizioni che alterino la parità delle parti in materia di recesso, con la conseguenza che è nullo per frode a detto precetto (art. 1344 cod. civ.) il patto che contempli, in aggiunta all'obbligo di pagare l'indennità di mancato preavviso, una clausola penale a carico del solo agente che si renda inadempiente all'obbligo di dare preavviso (Cass. n. 24274 del 14/11/2006);

    - in particolare, il giudice d'appello, pur evidenziando come la clausola che prevedeva il patto di stabilità non fosse correlata formalmente all'obbligo di osservare il preavviso (come nel caso esaminato in sede di legittimità), ha evidenziato che, in fatto, anche considerato il suo rilevantissimo importo, incidesse in maniera significativa sulla normale facoltà di recedere di una sola delle parti, limitandola fortemente, ed eludendo, per tale via, il principio imperativo della parità delle parti medesime nella materia del recesso;

    - il giudice ha, invero, ritenuto che la pattuizione della penale, aggiuntiva rispetto all'indennità di mancato preavviso, contraddicesse significativamente quel principio di parità, rendendo notevolmente più gravosa, per il solo agente, la possibilità di liberarsi dal vincolo corrispondendo esclusivamente l'indennità di preavviso;

    - inconferente deve reputarsi, a fronte di tali osservazioni, la censura dell'attuale ricorrente circa la non sovrapponibilità della specie con quella decisa in sede di legittimità, trattandosi nell'un caso di liquidazione anticipata del danno derivante alla preponente dall'aver investito in un rapporto di collaborazione che si aspettava stabile, nell'altro, di sanzione per il mancato adempimento dell'obbligo di preavviso: ciò che rileva, nell'iter motivazionale del giudice di secondo grado, è la circostanza del rilevante squilibrio contrattuale fra le parti contrapposte;

    - orbene, giova evidenziare che l'interpretazione del regolamento contrattuale è attività riservata al giudice di merito, pertanto sottratta al sindacato di legittimità salvo per il caso della violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale, tuttavia, non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un'altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l'interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un'altra (sul punto, ex plurimis, Cass. n. 11254 del 10/05/2018);

    - nel caso di specie appare evidente come la Corte, nel richiamare il precetto contenuto nel comma quarto dell'art. 1750 cod. civ., abbia valorizzato il principio secondo il quale lo stesso esprime un precetto materiale che vieta pattuizioni che alterino la parità delle parti in materia di recesso, con la conseguenza di reputare nullo per frode alla legge ( ai sensi dell'art. 1344 cod. civ.) il patto che contempli, in aggiunta all'obbligo di pagare l'indennità di mancato preavviso, una clausola penale che, in quanto eccessivamente onerosa a cagione del proprio rilevantissimo importo, incida in misura significativa sulla normale facoltà di recedere di una delle parti, limitandola fortemente, ed eludendo, per tale via, il principio imperativo della partità delle parti medesime nella materia del recesso;

    - sicuramente non implausibile deve reputarsi l'interpretazione offerta dalla Corte territoriale alla luce della cospicua onerosità della penale, atta ad indurre a reputare non libera la volontà di uno dei contraenti, ed a determinare uno squilibrio ingente fra le posizioni delle parti, contrario alla salvaguardia del principio di parità negoziale;

    - con il secondo motivo di ricorso si censura, sempre ai sensi degli artt. 1362, 1363 nonché 1321 e 1322 cod. civ., in relazione all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ., l'altra ratto decidendi del giudice d'appello secondo cui l'obbligo connesso alla clausola penale considerata doveva reputarsi strettamente correlato all'affidamento dell'incarico aggiuntivo di G. manager per la zona di Bari e Puglia Nord, incarico di struttura accessoria e collaterale rispetto al contratto base di agenzia, e revocabile in qualsiasi momento da C.;

    - la Corte, rilevando che il contratto base di agenzia prevedeva, salvi i casi di cui all'allegato C (che ancora doveva essere stipulato nei termini suddetti) che ciascuna delle parti potesse recedere del contratto dando il preavviso, nei termini di cui all'art. 1750, comma 3° cod. civ., ha, quindi, ritenuto che, la speciale disciplina di cui al medesimo allegato, contemplante la corresponsione della ingente somma di euro 100.000,00 dovesse recedere, determinando la riespansione della disciplina generale in tema di contratto di agenzia, espressamente richiamata dal contratto - base, una volta venuto meno l'incarico di G. manager;

    - il motivo è inammissibile;

    - in attuazione dei principi espressi da SU n. 793 del 29/03/2013, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle "rationes decidendi" rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (sul punto, Cass. n. 11493 dell'11/05/2018);

    - il terzo motivo, con cui si censura, ai sensi dell'art. 360 comma 1, n. 5, cod. proc. civ., la seconda ratio decidendi per motivazione apparente, è del pari inammissibile per le medesime considerazioni dianzi svolte;

    - alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto;

    - le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

    - sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del comma 1-quater dell'art. 13 d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

     

    P.Q.M.

     

    Respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 7.2900,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

    Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell'art. 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

 

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